Mi scuso fin da ora, se in queste righe non saprò trattenere l’emozione nel descrivere la vita di questo artista e i nostri primi incontri con lui, realizzati sia grazie ad un’indovinatissima organizzazione del primo viaggio di Travel For Fans che per una fortunata vicissitudine del tutto fuori programma ed inaspettata.
Leo ‘Bud’ Welch, boscaiolo in pensione, è nato nel 1932 a Sabougla (pronunciato “shah-bow-gla”), un piccolissimo agglomerato di case a pari distanza tra Clarksdale e Tupelo, dove a tutt’ora risiede. Nel 1945, all’età di 13 anni, approfittando di una prolungata trasferta fuori casa di un cugino musicista, imbracciò per la prima volta la chitarra con passione e curiosità. Dopo aver dimostrato una precoce abilità nell’uso dello strumento e della voce, cominciò ad esibirsi in contesti locali, come feste di paese e musical organizzati dalle scuole locali. La sua voglia di esibirsi e di stare a contatto con il pubblico si è evidentemente cristallizzata nel tempo, tanto che proprio quest’inverno, alla veneranda età di 81 anni, ha realizzato il suo primo disco solista, dal titolo Sabougla Voices, che si è rivelato una fortunata uscita discografica che, in questi mesi, ha finito per impegnarlo in un lungo tour promozionale che l’ha proiettato negli ambienti più noti delle colline e del Delta del Mississippi. Ma è solo facendo qualche passo indietro, ovvero tornando nella prima metà degli anni ’70, che Leo Welch dimostra la sua intenzione di entrare a capofitto nel panorama musicale (quantomeno nazionale), lavorando come solista o con una propria band, intrattenendo il pubblico durante i ritrovi di comunità, nei club e con le apparizioni nelle diverse stazioni radiofoniche locali. Ma sarà unicamente attraverso la sua successiva conversione al Vangelo che abbandonerà la vita da bluesman, per esibirsi esclusivamente assieme ai cori vocali Skuna Valley Male Chorus e Sabougla Voices (da qui il titolo-tributo del suo album). Ancora a tutt’oggi, nei pomeriggi del fine settimana, Mr. Welch è costantemente impegnato con le sue esibizioni gospel nelle chiese circostanti la Contea del suo paese, addirittura come ospite in uno show della tv locale dedicato alla musica sacra in cui lo si può vedere impegnato ad introdurre i videoclip degli artisti gospel locali.
Essendo dunque il Vangelo il ‘mezzo’ adottato per condurre una vita meno dissoluta, Welch non descrive i suoi blues come una forma d’arte ‘del diavolo’, ma semplicemente come un modo per descrivere gli alti e bassi della propria vita attraverso il canto, operazione che fa comunque ancora oggi divertendosi durante il racconto, osservando però con orgoglio che da quando ha cominciato a cantare il gospel, non ha più dovuto preoccuparsi dei postumi di una sbornia.
E’ solo in questo ultimo periodo della sua ‘nuova vita’, sotto l’insistenza del suo simpaticissimo ed intraprendente manager Mr. Vencie L. Varnado, che Leo ‘Bud’ Welch accetta di esibirsi in uno degli ultimi veri juke joint rimasti, il Red’s Lounge di Clarksdale. Mr. Leo, che durante i suoi show tiene sempre una Bibbia dentro il suo amplificatore, è così particolarmente piaciuto a Red Paden (che ne è il proprietario), tanto da essere proiettato in breve tempo, tra le ‘stelle’ del più genuino blues mississippiano.
Ed è proprio in questo locale, che noi partecipanti del primo viaggio Travel for Fans, abbiamo avuto la fortuna di assistere all’intenso concerto di Mr. Welch, sostenuto dall’incalzante ritmo di Anthony ‘Big A’ Sherrod alla batteria, già conosciuto, nelle vesti di cantante e chitarrista, guarda caso proprio dentro le mura di questo stesso locale, grazie alle riprese del film-documentario We Juke Up In Here!.
Dopo una squisita cena a base di carne e pasta alla bolognese (!?), cucinata al barbeque dallo stesso Red appositamente per il gruppo di Travel For Fans in visita al suo locale, è arrivato il momento di sentire all’opera il nostro caro Leo Welch che, complice l’avanzata età, e qualche acciacco dovuto al freddo di stagione, ha iniziato a ritmo lento, dando segno di saper dosare bene le proprie forze, infilando qua e là classici del repertorio blues più tradizionale, convincendo il pubblico grazie alla sua assoluta genuinità d’interpretazione, così come solo un consumato bluesman delle colline saprebbe fare.
Per lasciare a Leo la possibilità di riprendersi, ogni quattro o cinque brani, il simpaticissimo manager Vencie Varnado, alle prese con il microfono, intratteneva il pubblico con esilaranti storie e barzellette. E’ così infatti che tutti i presenti, coinvolti da applausi e battiti di mano per agevolare la ritmica sostenuta dal bravo ‘Big A’, rapiti dal suono ipnotico e dall’ambiente circostante (che oserei definire quasi surreale, almeno questa è stata la mia impressione), si lasciano risucchiare in un vortice chimico, misto di forti emozioni, tanto da dimenticarsi lo scorrere delle lancette. Dopo due ore e trenta minuti di concerto, Leo Welch non ha dato alcuna impressione di volersi fermare. Si fa quasi l’una di notte e, vistosamente stanchi per l’intenso programma della giornata appena trascorsa, ci spostiamo verso lo Shack Up Inn per il nostro pernottamento in Clarksdale, non prima di un caloroso scambio di saluti con Leo ‘Bud’ Welch, e di indirizzi di posta elettronica con il suo manager (particolare che si rivelerà importante nei giorni a seguire…).
E’ così infatti che, grazie all’ausilio dei social network, agli scatti fotografici condivisi in tempo reale con i nostri contatti, nonché alla destrezza del manager di Leo Welch, è stato possibile un fuori programma del tutto piacevole. Alcuni scatti di scorci della città di Memphis da noi condivisi, sono stati immediatamente riconosciuti da Vencie Varnado che, intuendo ci trovassimo giusto lì in quel preciso istante ci ha immediatamente inviato un messaggio di posta elettronica per invitarci a partecipare ad un live-show di Leo che si sarebbe tenuto di lì a 30 minuti, ad un paio di chilometri da dove ci trovavamo.
Di fatto, un’occasione importante, dato che sarebbe stato il concerto di debutto di Leo ‘Bud’ Welch in Beale Street, all’interno del Silky O’Sullivan’s Pub, un noto locale della storica via. Coincidendo peraltro con uno dei pochi momenti pomeridiani non impegnati dal serrato ritmo dei percorsi di visita organizzati, non ci pensiamo un attimo in più e ci fiondiamo tra le mura del locale dove un nutritissimo pubblico sembrava già essere rapito dall’esibizione di Mr. Welch. Così, ringraziando ripetutamente Vencie per la gratuita attenzione nei nostri confronti e per averci regalato questa possibilità, ci sediamo al tavolo, e gustandoci una buona birra assistiamo ad un altro grande polveroso live set, che confermerà e rafforzerà positivamente tutte le nostre buone impressioni sull’artista. Per rendere dinamico il suo set Leo, non si risparmia di duettare con i presenti, chiamando sul palco, alcuni tra i musicisti presenti nel locale, con tutta probabilità componenti di band partecipanti al 30° International Blues Challenge, che si svolgeva proprio in quei giorni in molti locali di Beale Street. Tra i brani suonati da solo, un paio di duetti gospel cantati assieme ad una cantante che si accompagnava con un tamburello per scandire il ritmo, un paio di slow blues suonati assieme ad un pianista, filano in tutta velocità un paio d’ore in compagnia di una buonissima musica, dove molti presenti per suggellare il ricordo di questo grande artista, probabilmente visto per la prima volta, non hanno perso tempo per uno scatto assieme all’artista e per acquistare il nuovo disco. Potrei dilungarmi ancora sulle sensazioni provate, ma chiudo qui, cogliendo l’occasione per ringraziare ancora una volta Leo ‘Bud’ Welch e il suo manager per avermi regalato uno dei momenti più intensi e vivi di questo viaggio alla scoperta delle radici del Blues, e per averci lasciato un bellissimo ricordo della sua semplicità e grande cuore.
Lorenz Zadro, fonte Il Blues n. 126, 2014