La Brambus Records è un’etichetta indipendente svizzera (le indies non esistono solo in USA) che ha al suo attivo diversi argomenti interessanti anche per i palati con appetiti musicali orientati alla musica country ed al cantautorato country-oriented. L’occasione è ghiotta per fare una panoramica di alcuni dei prodotti più interessanti che sono stati realizzati da questa intraprendente label
Detto questo passiamo alla parte più concreta dell’articolo.
Danny Santos – Headaches & Heartaches (Brambus 2003812 – 2003)
Danny Santos è un giovane songwriter americano che ha esordito nel 2001 con Sinners & Saints, prodotto di un cantautorato country-oriented, che privilegiava tematiche care ai grandi texani, pur con imprescindibili riferimenti alle sonorità tex-mex (Mi Amor Escondido) ed a certi aspetti del blues (Suburbia Blues).
Pur senza far gridare al miracolo, il disco gli era valsa la credibilità necessaria e sufficiente per garantirgli la possibilità di ripresentarsi, a due anni di distanza, con questo convincente Headaches & Heartaches, sempre su Brambus.
Poco più di tre quarti d’ora di musica che non mancherà di far piacere a quanti avevano apprezzato il suo esordio. Gli ingredienti sono gli stessi e la ricetta risulta altrettanto gradita: il sound mariachi di Carmelita (a firma del compianto Warren Zevon), l’omaggio al grande Townes Van Zandt di Snowin’ On Raton, il folk-blues di Sam Bass’ Blues, la scanzonata Giddyup, la frizzante Loved con le sue atmosfere che sanno anche di bluegrass.
Non mancano comunque i momenti più introspettivi, quali Aggravation, Here We Are There We Go (impreziosita dal duetto con Karen Mal), la remake di quella Desperado che già era apparsa sull’album di esordio, ristrutturata con arrangiamenti strumentali davvero ricercati e con testo cantato sia in inglese che in spagnolo, Straight & Narrow la melodia della quale risente di una certa The Road Goes On Forever a firma di Robert Earl Keen Jr..
Danny Santos scrive bene e canta in maniera altrettanto convincente: chi l’ha detto che bisogna andare in America per trovare la realizzazione dei propri sogni? Danny ha fatto la strada al contrario ed il risultato è quanto meno incoraggiante.
Kevin Meisel – Country Lines (Brambus 200379-2 – 2003)
Kevin Meisel da Bellville, Michigan è un nome relativamente nuovo, anche se ha esordito nel 1998 con un disco autoprodotto ed autodistribuito intitolato Coal & Diamonds (Thursday Records). L’album ci forniva l’immagine di un cantautore essenzialmente legato alla strumentazione acustica, anche se questa caratteristica non necessariamente rappresentava un limite in termini di arrangiamenti.
L’approccio era quello di una musica con forti ed evidenti riferimenti alla tradizione, ma con uno script che altrettanto doveva ai grandi cantautori americani, primo fra tutti il Bruce Springsteen di Nebraska. Con questo Country Lines, Kevin si ripropone in veste più matura, con arrangiamenti ampliati, che comprendono anche strumentazione elettrificata, che contribuisce a dare maggiore corposità ad un suono che risulta, in definitiva, più completo.
Fin dall’iniziale title-track, caratterizzato da un arrangiamento molto gradevole e da una corretta ricerca a livello melodico, la proposta risulta (con)vincente, con brani meditativi (Stains, The Story Of His Rise To Kingdom Come, Down In Memphs, Thicker Than Blood, Drifter’s Son e Unmarked Graves) che si alternano piacevolmente ad episodi più epidermici (Pretty Little Postcards, She’s Gone e Doncha Pawn Yer Diamond Ring), senza tralasciare ammiccamenti più o meno evidenti alle sonorità country di Broken Heart Tattoo.
Kevin canta da solista e suona gli strumenti classici del cantautore (chitarre, armonica), oltre all’organo e tambourine. Per quanto riguarda i musicisti che lo accompagnano, devo ammettere di non conoscerne neppure uno; si tratta evidentemente di signori dilettanti che suonano più per passione che per denaro, ciascuno con il proprio ‘day job’ che magari niente ha a che fare con la musica.
Kevin Meisel può tranquillamente occupare una nicchia nella nostra collezione di dischi, magari molto vicino a John Prine, ordine alfabetico permettendo.
Richard Dobson – A River Will Do (Brambus 200384-2 – 2003)
Quello del canuto texano Richard J. Dobson è un nome che non può (e non deve) suonare sconosciuto alle orecchie dei nostri lettori.
Esordisce nel lontano 1977 con In Texas Last December e registra altri quindici album senza nulla concedere al compromesso in termini di vendibilità o classifiche.
Fra le sue composizioni più famose quella Piece Of Wood & Steel registrata anche da David Allan Coe e Baby Ride Easy, portata su vinile da Billy Joe Spears e Del Reeves.
Sono però questi gli unici episodi in occasione dei quali il mercato delle majors si è occupato di Dobson. Personaggio schivo e riservato, preferisce continuare a fare la sua musica come vuole lui, con un pugno di amici al suo fianco, che possono variare dai compatrioti texani agli attuali fedeli gregari elvetici, fra i quali il validissimo pluristrumentista Thomm Jutz.
Del passato di Richard vale poi la pena di ricordare Amigos, l’album-tributo a Townes Van Zandt, suo grande amico.
Ogni brano di Dobson ha motivo di essere ricordato per un verso o per l’altro e questo A River Will Do non fa eccezione: il title-track denota un inizio quasi celtico, per svilupparsi poi in una ballata classicamente cantautorale con il country texano ben radicato nei suoi cromosomi, senza dimenticarne le ancestrali radici europee.
Nothing Holy In The Holy Land ha il passo rilassato e solenne delle grandi ballate, mentre Houston Town riverbera il calore della grande città texana sotto il sole dell’estate.
Down On The Trinity River rammenta gradevolmente – a livello vocale – il Jerry Jeff Walker che tanto amiamo e la ballata si rivela davvero gradevole ed accattivante.
The Hills Of Kosovo ha un titolo che poco lascia alla fantasia e trasuda drammaticità ad ogni passo, ma A River Runs Through It allenta la tensione e ci permette un ascolto rilassato di questa morbida ballata, arpeggiata in punta di dita sulla chitarra acustica.
Tengo Que Volar ripercorre le piste polverose del border fra Texas e Messico, Million To One ha il sapore delle ballate che più abbiamo amato nel corso di tanti anni di ascolto da appassionati sognatori, Homemade Kites richiama alla mente la spensieratezza di un bambino che libera la propria fantasia sulle ali di un aquilone fatto in casa, proprio come fa il nostro grazie al suo strumento “…made of wood and steel…”.
Kathleen si affianca a tanti altri classici, vecchi e nuovi, che hanno disseminato la produzione dei nostri eroi preferiti, At The End Of The Day si avvicina elegante ad un finale degno della bellezza di questo disco, mentre Texas Is One Song Away è un valzer dedicato alla nostalgia della propria terra e dei propri affetti quando se ne è lontani: per Richard J. Dobson il Texas è lontano solo una canzone, noi dobbiamo fare i conti con problematiche un poco più impegnative.
Dino Della Casa, fonte Country Store n. 71, 2004