Allman Brothers Band - Play All Night. Live At The Beacon Theatre 1992 cover album

Crediamo sia doverosa una premessa parlando della Allman Brothers Band e, speriamo, possa essere condivisa da tutti. La morte di Duane Allman fa da spartiacque tra due, o più, realtà della famosa band di Macon, Georgia. Non solamente perché il biondo chitarrista era il leader indiscusso, mente e linfa del gruppo ma, soprattutto perché nessun altro musicista è mai più riuscito ad eguagliarne genialità, gusto e creatività. Nemmeno Derek Trucks, degno erede, nonostante la tecnica sopraffina è riuscito a raggiungere le vette del suo maggior ispiratore. Il recente cofanetto Sky Dog, The Duane Allman Retrospective, dove oltre al materiale composto assieme alla band – dalla fase embrionale fino agli ultimi giorni – possiamo ascoltare le tante collaborazioni con vari artisti, soprattutto la grande esperienza ai mitici Muscle Shoals Studio, ne è una limpida testimonianza. Lo stesso discorso vale per il famosissimo Live At Fillmore East, per alcuni il miglior disco live di tutti i tempi, che non può essere paragonato a nessun successivo prodotto discografico, nemmeno a quelli meglio riusciti. Il doppio album del 1971, del quale a breve uscirà la versione integrale che racchiude in un cofanetto sestuplo, curato dal solito Bill Levenson, tutti i concerti – pomeridiani e serali – del 12 e 13 marzo più uno del 27 giugno, era un progetto audace con, al posto di versioni dal vivo di pezzi ben noti, l’inserimento di brani inediti e versioni dilatate e ben differenti di quelli già precedentemente pubblicati.

Fatta la necessaria premessa lasciamo parlare la storia che riporta noi, ma soprattutto la band stessa, con i piedi ben saldi a terra. Dopo la dipartita di Duane Allman, il fato si è accanito sul granitico bassista Barry Oakley, decretando il rapido declino del gruppo giunto al top della fama. Tra litigi, droga e matrimoni falliti, per gli Allman inizia un periodo in alcuni casi a dir poco imbarazzante, fino a che sul finire degli anni Ottanta non compare, proveniente dalla Dickey Betts Band, il giovane Warren Haynes che porterà nuova energia ed ordine all’interno del gruppo. Escono in tal modo due album in studio, che immediatamente rivelano un suono potente, corposo, con testi maturi, e la band, ritornata ai fasti del periodo d’oro, si rimette in gioco anche dal vivo, finalmente pronta a ricominciare da dove si era interrotta con il mitico live newyorkese.
L’idea originale fu quella di registrare i concerti al City Auditorium di Macon sul finire del 1991, ma la scelta si dimostrò subito errata per la bassa qualità audio del teatro e per la troppa pressione esercitata sui componenti del gruppo che suonarono contratti. Tra l’altro, non bastasse tutto questo, Gregg Allman e Dickey Betts erano nel bel mezzo di uno dei ricorrenti periodi di guerra fredda. Si decise, perciò, di posticipare le registrazioni alla primavera successiva all’Orpheum Theatre di Boston. Mai scelta si rivelò così felice. Infatti, dalle due serate, che si rivelarono speciali, scaturirono due album intitolati An Evening With The Allman Brothers Band.
Pochi giorni dopo la band traslocò a New York e, in sostituzione dello storico locale di Bill Graham, fu scelto il Beacon Theatre che diverrà di lì in poi la nuova casa della band nella Grande Mela ed in cui furono registrati altri due show durante le dieci serate effettuate. Queste tracce audio vedono la luce solo quest’anno, grazie alla Sony e sotto la produzione di Warren Haynes che ha ricuperato le registrazioni effettuate a suo tempo da Tom Dowd il 10 e 11 marzo.

Questo Play All Night: Live At The Beacon Theatre 1992 è un signor disco, uno dei migliori della storica band sudista, anche se manca lo spirito di avventura che aveva illuminato il live al Fillmore. Si percepisce, infatti, la sensazione che la scelta dei brani sia servita per soddisfare i singoli ego e non, come accadeva sotto la guida di Sky Dog, per esaltare la musica. Un modo per andare sul sicuro. Il suono che ne scaturisce è molto robusto, roccioso con la slide di Haynes che prende spesso il sopravvento e Betts che torna ad essere il grande chitarrista che duettava con brother Duane. La sezione ritmica, una macchina da guerra formata da Butch Trucks e Jaimoe, si arricchisce del percussionista Marc Quinones, proveniente dal gruppo fusion Spyro Gyra e – finalmente – di un bassista degno della band, lo sfortunato Allen Woody, anch’egli già nella band di Betts, che formerà con Warren Haynes i Gov’t Mule, purtroppo prematuramente deceduto nel 2000. Gregg Allman, nel frattempo disintossicatosi, è in forma smagliante, a rinverdire quella fama che lo consacrava come una delle migliori voci bianche, e sempre preciso all’Hammond B3 ed al piano. I due CD ripercorrono la storia del gruppo iniziando con una grande versione di Statesboro Blues, anticipata da un breve intro e la rituale presentazione e immediatamente seguita da You Don’t Love Me con sempre Haynes alla slide, in una versione ridotta, priva della caratteristica jam centrale, e con Thom Douchette all’armonica, unico ospite della serata così come nel leggendario live del 1971. E’ la volta della scoppiettante End Of The Line, un grande brano che arriva da Shades Of Two Worlds, che anticipa uno dei brani classici della band, il country & western Blue Sky con un assolo di Betts ricco di note calde e intrise di sentimento che evidenzia la superlativa tecnica del baffuto chitarrista, così come nel finale della seguente Nobody Knows, grintosa song che esalta, nella parte iniziale, la fantastica sezione ritmica e l’Hammond B3 di Allman per arrivare agli strepitosi minuti finali dove i due chitarristi spingono, in continui interscambi, la canzone a livelli stratosferici.

Low Down Dirty Mean è un gran bel blues con le due Gibson a scambiarsi frasi di slide guitar in un’atmosfera da tipico bayou e chiude il primo set elettrico per far posto a una non entusiasmante Seven Turns, notevolmente inferiore alla versione in studio apparsa nell’omonimo album, che apre l’intermezzo acustico comprendente il classico Midnight Rider, una ballata tal tono volutamente dimesso, tipico del sud, e la bellissima rilettura di Come On In My Kitchen che inizia con una sinistra slide acustica di Betts, seguita dal canto sconsolato di Gregg mentre Warren aggiunge delle frasi con la sua National fino a che il tutto non si trasforma in un gioioso e trascinante shuffle che ci riporta, come d’incanto, a Pony Boy, uno dei capolavori di Brothers and Sisters (Il Blues n. 125) e che chiude il primo compact.
Guitar Intro è il classico inutile esercizio di stile, forse il limite di Haynes, che ci porta al riff creato da Duane per la rivisitazione dello standard di Muddy Waters Hoochie Koochie Man che fa da apripista all’immortale Jessica con le due chitarre a rincorrersi in un turbinio di delicatezza e gioia col profumo del Sud. Get On With Your Life, slow blues che richiama Stormy Monday, precede uno dei classici brani del gruppo, forse la migliore composizione di Betts: In Memory Of Elizabeth Reed, dove gli spiriti di John Coltrane e Miles Davis escono in una liberatoria passeggiata musicale conclusa da un assolo delle tre batterie leggermente sotto tono. La band è comunque in gran forma, e la successiva Revival dà il via alla parte migliore del concerto. La canzone, che apriva il secondo album Idlewild South, è piena dei classici riff allmaniani ricchi di energia e ci trasporta, in un incanto sonoro fine anni ’60, alle conclusive perle Dreams, affascinante, malinconica e ricca di pathos, una sorta di magico tappeto lisergico che, senza quasi accorgercene, ci accompagna ad immergerci nelle tonanti e minacciose note di basso di Whipping Post, il capolavoro uscito dalla penna di Gregg Allman, che conclude alla grande il concerto tra tormenti chitarristici, il vibrare dei timpani di Butch e meritatissimi applausi.

Quanto tempo è passato da quando i componenti dello storico nucleo del gruppo si recavano, notte fonda, al Rose Hill Cemetery e sedevano in cerchio, passandosi canne e bottiglie di Ripple, suonando con le loro chitarre acustiche fino alle prime luci dell’alba. Proprio in quel cimitero dove, uno accanto all’altro, riposano i due amici Duane e Berry che forse da quei giorni avranno ritrovato la serenità per un suono, il loro, riportato finalmente agli antichi splendori.
Play All Night: Live At The Beacon Theatre 1992 è un disco per chi ama il southern sound della Allman Brothers Band, ma anche per chi ama la buona musica. Un disco per ricordare un gruppo che, forse, potrebbe essere arrivato dopo 45 anni di storia al capolinea, considerato che in un comunicato congiunto dello scorso mese di gennaio Warren Haynes e Derek Trucks hanno dichiarato che con il 2014 si concluderà la loro avventura all’interno della formazione che, più di tutte, ha dato loro l’opportunità di mostrare l’enorme ed indiscusso talento e regalato emozioni a non finire, oltre alla possibilità di maturare artisticamente. Il mormorio di sottofondo tra i tanti fans parla di un molto probabile rientro tra le fila della band di Dickey Betts, nonostante la conflittuale separazione determinata dalle mai sopite tensioni tra il chitarrista di West Palm Beach e Gregg Allman, al quale andrebbe aggiunto un secondo componente alla chitarra o – come nel primo post Duane – al pianoforte. La sostituzione di due elementi determinanti come Warren Haynes, che dettava i tempi sul palco, e Derek Trucks, senza dubbio uno dei più talentuosi chitarristi sull’odierna piazza, risulta alquanto difficoltosa e a tutto ciò va aggiunto che l’età e le condizioni di salute dei membri superstiti inducono a pensare che potrebbe essere giunto il giorno del fatidico addio.
E forse questo, nonostante il dispiacere del numeroso pubblico, potrebbe essere un bene; è sempre meglio uscire di scena da vincitori.

Epic/Legacy 88691914422 (Roots Rock, Blues, Blues Rock, 2014)

Antonio Boschi, fonte Il Blues n. 126, 2014

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