Finalmente un disco dal vivo (doppio) del grande Willie! Anche se non ero a digiuno di audizioni live (una facciata intera, dell’ultimo doppio album di Charlie Daniels, gli era stata dedicata… e l’avevo visto in televisione, in un breve filmato, cantare Jambalaya assieme a Leon Russel, e le occasioni di ascoltarlo come guest artist erano state numerose…) di Nelson, ero incuriosito di sentirlo in azione con la sua magnifica band (e famiglia). L’occasione è giunta con la pubblicazione da parte della Columbia, ex etichetta discografica del fuorilegge, di Willie And Family Live, questo lavoro monumentale registrato durante alcuni concerti del marzo 1978, in due locali del Nevada.
L’immagine, pur notevole, che avevamo di Willie Nelson ne esce ingigantita e sempre limpida. Il gruppo è, secondo me, una delle migliori back-up bands che un cantante possa vantarsi di avere oggi negli States (ma forse… non esiste il cantante ed il gruppo, nel caso di Nelson, entrambi sono indispensabili ed indissolubili per la riuscita completa del loro sound): non si può rimanere insensibili dinanzi alle finezze honky-tonk (e spesso personali) di Bobbie Nelson, oppure davanti alla classe di un chitarrista quale Jody Payne (non tutti forse sapranno, e con questo apro una parentesi dedicata alla cronaca, che il bassista al servizio di Nelson è Chris Ethridge, ex basso e compagno del povero Gram Parsons nei Flying Burrito Bros. I due, insieme, hanno firmato sul primo album di questo effimero e mitico gruppo, due pezzi molto belli: Hot Burrito N. 1 e Hot Burrito N. 2), solo per citare qualche componente della Family.
Willie And Family Live ha la prerogativa di essere il summa di tutto quanto (o meglio) fatto dall’artista negli ultimi anni, con costanti e continui riferimenti a brani non più giovani, suoi o di altri artisti: è chiaro che questo progetto è stato sintetizzato al massimo e sono state scelte le cose migliori, o le più conosciute, al fine di offrire un disco il più vario ed appetitoso possibile (gli americani si sa, sono molto esigenti in fatto di gusto e qualità!). Sul primo disco, quello che più fra i due rispecchia l’andatura attuale dell’artista e della sua musica, brillano per vivacità e verve Whiskey River e Stay A Little Longer (con indovinate entrate dell’armonicista Raphael, della pianista e del chitarrista Jody Payne); sempre fascinoso e suggestivo, invece, il medley che comprende Funny How Time Slips Away, Crazy e Nightlife, con il cantante in una performance vocale di gran classe.
Dopo una breve presentazione dei componenti del suo gruppo, Willie Nelson si lancia in una spiritosa versione di un suo brano recente, If You’ve Got The Money I’ve Got The Time, che qui mi sembra avere un colore di western swing hillybilly non presente nella prima versione. Il seguito, spetta a Mamas Don’t Let Your Babies Grow Up To Be Cowboys e I Can Get Off On You: entrambi i brani fanno parte della collaborazione assidua con Waylon Jennings, collaborazione che più recentemente ha dato risultati come Waylon & Willie, album edito nella prima metà del ’78 dalla RCA. Apprezzabile, qui, la volontà di dare alle due canzoni (ricordo che Mamas… non è stata scritta da W. & W.) un taglio personale, e chi conosce bene Nelson sa che questa è la sua specialità: un pezzo diventa talmente suo, che se non fosse per le note che si trovano sull’etichetta o sulla copertina dell’album, diventerebbe arduo riconoscere un pezzo composto da lui da un altro che non lo è.
Sul lato opposto di Willie And Family Live, ancora due omaggi all’esperienza discografica vissuta con Jennings, If You Could Touch Her At All e Good Hearted Woman: la prima è una bella e calda ballata del bravo Lee Clayton, pilota aviatore convertitosi a tempo pieno alla musica, un brano codesto che ha conosciuto successo e fama grazie all’interpretazione di Nelson & Jennings. Good Hearted Woman è invece un piccolo classico (“l’ho scritto una notte”, dice Willie al pubblico, “in cui incontrai Waylon Jennings”) dell’outlaw sound e rispecchia la linea musicale dei due, qui particolarmente scanzonata e bonacciona. Segue, lo stupendo Red Headed Stranger Medley, una breve storia riassunta in diciassette minuti (l’album in questione, Red Headed Stranger è per me il capolavoro in senso assoluto del cantante, ed è pure un lavoro in cui l’artista sa specchiarsi: la simpatia e la solidarietà, che alimentano la storia del bandito-predicatore, hanno delle chiare tracce autobiografiche), cantata con fervore innato e profondo, mentre lo sfondo musicale è superbo, e rende la storia palpabile e reale.
Il secondo disco, di questo doppio, è un tuffo nel passato, anche se l’introduzione è moderna: Willie Nelson esegue, nel suo stile Till I Can Control Again di Crowell e non ci fa certo rimpiangere le pur belle elaborazioni di questo pezzo da parte di Jerry Jeff Walker, Sundance, dello stesso autore, ecc. In seguito, l’artista rivanga, con tenacia e sentimento, fra le sue vecchie canzoni. Ne escono brani nostalgici, ballate scarne ma sempre intrise di immagini vissute; da Bloody Mary Morning ad l’m A Memory, e da Mr. Record Man e Hello Walls, dolcissima, a One Day At A Time (qui erroneamente accreditata a Kris Kristofferson). Una sequenza di momenti di rara intensità!
Dopo ci vengono presentati due pezzi tradizionali, arrangiati dall’instancabile Willie: uno non ha bisogno di presentazioni, ed è Will The Circle Be Unbroken, in cui si aggregano alla famiglia Johnny Paycheck ed Emmylou Harris quali background vocalist, l’altro brano è Amazing Grace, contraddistinto da un’interpretazione vocale dei tre (Willie, Johnny & Emmylou) veramente calorosa. E la side four, aperta da Take This Job And Shove It (David Allan Coe) cantata in modo grintoso da Paycheck, un po’ più ritmica delle tre che la precedono, vede Nelson lanciato nell’esecuzione di pezzi altrui: Uncloudy Day, con lo squisito controcanto della Harris, è un brano gospel arrangiato dal cantante; The Only Daddy That I’ll Walk The Line, strumentale uscito dalla penna di I.J. Bryant, è probabilmente la sigla di chiusura del concerti di Willie e della sua numerosa famiglia… anche se il disco continua con una riedizione di una canzone di Leon Russell, A Song For You in cui Nelson è solo con la sua chitarra semi acustica a comunicare con coloro che lo ascoltano.
Sempre di grande presa, Georgia On My Mind, che segue A Song For, con la bella armonica di Mickey Raphael (che è un po’ la seconda solista, dopo la voce del cantante, del gruppo) in evidenza e con un arrangiamento di gran gusto. Il gran finale affonda tra le note simpatiche di I Gonna Get Drunk, Whiskey River e The Only Daddy That I’ll Walk The Line, che chiude definitivamente la raccolta. Un gran bel disco, essenziale per chiunque fosse sprovvisto di album del selvaggio Willie, ma importante anche per i suoi fans più accaniti.
Columbia KC2 35642 (Outlaws, 1978)
Mauro Quai, fonte Mucchio Selvaggio n. 15, 1979
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