Suzy Bogguss è un personaggio che è stato troppo spesso sottovalutato nonostante le sue indubbie doti vocali e interpretative. Nel panorama musicale di Nashville non si è mai piegata alle regole imposte dai discografici e non ha mai strizzato l’occhio ai facili connubi con il pop da classifica che l’avrebbero remunerata maggiormente dal punto di vista commerciale.
A differenza di sue colleghe che attualmente vanno per la maggiore (vedi le varie Faith Hill, Shania Twain e LeAnn Rimes) ha intrapreso negli ultimi anni una strada più personale, ha affinato le sue doti compositive ed ha allargato i suoi orizzonti musicali aggiungendo all’iniziale country & western elementi legati al cantautorato folk e talvolta a certo pop e rock. Questo viaggio attraverso la Suzy Bogguss interprete ed autrice è una sorta di riconoscimento per una cantante che merita un’attenzione maggiore di quella che ha ricevuto.
Suzy Bogguss nasce nel cuore rurale del Midwest, ad Aledo, Illinois il 30 dicembre 1956. Da piccola ascolta una miscela di country music, pop (siamo negli anni ’60) e anche big bands. I suoi primissimi passi sono come membro del Aledo Presbyterian Church Choir e poi, accompagnandosi con la chitarra, nelle coffe houses della vicina cittadina di Peoria. Dopo il diploma al college la passione per la musica sempre più intensa la porta ad esibirsi in tutto il Midwest, sempre in versione folksinger. Nel frattempo riesce a raggiungere Nashville e ad incidere una cassetta autoprodotta che vende durante le sue esibizioni.
Siamo nel 1985 e Suzy Bogguss riesce ad ottenere un contratto stagionale presso il parco tematico di Dollywood (quello di Dolly Parton situato nelle Smoky Mountains del Tennessee), riuscendo a farsi notare dai discografici della Capitol Records. Il contratto con la Capitol comunque non porta automaticamente all’esordio e ci vogliono un paio di singolo di discreto successo, I Don’t Want To Set The World On Fire (1987) e Cross My Broken Heart (1989), per arrivare al suo primo album. Somewhere Between è l’esordio per Suzy Bogguss (a quasi 33 anni!) e fin dalle prime note ci si rende conto della cristallina bellezza della voce, matura e calda.
Il repertorio è profondamente legato alla tradizione: l’apertura è con la title-track, uno splendido country waltz firmato da Merle Haggard, mentre vi sono anche brani di Hank Williams Sr. (My Sweet Love Ain’t Around) e di Rodney Crowell & Susanna Clark (Guilty As They Come). In questo disco non mancano le influenze western con tre brani che lo nobilitano: I’m At Home On The Range, trascinante composizione di Verlon Thompson, Doug Crider e della stessa Bogguss, I Want To Be A Cowboy’s Sweetheart classicissimo di Patsy Montana e la magnifica Night Rider’s Lament di Michael Burton. Somewhere Between è prodotto da Wendy Waldman e le note di copertina sono firmate da Chet Atkins, già ammiratore di Suzy Bogguss con la quale collaborerà in futuro.
Passa circa un anno dall’album di esordio ed esce Moment Of Truth, co-prodotto da Jimmy Bowen e dalla stessa Bogguss, che in tre brani appare come co-autrice. Il disco, pur se ben suonato e interpretato, è leggermente inferiore al precedente. Manca forse quella freschezza che aveva caratterizzato l’esordio e il repertorio è qualitativamente meno valido. Da citare comunque l’apertura di Under The Gun, una composizione di Hugh Prestwood di buon impatto, l’eaglesiana Wild Horses firmata dalla coppia Verlon Thompson e Rhonda Fleming, Fear Of Flying composta da Suzy Bogguss e Gary Scruggs con l’ottimo dobro di Mike Auldridge e il fiddle di Rob Hajacos e la delicata Friend Of Mine, ancora con il dobro di Auldridge.
Nel 1991 esce Aces ed è un buon successo commerciale; grazie alla sua versione di Outbound Plane firmata da Nanci Griffith e Tom Russell, Suzy Bogguss raggiunge la TOP 10 con un disco che riscatta il mezzo passo falso precedente e ci consegna una cantante in grande forma. La title-track è di Cheryl Wheeler, cantautrice proveniente dal New England che Suzy Bogguss riprenderà ancora con ottimi risultati. Someday Soon è un altro dei vertici dell’album, una intensa ballata western di Ian Tyson, interpretata con grande stile. L’unica composizione di Suzy Bogguss è firmata con Doug Crider, autore e produttore che nel frattempo è diventato suo marito; Yellow River Road ha una melodia immediatamente memorizzabile e vede la presenza di Kirk ‘Jellyroll’ Johnson all’armonica e Sam Bush al mandolino. Letting Go è già classicamente Bogguss-style ed è delicatamente orchestrata mentre Music On The Wind è atipicamente spagnoleggiante nelle atmosfere con un interessante coro nel quale appaiono Vince Gill e Victoria Shaw.
Il 1992 è un altro anno ricco di soddisfazioni per Suzy Bogguss: la Country Music Association le conferisce il premio ‘Horizon Award’ ed esce Voices In The Wind, un disco maturo e variegato, prodotto ancora una volta da Jimmy Bowen e dalla stessa Suzy Bogguss. Il repertorio è particolarmente ampio nelle scelte: si va da Lowell George (indimenticato leader dei Little Feat nel loro periodo storico fino al 1979) a John Hiatt (con la splendida Drive South e la meno nota Lovin’ A Hurricane), dalla già citata Cheryl Wheeler (Don’t Wanna) a Chuck Pyle ripreso con la celeberrima Other Side Of The Hill. Da ricordare anche la swingata composizione della coppia Matraca Berg/Gary Harrison Eat At Joe’s, la rilettura di Letting Go, già sul precedente disco e la conclusiva Cold Day In July, canzone di Richard Leigh, ripresa poi da Joy Lynn White e dalle Dixie Chicks.
Suzy Bogguss ormai ha acquisito uno stile personale e riconoscibile, ha perso un po’ quelle ‘roots’ degli esordi ma la grande duttilità vocale, il sempre maggiore coinvolgimento compositivo e la perfetta scelta del materiale da interpretare rende i suoi albums godibili ed intensi. Perfetto esempio di tutto ciò è Something Up My Sleeve, uno dei più riusciti nella discografia di Suzy. Non un brano sottotono e sonorità che rimandano alla California degli anni ’70, dagli Eagles a Linda Ronstadt, una cantante che ha profondamente influenzato più di un personaggio femminile nella Nashville degli anni novanta. Diamonds and Tears, Just Like The Weather, You’d Be The One, Hey Cinderella, la splendida Souvenirs di Gretchen Peters (“I set out like Kerouac in my American car/Carryin’ a dream and a road map/deep in my American heart…..”) e No Green Eyes sono solo alcune tra le grandi canzoni di Something Up My Sleeve. Sicuramente un punto di partenza per conoscere la musica di Suzy Bogguss.
Abbiamo detto in precedenza dell’amicizia tra Suzy Bogguss e Chet Atkins, autentica leggenda di Nashville. La collaborazione sfocia in un album molto particolare nella discografia della cantante dell’Illinois; Simpatico è il titolo di un disco in cui i due protagonisti si dividono democraticamente il ‘palco’.
E’ un divertente e divertito viaggio in cui la bella voce di Suzy e i magistrali contrappunti della chitarra di Chet si fondono ottimamente. Il repertorio è particolarmente vario: si va da Jimmie Rogers (I’m In The Jailhouse Now) a Johnny Cash (I Still Miss Someone), da Elton John (Sorry Seems To Be The Hardest Word) a Randy Van Warmer. Forget About It è la stessa canzone che ha dato il titolo al disco di Alison Krauss, qui in versione più corposamente arrangiata. Una delle mie preferite è comunque l’unica collaborazione compositiva tra Suzy Bogguss e Chet Atkins (con Doug Crider), One More For The Road, con un trascinante e classico train sonoro che ricorda Carl Perkins.
Questo è comunque un album leggermente inferiore alla media dei dischi di Suzy, pur nella grande pulizia e perizia negli arrangiamenti. Un piacevole divertissment. Per ritrovare Suzy Bogguss si devono attendere un paio di anni; è l’estate del 1996 quando esce Give Me Some Wheels, prodotto dalla coppia Trey Bruce e Scott Hendricks.
Questo è un altro grande disco, musicalmente più corposo e composto da canzoni che esplorano in maniera intelligente i vari aspetti dei rapporti interpersonali, amore, amicizia, vita on the road. Il meglio della canzone d’autore di Nashville è qui rappresentato: Gary Harrison, Matraca Berg, Angela Kaset, Don Schlitz, Darrell Scott, Craig Wiseman. Give Me Some Wheels è la brillante apertura del disco e Suzy Bogguss è intensa, convinta e matura nell’interpretazione. Feeling ‘bout You, Traveling Light con in bella evidenza Paul Franklin alla steel e Jonathan Yudkin al fiddle, No Way Out, un pregnante country con venature rock e blues e una più classica She Said, He Heard sono solo alcune tra le canzoni più belle in uno dei dischi più omogenei di Suzy Bogguss.
Questo è senz’altro il periodo più ispirato di Suzy Bogguss, quello in cui la maturità artistica coincide con un momento personale particolarmente felice. La nascita del figlio Ben dal matrimonio con Doug Crider è notevolmente stabilizzante. Dopo Give Me Some Wheels Suzy firma un altro dei suoi capolavori, Nobody Love, Nobody Gets Hurt (1998). La produzione è della coppia Bogguss/Crider, le canzoni sono tutte piacevolmente ed intelligentemente arrangiate e qualitativamente (testi e musiche) intense ed emozionanti.
Ad elevare ulteriormente la qualità delle canzoni contribuiscono una serie di grandi personaggi. Garth Brooks appare in Take Me Back, splendida canzone dal sapore fortemente tradizionale firmata da Julie Miller. Kathy Mattea impreziosisce When I Run, delicata ballata di Skip Ewing, mentre Patty Loveless è co-protagonista di I Surrender, firmata da Suzy Bogguss e Doug Crider. Armonie vocali splendide sono quelle che forniscono Alison Krauss e Trisha Yearwood nella conclusiva e nostagica Train Of Thoughts, uno degli ‘highlights’ dell’album, ancora prettamente tradizionale.
Il resto del disco non è da meno a partire da Just Enough Rope che lo apre in maniera grintosa e trascinante. La title-track è una particolarissima ballata di Bobbie Cryner, Family Tree ha una melodia accattivante mentre Moonlight And Roses di Cheryl Wheeler e From Where I Stand di Kim Richey e Tia Sillers sono poetiche ed intense pur nella loro diversa impostazione. Nobody Love, Nobody Gets Hurt è un disco da assaporare in ogni suo aspetto e rappresenta un altro importantissimo tassello della discografia di Suzy Bogguss.
L’ormai affiatatissima coppia Suzy Bogguss e Doug Crider produce anche quello che per ora è l’ultimo lavoro, Suzy Bogguss, il primo disco inciso per la Platinum Records. Inevitabilmente, pur mantenendo le caratteristiche sonore tipiche della Bogguss, l’album risulta non all’altezza dei suoi due predecessori. Non tutte le canzoni sono ai massimi livelli anche se non mancano interpretazioni molto valide e gli arrangiamenti sono sempre misurati. Tra le canzoni che si ricordano con piacere c’è It’s A Perfect Day (For A Little Rain), con il mandolino di Sam Bush e i controcanti di Carolyn Dawn Johnson che è anche l’autrice, 20 Million Things, grande ballata di Lowell George in cui appaiono Alison Krauss alla voce e Dan Dugmore alla steel, Hammer And Nail, una acustica country song scritta con Gary Scruggs e No Place To Go, con un crescendo veramente trascinante e un Matt Rollings dal pianismo sempre eccellente.
La figura di Suzy Bogguss, pur non raggiungendo quel grande successo commerciale di altre sue colleghe, ha rappresentato un importante capitolo nell’ambito della scena country di Nashville. Riscoprendo e rivalutando la sua discografia si potranno apprezzare amore per la tradizione e sincerità, due qualità sempre presenti nella sua musica.
Discografia
Somewhere Between (Capitol, 1989)
Moment Of Truth (Liberty, 1990)
Aces (Liberty, 1991)
Voices In The Wind (Liberty, 1992)
Someting Up My Sleeve (Liberty, 1993)
Greatest Hits (Liberty, 1993)
Simpatico (con Chet Atkins) (Liberty, 1994)
Give Me Some Wheels (Capitol, 1996)
Nobody Love, Nobody Gets Hurt (Capitol, 1998)
Suzy Bogguss (Platinum, 1999)
Principali apparizioni
Asleep at the Wheel – Tribute to the Music of Bob Wills (Liberty, 1993) (Old Fashioned Love)
Various – Common Thread: The Songs of the Eagles (Giant, 1993) (Take It To The Limit)
Various – Red Hot + Country (Mercury, 1994) (Teach Your Children, w/A.Krauss, K.Mattea & Crosby, Stills and Nash)
Various – Come Together/ America Salutes the Beatles (Liberty, 1995) (All My Loving)
Various – Not Fade Away / Remembering Buddy Holly (MCA, 1996) (It Doesn’t Matter Anymore, con Dave Edmunds)
Remo Ricaldone, fonte Country Store n. 58, 2001