Country Night Gstaad

Quest’anno non possiamo che rallegrarci dell’anticipo con cui lo staff ci comunica line-up e date della prossima Country Night e con queste informazioni voglio cominciare per dovere di informazione. Prima di tutto: contravvenendo a quella che sembrava la tendenza che finora aveva prevalso cioè quella di anticipare progressivamente il weekend del migliore festival europeo della nostra musica per evitare il maltempo di fine estate, quest’anno le esigenze dei musicisti hanno richiesto lo spostamento al weekend del 20-22 Settembre. Annotatevi quindi queste date che coincidono con i consueti due show (Venerdì e Sabato) e le parate e il brunch in musica della Domenica.
Il programma è come sempre ampio e sufficientemente attraente. Intanto, un nome importante, la Nitty Gritty Dirt Band che mancava da Gstaad dal 1990 però ora con una novità non da poco: il ritorno in formazione di John McEuen, banjoista di gran talento responsabile ‘filologico’ più degli altri del successo di Will the Circle Be Unbroken, il triplo album del 1972 che ebbe due grandissimi meriti: far conoscere ed apprezzare la vera country music alla generazione del country rock californiano da quella e da questa parte dell’oceano, integrando così il lavoro impostato da Byrds, Flying Burrito, Eagles, Poco e Gram Parsons, e, cosa che fu non meno importante, gettare un ponte sull’abisso di diffidenza tra generi e generazioni grazie ad un approccio umile, come si conveniva a dei neofiti, nonchè rispettoso della tradizione e dei grandi nomi che all’epoca ‘regnavano’ su Nashville, icone come Mother Maybelle Carter, Earl Scruggs, Merle Travis, Jimmy Martin e Roy Acuff, che le cronache riferiscono diffidente fino all’ultimo di quei giovanotti californiani con i capelli lunghi.

In Italia quell’album attenuò i disastrosi effetti che dallo schermo il Nashville del perfido yankee (inteso come intellettuale nordista) Altman aveva provocato in materia di percezione della country music sul pubblico italiano, e ricompattò una fetta di audience e di critica.
Mai abbastanza, purtroppo e solo per breve tempo.
E’ comunque grazie a quel lavoro che la NGDB è uno dei pochissimi country acts importabili con qualche speranza di attenzione nel nostro paese, se non fosse per il loro cachet e per alcuni capriccetti da divi che nel tempo sono affiorati, vedi la richiesta, improba per chi ha budget stringati, di farsi accompagnare da una pletora di mogli, figli, amici, managers e parenti (fino a 15 persone).
Ringraziamo quindi gli sponsor della Union des Banques Suisses per essersi accollati anche questi extra e prepariamoci ad assistere ad un gran bel concerto. Naturalmente ci auguriamo una sostanziosa parte semiacustica che peschi in buona misura nel passato.
La NGDB attuale infatti ci soddisfa di meno: persino il Live del 1991, pur includendo episodi rilevanti suonava un po’ di maniera ed il calore sembrava difettare. Acoustic del 1994 recuperava una certa voglia di creatività, semplicità e quel tono informale e casual che era alla base del loro successo originale quindi speriamo che quello spirito permanga.

Ma a 30 anni da Will the Circle e a 13 dall’omonimo premiato (CMA Album of the Year, 1989) follow-up, siamo soprattutto curiosi di verificare quale anima della NGDB ad oggi prevalga, se quella degli outsiders, virtuosi nelle parti strumentali come nelle incredibili harmonies, in bilico tra rivisitazioni di folk, bluegrass e la country music tradizionale oppure quella del periodo ‘regressivo’ targato Dirt Band, senza più McEuen sostituito da Bob Carpenter, collaboratore esterno senza particolari meriti.
Rientrato il primo e ripristinato il nome ufficiale, e al di là di normali timori, sono comunque certo che non mi deluderà Jeff Hannah, la cui voce straordinaria tocca come poche altre le corde del cuore e che è stato per lungo tempo (fino a quando non scopersi Willie) la mia voce preferita, così come non mi deluderà l’armonica di Jimmie Fadden, ineguagliabile per tecnica ed ecletticità, ‘country come una goccia di rugiada’, che per anni ho cercato invano di imitare.
I fans più recenti invece non vorranno perdersi Clay Walker, vero headliner del programma, buon esponente dei neotradizionalisti emersi dai primi anni ’90.
Walker esplora con brillantezza e solido twang texano (è di Beaumont, una garanzia) tutte le sponde del mainstream country ed è un alfiere della semplicità: canzoni brevi, testi semplici, grandi ritornelli e via, un repertorio rivolto prevalentemente ai teen agers ma con diversi episodi rilevanti: Boogie ‘Til the Cows Come Home, Who Needs You Baby?, A Cowboy’s Toughest Ride, la splendida Heartache Highway che farebbe la gioia del vecchio Neil Young.
Sul suo record anche tre primi posti in classifica conquistati al fulmineo esordio: What’s it to You e Live Until I Die, entrambi del 1993, seguiti a ruota l’anno successivo da Dreamin’ With My Eyes Open.

Tra ballate contemporanee ed educato country tradizionale, Walker si è negli anni affermato al punto di essere costantemente tra le nomination dei CMA Awards pur non avendo ancora raggiunto il massimo traguardo.
Sul versante femminile, l’anno scorso prevalente, quest’anno il programma offre Chely Wright, pimpante rivelazione dei tardi anni ’90, nota non solo per l’avvenenza ma anche per il suo stile vocale che esprime emozioni e passionalità. Le indubbie qualità vocali le hanno regalato il successo ma non l’hanno ancora sospinta oltre lo status della comprimaria. Colpa di una certa omologazione nello stile e di relative carenze nel repertorio in anni in cui il country pop si è fatto tendenza maggioritaria in ambito discografico e la concorrenza, di conseguenza, è diventata numerosa.
Si era fatta notare nel 1993 facendo la vocalist per George Jones (e dite voi se è poco) in High Tech Redneck, con un paio di passabili album di esordio e con il single Sea Of Cowboy Hats tanto che la Academy of Country Music l’aveva premiata nel 1995 come ‘Top New Female Vocalist’.
Il contratto con la MCA del 1999 la spinge in alto nelle classifiche con ‘Single White Female’ e relativo album. Da allora, altri due album poco appariscenti ma una ottima collaborazione con l’ancora più esordiente, ma sicura star, Brad Paisley. Con lui, il lavoro più ragguardevole che sfocia nel bel duetto Hard To Be a Husband, Hard To Be A Wife, nominato per gli Awards dell’anno scorso. Per chi ama il country pop contemporaneo e la line dance Chely Wright è un act ideale non privo di spunti di grande qualità.

Interessante il quarto nome in cartellone, David Holt, che aprirà sicuramente i concerti e che gli appassionati di traditional folk e di old time banjo style accoglieranno con giustificato calore.
Un cantastorie alla Pete Seeger ma poco ideologico e molto più permeabile ai richiami dei generi commerciali. Non per nulla ha avuto nel suo passato anche esperienze da batterista rock e jazz. Devoto alla sua missione di studiare e tramandare la tradizione, Holt è attivo fin dagli anni ’70 quando frequenta festival locali e tiene concerti nei college del Sud Est.
Da professionista viene premiato a più riprese dalla rivista Frets come Best Old Time Banjoist, e da recording artist viene omaggiato dalle più prestigiose collaborazioni del jet set di Nashville (Mark O’Connor, Chet Atkins, Jerry Douglas).
I suoi show sono gradevoli rivisitazioni di folk songs più o meno note, rese ancora più palatabili per il grande pubblico dall’accompagnamento di bands che hanno poco da invidiare alle migliori bluegrass bands.
La scelta di includere Holt nel programma è stata sicuramente una scelta di gran gusto e dimostra ancora una volta la competenza della direzione artistica della Country Night e la volontà di offrire sempre un’ampia veduta del panorama di stili etnici e delle tendenze popolari che alimentano la country music dalle radici.

Fabrizio Salmoni, fonte Country Store n. 62, 2002

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