John e Alan Lomax. Sounds Of The South picture

Prefazione
Potrà apparire strano che un articolo necessiti di una prefazione, ma in questo caso la riteniamo perlomeno utile per rendere palese il senso che ha animato Antonio Lodetti per la sua stesura.
In questo turbinio di pubblicazioni basate su ristampe, confezionate sotto forma di box e cofanetti, legate a personaggi temporalmente vicini e più che noti, spesso a cavallo tra rock e blues al punto che noi stessi ne trattiamo in altre pagine di questo stesso numero, ci ha colpito particolarmente la riproposizione di un artista sinora negletto come Michael Bloomfiled. Questa scelta, fortissimamente voluta, caso strano, da un amico e quindi potenzialmente scevra da interessi economici più o meno larvati, ci ha indotti a guardarci indietro per vedere meglio se anche noi, nel nostro piccolo, non eravamo incappati in qualcosa di simile: dimenticato, o peggio ancora ignorato, qualcosa o qualcuno.
«Mentre viene riproposta sul mercato in un lussuoso cofanetto quadruplo la sua ricerca etnomusicologica sul campo Sounds Of The South…» (Antonio Lodetti, Il Blues n.45, marzo 1994). Fummo presi in contropiede da questa pubblicazione, soprattutto perché la figura di Alan Lomax ci era nota più che altro per le registrazioni editate nel 1961 dalla Atlantic Records nei sette LP della serie Southern Folk Heritage Series e da anni fuori catalogo, e per la pubblicazione del libro The Land Where The Blues Began (la traduzione italiana, a cura de Il Saggiatore, è del 2005) la cui uscita (recensita sempre nel n.45) fu contemporanea a quella del cofanetto quadruplo che altro non era che la ristampa in CD dei succitati ellepì.
Ci era parso allora che un articolo riguardante la figura di Lomax ed il suo lavoro di ricerca, avrebbe finito per sembrare il ‘parlarsi addosso dei soliti quattro gatti’, vista la scarsità di ogni tipo di fonte fosse essa di lettura o di ascolto. Ed un simile comportamento, da parte nostra, non sarebbe stato in linea con l’obiettivo di questa rivista, ovvero il diffondere la musica Blues, scritta o parlata che fosse.
Dovemmo aspettare sino al 1998 quando, grazie all’accordo tra l’Alan Lomax Archive e la per sempre benemerita Rounder Records, buona parte del materiale raccolto da Lomax (con l’eccezione di quello pubblicato dalla Atlantic) venne finalmente trasferito su CD singoli e potè in tal modo essere a disposizione di tutti gli appassionati, ovunque fossero. Questa operazione, che si realizzò per lo più tramite le serie Southern Journey e Deep River Of Song, noi la seguimmo passo passo sin dall’inizio (Il Blues n.62, marzo 1998) proprio tramite la dedizione di Antonio Lodetti che, con rara passione e competenza, la illustrò in maniera superba mediante articoli e recensioni per un totale di oltre 30 CD.
Ecco perché solo oggi, e quindi dopo avervi fatto conoscere attraverso un percorso sicuramente un po’ lungo per i tempi moderni chi era Alan Lomax e cosa aveva fatto sfruttando le ripubblicazioni Rounder, ritorniamo nel passato per parlarvi, con cognizione di causa, di Sounds Of The South. E lo facciamo riaffidandoci ad Antonio Lodetti che, questa volta ha messo insieme un articolo diverso da quelli che solitamente trattano lavori antologici di questo tipo. Infatti, ha preso in consegna ciascun brano per riconsegnarcelo corredato di brevi commenti e di quelle notizie storiche che ne aiutano la comprensione della loro genesi. Buona lettura e buon ascolto.
Marino Grandi

Lasciamo da parte le polemiche sul modo in cui John e Alan Lomax si siano ‘approfittati’ o abbiano sfruttato commercialmente alcuni musicisti popolari come Leadbelly…Non si può negare che padre e figlio siano stati i più attivi e attenti studiosi dei suoni folklorici del profondo Sud americano, scoprendo perle rare nei boschi, nei paesini dimenticati, nei penitenziari, nelle baracche rurali, nei campi di lavoro, nelle chiese Battiste e Metodiste e in altri mille luoghi. In questi quattro CD, Sounds Of The South, Alan Lomax racconta 25 anni di registrazioni sul campo per narrare il crogiolo di cultura e musica parallelo, lontano ma sorprendentemente contiguo tra il folkore bianco (di origine Northwest Europe) e quello nero (nato in West Africa) che avrebbe dato vita allo spiritual come ai minstrel songs, al blues come al ragtime, ai worksongs come al bluegrass, al gospel come al country e agli altri mille rivoli della musica americana dal cajun al rock. «In un viaggio di due mesi che mi ha portato dalla Virginia ai monti Ozark, dal Delta del Mississippi alle Georgia Sea Islands ho trovato le prove che al Sud esiste ancora un ricco patrimonio di tradizioni musicali, eseguiti in una affascinante varietà di stili. Rivivono gli antichi canti e nuove canzoni vengono continuamente composte. Ho scoperto tre strumenti mai registrati prima: il mouth bow, le cane fife e il primitivo panpipe».

Stiamo parlando del 1961, e di quanto Alan Lomax fosse avanti, rispetto agli eroi folk del Greenwich Village, nella riscoperta delle vere radici folk rispetto al folk revival. Per inciso, un giorno bisognerebbe parlare delle magnifiche incisioni di Lomax quando registrò la musica popolare italiana, incidendo due magistrali CD di antichi canti popolari per ogni regione, vale la pena cercarne alcuni e ci torneremo presto sopra. Tornando a Sounds Of The South, la grande novità, per quell’epoca, sta nel fatto che tutti questi artisti, la cui arte apparentemente anarchica e semplice è tutta da ascoltare, vengono registrati per la prima volta in stereo permettendo agli appassionati e ai puristi di godere per la prima volta di ogni piccola sfumatura cromatica. Nel libretto del disco Lomax analizza con attenzione tutte le differenze tra la musica bianca e quella nera e nei brani scelti compara i due stili cresciuti ‘fianco a fianco’, ciascuno rimanendo nella sua area specifica ma al tempo stesso subendo le influenze dell’altra. Non a caso Lomax racconta di aver ascoltato (ma ci sono anche alcuni rari dischi in circolazione) alcune band nere di bluegrass e cita molti bianchi che suonavano il blues. In questi quattro compact disc troverete mille spunti e idee sull’evoluzione del folklore popolare, mille riferimenti e paragoni da fare con i vostri artisti blues preferiti.

Disco 1: Sounds Of The South/Blue Ridge Mountain Music
The Banks Of The Arkansas/Wave The Ocean: ballata yodel, di origini sconosciute (attribuita ai cacciatori d’orsi degli Ozarks) interpretata da Neil Morris, antico bardo e padre del grande Jimmie Driftwood (ogni appassionato di folk dovrebbe ascoltare il suo triplo cofanetto Americana che spazia da Battle Of New Orleans a Arkansas Traveler a Soldier’s Joy). Il secondo brano nasce dalle square dance ed è eseguito da Morris con voce e l’accompagnamento del mouth bow di Charles Everidge. Nessuno può stabilire come il mouth bow sia arrivato nelle montagne del Sud. Probabilmente originario dell’Africa, è stato importato dagli schiavi neri, anche se era diffuso in tutto il mondo e esiste il disegno di un mouth bow in una caverna del Sud della Francia che risale a 15 secoli prima di Cristo. Peraltro è uno strumento talmente semplice da costruire che Everidge sostiene di averlo inventato lui stesso.
Hen Duck: chi conosce Napoleon Strickland e Othar Turner scoprirà il mix di cane fife, tamburi e battito di mani di Ed Young e Lonnie Young in questo incrocio tra africa e country dance music delle colline del Mississippi.
The Farmer’s Curst Wife: qui interpretata da Estil C. Ball è una delle ballate angloirlandesi più note (l’umoristica storia della donna che fa ammattire il diavolo e riesce a tornare indietro dall’inferno), ed è celeberrima la velocissima versione per banjo e voce di Pete Seeger.
Boll Weevil Holler: cantata da Vera Hall di Livingstone, Alabama, è una delle più antiche versioni della ballata che racconta i danni prodotti dall’antonomo del cotone.
Jesse James: la versione bluegrass di un altro classico interpretata dai Mountain Ramblers.
Jesse James: più vicina allo stile di vecchi cantori da strada come Uncle Charlie questa versione di Neil Morris, il cui nonno pare fosse un amico di Jesse James.
Kenny Wagner: un’altra ballata sui fuorilegge interpretata da Bob Carpenter, che la imparò dal disco di Vernon Dalhart (hit della Victor negli anni Venti).

Trouble So Hard: black spiritual interpretato da Vera Hall, giocato sul call and response tra la sua voce e il coro, pur essendo eseguito in completa solitudine. Circa 40 anni dopo Moby lo riprenderà attualizzandolo e facendone un successo internazionale con il titolo di Natural Blues.
Baptizing Scene: scene di vita vera dal Reverendo W. A. Donaldson e dalla sua congregazione, con un canto eseguito durante il battesimo della figlia del Reverendo nella chiesa di Huntsville, Alabama.
Is There Anybody Here That Love My Jesus: a cavallo tra spiritual e gospel, questo brano è cantato da Viola James con la congregazione della Independence Church di Tyro, Mississippi.
Windham: con W.W. Kidd all’Alabama State Sacred Harp Convention ritorno all’innodica, ai tempi del cosiddetto Fasola Folk, in cui si pubblicavano numerosi libri di inni per permettere ai fedeli di eseguirli. Windham è contenuto nell’American Song Book pubblicato nel 1785.
Keep Your Lamp Trimmed And Burning: conosciuta dagli appassionati nelle sue mille versioni, questa ballata in minore è famosa nella versione di Blind Willie Johnson e qui è eseguita da un gigante del blues del Mississippi come Fred McDowell.
Come On, Boys, Let’s Go To The Ball: quills e tamburi, ancora atmosfera africana con altri due nomi noti ai puristi come Sid Hemphill e Lucius Smith. Joel Chandler Harris (l’autore delle fiabe del folklore nero come Bre’r Rabbit) nel 1880 disse di non aver mai sentito un nero suonare il banjo ma solo i quills, che peraltro erano diffusi in Africa ma anche nell’antica Grecia e nelle Ande.
Join’ The Band: eseguito da John Davis e i St Simon’s Island Singers è un antico canto di lavoro basato sul call and response.
Lucky Holler: perché John Coltrane e molti grandi del jazz dicono che l’avanguardia è legata a doppio filo agli hollers e ai field calls? Basta ascoltare questo brano – eseguito da Ed Lewis nel famigerato penitenziario di Parchmam Farm – per capire quanto il suo canto fosse anarchico, ribelle, melanconico, eseguito per sopravvivere e improvvisato.
I Be So Glad When The Sun Goes Down: canto di lavoro di Ed Lewis insieme con altri carcerati. Il canto che tiene il ritmo del lavoro e aiuta a passare il tempo e, eventualmente, a scambiare messaggi che i bianchi non possano comprendere. Ne esistono decine di versioni ma questa è particolarmente evocativa e vissuta.
Cotton Eyed Joe: un classico country, eseguito in mille versioni, qui in un antica performance dei Mountain Ramblers.
Big Tilda: ancora i Mountain Ramblers in un classico delle antiche square dance.
Jennie Jenkins: Estil C. Ball e Orna Ball eseguono un’antica ballad Americana popolare nel New England e nel Sud ai tempi del colonialismo.

John Henry: i Mountain Ramblers nella versione bianca di una delle più celebri ballate americane
Rosewood Casket / Silly Bill / Big Ball In Boston: tre brani dei Mountain Ramblers tra bluegrass, folk, hoedown e qualche armonizzazione jazz.
Chilly Winds: versione del classic black Lonesome Road del violinista Wade Ward registrata a 70 anni di età e con tanta anima.
The Old Hickory Cane: divenuta un classico anche se scritta – sulla base di antiche melodie angloirlandesi – negli anni Sessanta dai Mountain Ramblers.
John Brown: ha imparato i segreti del violino old time dal padre King Smith e Hobarth Smith è diventato un re della old time music.
Poor Ellen Smith: Hobart Smith passa disinvoltamente dal fiddle al banjo per raccontare la storia di Ellen Smith, assassinata da Peter de Graff. Il brano fa parte del genere ‘goodnights’, le canzoni sul tema dell’omicidio e della confessione del delitto.
Shady Grove: ancora i Mountain Ramblers in uno dei più famosi banjo songs sull’amore, eseguito un po’ da tutti, da J.D. Crowe a Jerry Garcia & David Grisman.

Disco 2: Roots Of The Blues/The Blues Roll On
Nel secondo CD Alan Lomax sintetizza in una pagina l’essenza del blues in Roots Of The Blues e racconta in The Blues Roll On la storia di Joe B. Pugh, meglio noto come Forrest City Joe, un’armonicista che – se non fosse scomparso prematuramente in un incidente d’auto – sarebbe sicuramente arrivato al successo commerciale per la sua abilità tecnica, il suo feeling e la sua anima radicata negli antichi canti popolari e nel blues.

Jim And John: alle fonti di quel suono che unisce call and response, holler e ballata con Ed Young che suona un cane fife auto costruito accompagnato dal fratello Lonnie alla grancassa, dal figlio di Lonnie e dal battito delle mani di alcune donne. Come dice Lomax: «Trovare questo tipo di musica ancora vivo è stata una delle più grandi sorprese delle mie ricerche sul campo nel Sud».
The Wild Ox Woman: stupenda l’interpretazione, al tempo stesso ruvida e gentile, di Vera Hall che arriva dall’Alabama, zoccolo duro della cultura delle piantagioni. La Hall fu registrata in passato da John Lomax, ma viene qui riscoperta con intatta abilità esecutiva e sensibilità.
Been Drinkin’ Water Out Of A Hollow Dog: Fred McDowell è una garanzia. All’epoca viveva mandando avanti una piccola fattoria e suonava per la moglie e a volte alle feste del sabato sera. Da brani come questo si capisce come sia diventato un punto di riferimento per generazioni di rocker.
All Night Long: violino e chitarra con Bob e Miles Pratcher, che provengono dalla stessa zona di McDowell e uniscono suoni popolari neri ai reels angloirlandesi e al ragtime nel loro sterminato repertorio.

Shake ‘Em On Down: un classico nella versione di Fred McDowell accompagnato dalla sorella Fannie Davis e da Miles Pratcher alla seconda chitarra.
Levee Camp Reminiscence: ancora alle origini con Forrest City Joe, che lavorò nelle fattorie, alla ferrovia e lungo gli argini dei fiumi (nei levee camps appunto) raccogliendo decine di antiche songs.
Chevrolet: un topical song eseguito dai fratelli Young e scritto da Lonnie Young, che racconta il modo in cui cerca di conquistare una ragazza promettendole mari e monti.
Levee Camp Holler: da Johnny Lee Moore, nel Mississippi Penitentiary a Lambert una delle versioni più antiche del canto di lavoro prediletto da tutti i mule skinners dal Texas alla Virginia. Se ne conoscono decine di versioni con testi differenti e strofe aggiunte.
Eighteen Hammers: un altro classico canto di lavoro eseguito da Moore con una chain gang di dodici prigionieri del Mississippi Penitentiary. Alan Lomax ricorda che, dal suo primo viaggio nel 1933 col padre agli anni Sessanta, i canti dei prigionieri erano quasi del tutto spariti. Belle le fotografie con i detenuti che lavorano i campi e che cantano davanti ai microfoni.
Drink On Little Girl: Forrest City Joe suona il blues per – come spiega Lomax – le giovani ragazze cattive che lavorano nei saloon.
Drop Down Mama: ancora McDowell nella sua versione di un classico di Sleepy John Estes. Se potete confrontatele è molto istruttivo…
Boogie Children: poi trasformato in un classico dall’anarchico del blues John Lee Hooker, questo brano è eseguito all’armonica da Boy Blue (ovvero Roland Hayes), Willie Jones alla chitarra, Joe Lee alla batteria nel classico stile rockin’ blues (con vaghe influenze jazz) tipico dell’Arkansas e di Sonny Boy Williamson.

She Lived Her Life Too Fast: evoluzione del blues e di Forrest City Joe accompagnato da Sonny Boy Rogers alla chitarra e Thomas Martin alla batteria.
Sittin’ On Top Of The World: il superclassico dei Mississippi Sheiks (grande successo discografico) riletto e scarnificato da Ed Young alle cane fife con Lonnie Young alla grancassa e accompagnamento di battito di mani.
Cool Water Blues: come vivere e sentire il blues secondo un carcerato come John Dudley armato solo della sua voce e di una vecchia chitarra.
She Don’t Love Me That Way / Stop Breaking Down: ancora due brani di Forrest City Joe alle prese con vicende amorose.
Joe Lee’s Rock: jam session blues di Boy Blue. Il brano è stato scritto dal batterista della band, avverte Lomax.
Bullyin’ Well: un blues che arriva dritto all’anima, scritto con la tecnica del make up con la voce e la chitarra di Rosalie Hill, la poco nota figlia del grande violinista Sidney Hemphill.
When You Get Home Write Me A Few Little Lines: blues per pensare ma anche come dance music, il protagonista è sempre Fred McDowell in un blues costruito su tre strofe con innumerevoli variazioni melodiche.
Red Cross Store: Forrest City Joe piano e voce in un blues satirico sulla Croce Rossa.
Forrest City Jump: Forrest Joe scatenatissimo alla Sonny Boy. «Penso che questo album sia il tipo di ricordo che avrebbe apprezzato di più» dice Lomax.

Disco 3: Negro Church Music & White Spirituals
Alan Lomax mette a confronto la musica religiosa nera e i suoi mille risvolti (il black spiritual si divide in shuffle shout, hallelujah songs, Church songs e altre mille definizioni specifiche) e quella bianca legata alla tradizione angloirlandese ed europea. Illustra anche le differenze genetiche tra i due stili di canto citando Lorenzo Dow, il grande revivalista metodista che dice di aver ascoltato canti religiosi neri e sermoni eseguiti dagli schiavi in Virginia ancor prima della Rivoluzione americana e contestando al tempo stesso le teorie sulla supremazia dei canti religiosi bianchi di George Pullen Jackson, basate su un evidente errore di metodo. Ma il modo migliore per giudicare è ascoltare questo pugno di brani.

Death Have Mercy: da questo antico spiritual (poi rielaborato da decine di artisti come Reverend Gary Davis) cantato da Vera Hall si nota come la morte, temuta e esorcizzata dagli spiritual bianchi, sia per i neri uno status che porta al riposo, alla gioia e al riscatto.
I Want Jesus To Walk With Me: ai confini di blues e spiritual questo canto eseguito da James Shorty con accompagnamento di Fred McDowell, già patrimonio del repertorio di Blind Willie Johnson.
Jesus Is Real To Me: Mary Lee conduce il coro dell’Independence Baptist Church in un canto che segue la tradizione di Tone The Bell Easy. Una esecuzione coinvolgente che sarebbe bello vedere dal vivo.
I Love The Lord: un inno, un salmo fra i più famosi cantato dal reverendo R.C. Crenshaw a Memphis, Tennessee, imparato dai bianchi e ripreso dagli schiavi che lo trasformarono in una delle loro preghiere preferite.

A Sermon Fragment: per capire la forza mistica e magnetica di un sermone metodista ascoltiamo il frammento di una funzione del Reverendo G.I. Townsel a Birmingham, Alabama.
I’m Goin’ Home On The Mornin’ Train: un’immagine classica, il treno che riporta alla casa del padre con uno stupendo dialogo antifonale e polifonico tra voce (il Reverendo Crenshaw) pianoforte e battito di mani.
Power: un inno Holy Roller, come venivano chiamati i Pentecostali che si opponevano ai Battisti e ai Metodisti proponendo il loro revival. Siamo a Memphis e canta Madam Mattie Wigley con coro, tutti i fedeli, piano, organo, steel guitar e batteria, una vera band vicino al gospel.
On That Rock: la Chiesa era l’unico luogo in cui i neri si sentivano liberi e sicuri. Fuori dalla Chiesa provavano a ricostruire quel climax attraverso la rilettura di brani come questo di Viola James (registrato a Como, Mississippi, culla del Delta Blues) con i fratelli Young.
Jesus On The Main Line: Vera Hall in un classico ripreso da centinaia di artisti.
I’m Gonna Sail Like A Ship On The Ocean: uno dei canti dalle radici più antiche e più legato alle matrici africane viene fuori dalle Sea Islands, più precisamente dai St. Simon Island Singers condotti da Henry Morrison ed è stata eseguita a New Brunswick in Georgia. Questa tradizione è quasi completamente scomparsa se non in micro comunità delle Sea Islands o nel Sud più rurale e isolato.
Blow Gabriel: sempre i St. Simon Island Singers, stavolta guidati da John Davis e Bessie Jones, in uno scatenato shout dove, tra danza e preghiera, riprendono un altro dei più antichi spiritual.
What Do You Think About Jesus (He’s All Right): Bernice McLellan guida i Memphis Pentecostal in un altro avvincente shuffling shout.
Tribulations: qui si parte con il white spiritual degli The Estill Ball Singers, noti anche come bluegrass band, guidati da Estill Ball, erano noti anche come bluegrass band ma Estill sviluppò un nutrito corpus di brani religiosi da lui scritti ed elaborati come questo.
When I Get Home: Estill Ball e il suo chitarrista Blair Ready imitano il tipico call and response dei neri.
The Poor Wayfaring Stranger: resa popolare da Burl Ives che la usava come sigla del suo programma tv sulla CBS, questa ballad diventa una preghiera di montagna grazie alla voce e alla chitarra di Estil Ball.

Baptizing Down By The Creek: i gruppi bluegrass si dedicavano spesso a brani spiritual, basti pensare a Bill Monroe ma anche a gruppi contemporanei come i Seldom Scene, così anche i Mountain Ramblers, dalla Virginia, non sfuggono alla regola.
Sermon And Lining Hymn: attenzione a questa preghiera, registrata in Kentucky, che dimostra come si rivolgevano a Dio i Primitive Old Regular Baptists, definiti anche Hardshells, legati all’antica tradizione dei Puritani.
Antioch: W.W.Kidd e The Alabama State Sacred Harp alla loro annuale convention, eseguono un canto di origine inglese che risale a prima del 1784.
Calvari: un’altra grande performance degli Alabama State Sacred Harp, che prendono nome dal libro di inni The Sacred Harp.
– Please Let Me Stay A Little Longer / Father, Jesus Love You / Lonesome Valley / Father Adieu / The Cabin On The Hill: una infilata di brani di Estil Ball tra cui Lonesome Valley, resa famosa da Woody Guthrie ed eseguita con la moglie Orna che per anni lo ha accompagnato, Father Adieu scritta dallo stesso Ball e The Cabin On The Hill un classico degli artisti bluegrass suonato anche da Earl Scruggs e dagli Stanley Brothers.
The Old Country Church: una canzone di modern vintage come la definisce Lomax dei Mountain Ramblers, molto ben rappresentati in questo CD.

Disco 4: American Folk Songs For Children And More
L’ultimo CD è dedicato alle canzoni per bambini, un corpus molto consistente della musica popolare bianca e nera e ad altre ballate popolari. I primi nove brani fanno parte di un concerto della Mainer Band e di Almeda Riddle con l’intervento dei Mountain Ramblers.

Johnson’s Old Gray Mule: la band di J.C. Mainer è stata una delle più popolari band di mountain music. Formata da J.E. al fiddle, Glenn Mainer al banjo, Carolyn Mainer Helms e Mary Mainer alle chitarre, Jim Dillon alla chitarra e Floyd Overcash al basso, qui esegue un classico che discende dal pittoresco mondo del minstrelsy.
My Little Rooster: Almeda Riddle esegue in rima un classico diffuso con titoli e strofe diverse in tutti gli States, dalla Virginia alla California.
Whoa Mule: anche qui un brano noto in mille versioni tra il worksong e il minstrelsy eseguito dalla Mainer Band.
Frog Went A-Courtin’: la ballata del ranocchio che vuol sposare ‘Miss Mousie’ la topina in una delle sue mille varianti qui interpretata da Almeda Riddle. Da ascoltare la versione banjo e voce di Pete Seeger per un song che risale ad antiche origini angloirlandesi.
Glenn’s Chimes: canzone per bambini scritta da Glenn Mainer.
Chick-A-Li-Lee-Lo: filastrocca nonsense eseguita da Almeda Riddle.
Old Joe Clark: ripresa da mille artisti, compreso Springsteen, è una delle più amate dance songs sudiste eseguita da The Mountain Ramblers.
Go Tell Aunt Nancy: Almeda Riddle in una fiaba diffusa un po’ ovunque, in cui il nome della protagonista spesso diventa Aunt Rhody, Aunt Bessie e che la famiglia Lomax registrò molti anni prima da alcuni prigionieri in un carcere del Texas. La versione della Riddle contiene anche elementi di Old Roger.
Train 111: la Mainer Band ci fa viaggiare su un treno nel profondo Sud con tanto di fischio e rumori della locomotiva.
Johnny Cuckoo: canta Bessie Jones che ha passato tutta la vita a insegnare ai bambini del vicinato (viene dalle St Simon’s Island in Georgia) antiche canzoni ai bambini.
Mama Buy Me A Chiney Doll: Almeda Riddle in un antico brano per bambini delle Ozark Mountain.

Soldier Soldier: torna Hobart Smith con la sua voce e la sua chitarra a raccontare questa ballad famosa nel diciottesimo secolo angloirlandese.
Mary Mack: voce e battito di mani e piedi a Como, Mississippi, con Jessie Pratcher, Mattie Gardner e Mary Gardner.
Hambone: Bessie Jones canta e Charles Gaskins la sostiene con un tappeto ritmico tanto arcaico quanto funzionale.
Banging Breakdown: Hobart Smith in una splendida performance che rimembra la più antica musica nera delle piantagioni e che lui definisce «The Old Negro Tune».
Green Sally Up: game song dei bambini afroamericani, eseguita a Como da un non meglio identificato gruppo di donne.
Sometimes: ballata bluesy di Bessie Jones.
The Arkansas Traveler: Hobart Smith esegue al 5 string banjo questo evergreen. Da ricordare le versioni di Jimmie Diftwood cantata e quella di Norman Blake per sola chitarra (grande numero di virtuosismo).
Paper Of Pins: tornano Estil e Orna Ball in un classico angloirlandese.
The Little Dappled Cow: scritta e cantata da Texas Gladden, misconosciuto e grande balladeer delle Blue Ridge Mountains.
Go To Sleep Little Baby: ninna nanna con cui Bessie Jones e tutte le donne della Georgia hanno cullato per decenni i loro bimbi.
Paddy On The Turnpike: tra old time music e bluegrass Wade Ward al banjo (81 anni e uno dei banjoisti preferiti di Alan Lomax), Charlie Higgins al violino (uno che a 81 anni passava ancora la notte intera a suonare e bere whiskey), Charlie Poe alla chitarra. Una meraviglia.
Jimmy Sutton: ballata di Spence Moore alla chitarra con Roy Birns al mandolino. Spence Moore, che coltivava tabacco, era vicino di casa e si ispirava al grande balladeer Horton Barker, di cui sarebbe utile trovare materiale discografico.
Liza Jane: i Mountain Ramblers eseguono questo brano tipico del minstrelsy da cui sono nate mille variazioni sia nere che bianche.
Oree: tornano i fratelli Young con un tema di chiare origini africane. Tentativo di andare alle radici delle radici.

Train Time: Forrest City Joe improvvisa sul tema del treno e del viaggio.
Freight Train Blues: profumo di country blues con Fred McDowell.
This Little Light Of Mine: ascoltata per la prima volta dai Lomax in un carcere del Texas, cantata da un assassino, qui la ballata è eseguita da James Shorty e Viola James.
Motherless Children: a Como Felix Dukes con McDowell alla chitarra. Uno degli spiritual più celebri ed evocativi che dai tempi antichi arriva fino al palco di Woodstock nell’interpolazione di Richie Havens.
Little Moses: Ballata religiosa, sul genere di Lazarus, interpretata con calore dalla voce e dalla chitarra di Neil Morris
N.B.: In questo CD le tracce sino a Go To Sleep Little Baby sono quelle originariamente presenti nell’ellepì American Folk Songs For Children (Atlantic 1350), mentre le restanti sono quelle che non hanno trovato collocazione nei compact di riferimento per questioni di minutaggio.
Inoltre, nessuno dei brani presenti in questo cofanetto è già stato pubblicato nelle riedizioni della Rounder Records.

Antonio Lodetti, Antonio Boschi, fonte Il Blues n. 126, 2014

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