California

Vorrei iniziare con queste pagine una serie di articoli, che conto di portare avanti con la collaborazione di altri, sui luoghi dove si suona il bluegrass, in qualsiasi parte del mondo essi si trovino (nessuno di voi è stato in Giappone?…).
Ovviamente cominciamo con gli States, e con una parte degli States in cui il bluegrassaro può trovare materiale per soddisfarlo a vita in un solo viaggio (d’accordo, non capita tutti i giorni di fare un viaggio negli Stati Uniti, ma può succedere, anche in modo inaspettato, per cui conviene essere preparati).
Parlo della California, e, in particolare, dell’area di San Francisco e dintorni, anche se un po’ tutta la California è una sorta di paradiso per gli amanti di bluegrass, old time music e musica acustica in generale, oltre che culla di gruppi storici e d’avanguardia come gli Scotsville Squirrel Barkers (Hillman, Leadon, Wertz ecc.) o gli Hillmen (Hillman, Parmley, Gosdin Brothers).
San Francisco offre un panorama ricco di negozi specializzati in strumenti acustici, dischi, insomma ciò che manca qui da noi, e ha diversi locali (bar, ristoranti) in cui il bluegrass è di casa.
Al San Francisco Folk Music Center si può ascoltare musica folk in generale (l’avreste mai detto?) e bluegrass, così al Plowshares, orientato in senso un po’ più progressivo, ma sempre interessante, e ancora bluegrass al Freight And Salvage di Berkeley.
Il locale che però può essere considerato una tappa d’obbligo per chi si trova a San Francisco è  Paul’s Saloon, in Scott Street, nella Marina, da molti anni cuore della scena bluegrass della Bay Area. Bluegrass sei sere la settimana, con band locali di ottimo livello, e occasionalmente ospiti più illustri. Due band, in particolare, si fanno notare per la loro bravura, e vorrei segnalarvele a futura memoria.

High Country: esiste dal 1968, è quindi una delle band più longeve degli States, ed è centrata attorno a Butch Waller, mandolinista di classe, seguace dello stile di Bill Monroe in modo quasi commovente, e band leader di notevole capacità.
Con Waller suonano in High Country il banjoista Larry Cohea, che è uno dei migliori costruttori e riparatori di banjos, chitarre e mandolini di tutta San Francisco, Larry Hughes, chitarra e lead singer, Steve Swan, contrabbassista potente e solido, e Jack Lederer, fiddler vivace e preciso. Il suono della band è compatto, senza fronzoli ma ricco di diverse sfumature, quasi tratto in blocco dalla migliore produzione degli anni ’50 di band come i Blue Grass Boys o Flatt & Scruggs, a cui in effetti la band si ispira molto.
Butch Waller è uno dei pochi mandolinisti contemporanei in grado di utilizzare lo stile sincopato e bluesy di Bill Monroe nei propri assolo; è raro ascoltare da lui qualcosa di più ‘moderno’, se così si può dire, qualcosa alla Doyle Lawson o alla Sam Bush: Monroe è decisamente il suo modello, e il suo stile è riprodotto con una fedeltà che rasenta la venerazione, ma senza sconfinare nella piatta imitazione.
Gli altri membri della band, al contrario, pur restando tradizionalissimi nel loro rapporto col suono della band, si lasciano andare un pò di più a sperimentazioni e sonorità meno datate: così Larry Cohea suona un perfetto break in ‘melodic style’ su un pezzo come  Kentucky Mandolin, e Lederer esce ogni tanto dal filone Chubby Wise / Kenny Baker / Paul Warren, e utilizza fraseggi e note meno ‘tradizionali’.
Dal lato vocale High Country ha la pienezza dei cori tradizionali in duo o trio, e nei gospel la voce bassa di Steve Swan si aggiunge ai lead di Larry Hughes, al baritone di Butch Waller e al tenor di Larry Cohea in quartetti vocali che poco hanno da invidiare a quelli dei Foggy Mt. Boys di 30 anni fa.
High Country ha un paio di album al suo attivo, registrati alcuni anni fa, ed un nuovo album in preparazione. Nonostante la mancanza della loro ottima presenza scenica tolga parecchio all’ascolto vi raccomando l’acquisto dell’ultimo LP, per avere un’idea di cosa ‘local band’ possa in alcuni casi significare!!!

The Good Ol’ Persons: band prevalentemente femminile, che vede Kathy Kallick a chitarra e lead vocal, Atheny Rain a contrabbasso e tenor (termini maschili per voci da gentili fanciulle!!), Sally Van Meter a dobro e baritone, John Reischman (Tony Rice Uniti!!) a mandolino e occasionali baritone o bass vocals, e Paul Shelaski a fiddle e occasionali lead e baritone vocals.
Manca il banjo, d’accordo, ma qui ci fermiamo con i ‘difetti’: ascoltare The Good Ol’ Persons è infatti un’esperienza che non si dimentica tanto facilmente. Le voci femminili sono rappresentate alquanto raramente nel bluegrass, come sappiamo; le sorelle White e Delia Bell, per non parlare di Hazel & Alice sono infatti casi particolari, che solo in tempi recenti hanno ricevuto la stima e i riconoscimenti che meritano.
The The Good Ol’ Persons rappresentano una felice aggiunta a questa ancora esigua schiera di ‘coraggiose’, e non potrebbero essere più benvenute.
Parlo al femminile perché il nucleo fondamentale della band è femminile, ma l’incredibile bravura di John Reischman (che mi auguro conosciate dagli album Still Inside e Backwaters della Tony Rice Unit) e di Paul Shelaski è un indubbio punto di forza, vocalmente e strumentalmente, del suono della band.
Dal lato strumentale le tre ragazze se la cavano più che egregiamente: Kathy è una fantasiosa chitarrista ritmica in grado di sintetizzare le tecniche di chitarristi grintosi come Lester Flatt o Jimmy Martin in uno stile più delicato, ma trascinante; il contrabbasso di Atheny Rain è giusto in ogni momento, vario e di timbro pieno; ho qualche riserva sul dobro di Sally, ma il suo back-up sostiene in modo insostituibile la ritmica della band, con tecniche diversissime e spesso inusuali.

E’ però la componente vocale della musica dei Good Ol’ Persons che lascia sorpresi: la forza del lead di Kathy è infatti perfetta introduzione ai cori, che sono decisamente da brividi; la fusione delle parti è impeccabile, i timbri delicati delle voci femminili creano atmosfere insolitamente intime anche in canzoni che conoscevamo come scatenate, senza però sottrarre nulla al ‘drive’ tipico del buon bluegrass; nei gospel, poi, l’aggiunta delle voci di Reischman e Shelaski rende il suono più pieno, e l’abilità delle tre ragazze di variare le rispettive parti sulle variazioni della melodia, per meglio evidenziare il lead in ogni momento, è qualcosa che molti professionisti ‘stagionati’ dovrebbero imparare!
Dal lato scenico, poi, la band ha una presenza notevole, un senso dei tempi di spettacolo invidiabile, e una mobilità rilassata e composta che, purtroppo, non si nota troppo spesso in gruppi giovani. Una band tutta da vedere.
Il primo LP dei Good Ol’ Persons, per la Arhoolie, è in preparazione in questo periodo: ne riparleremo presto.
Dalla Bay Area passiamo alle montagne, alla Sierra per la precisione, sopra San Francisco oltre la Sacramento Valley, per occuparci di una delle band più importanti, anche se poco conosciute al momento, della California.

Vern Williams Band: chi segue la storia del bluegrass nei suoi minimi dettagli ricorderà certo (almeno spero) il duo Vern & Ray, alias Vern Williams e Ray Park, ambedue originari dell’Arkansas, che in compagnia di Herb Pedersen e di altri musicisti ebbero un discreto seguito negli anni ’60 in California, come è testimoniato nel loro album Sound From The Ozarks (OH -10001).
Ora Ray Park suona con Doug Dillard, Herb Pedersen è uno dei migliori e più ricercati sessionmen disponibili in California e a Nashville, e Vern Williams continua quasi in silenzio la sua carriera a Valley Springs, California, nello stesso modo in cui ha sempre vissuto la sua musica; di giorno lavora in fabbrica col figlio Delbert, chitarrista nella band, e la sera, o quando si presenti l’occasione, si unisce al resto della band per suonare in concerti, festival, pickin’ parties.
Il carattere professionale della Vern Williams Band, infatti, è evidentissimo nella musica formidabile che il gruppo produce, ma non nel privato dei singoli musicisti, che sono, al di fuori del palco, i classici ‘uomini della strada’, lontani mille miglia dalla figura della country star del musicista di professione  comunque sia.

Con Vern e Delbert Williams suonano Keith Little, uno dei migliori giovani banjoisti che
abbia avuto occasione di sentire, solido come una roccia nel suo Scruggs-style sincopato e senza smagliature, Ed Neff, fiddler fra più richiesti nella zona (suona infatti con
altre band a San Francisco e dintorni), e Kevin Thompson, uno dei pochi contrabbassisti in grado di ‘spingere’ una band anche nei pezzi più tranquilli, con timbro pieno e
ritmo e drive degni di capiscuola come Bill Yates o Howard Watts.
La storia della Vern Williams Band è in un certo modo atipica, per musicisti di quel livello: nel ’74 Vern e il figlio si trovano ‘abbandonati’ da Ray Park, che si trasferì a Sud, e le jam session informali fra padre, figlio e amici di questo (Keith Little in particolare, ingaggiato dopo un’audizione telefonica!) divennero forzatamente più serie.
Con l’aggiunta successiva di Ed Neff e Kevin Thompson la band raggiunse la formazione  attuale, con cui ha registrato un album per la Rounder, Bluegrass From The Gold Country (Rounder 0131), e un album come accompagnatori di Rose Maddox.

La band è raramente in grado di provare seriamente i pezzi del repertorio: Neff e Thompson, infatti, vivono lontano da Valley Springs, e hanno impegni anche con altre band (Neff con Lost Highway, di Los Angeles, e Thompson con The New Done Gone Band di San Francisco e, precedentemente, con High Country, prima di essere sostituito da Steve Swan).
Non sono però solo le difficoltà obiettive a rendere ‘particolare’ la Vern Williams Band: Vern, infatti, sostiene che non è necessario per loro provare molto o arrangiare le parti vocali, anzi, è sua convinzione che un lavoro troppo organizzato di preparazione delle canzoni (o dei concerti: la band suona senza ‘scaletta’!) toglierebbe molto fascino e piacere al suonare.
Credetemi, tutto ciò non è assolutamente evidente dall’ascolto della Vern Williams Band: il suono pieno, grintoso, da anni ’50, alla Monroe-Stanley-F&S è perfetto, personalissimo, unito, e soprattutto sentito. Tutti suonano sostenendosi a vicenda, e dando il meglio di loro stessi per rendere trascinante il suono; le voci, a parte rari momenti in cui due voci cantano la stessa nota, hanno dentro tutto l’entusiasmo che solo chi canta ‘dal cuore’ (come direbbe Bill Monroe) può dimostrare, e sono portate con la forza di una tecnica istintiva ma ‘giusta’, in grado di imprimere ai cori quel tanto favoleggiato ‘high lonesome sound’ che così raramente ascoltiamo al giorno d’oggi.
Ultima annotazione: il repertorio della Vern Williams Band è insolito e molti sono i pezzi non-bluegrass che Vern adatta e inserisce. Questo non sarebbe insolito se i pezzi in questione non fossero per la maggior parte vecchie canzoni di Stephen Foster!
E il buon Foster sarebbe contentissimo del trattamento che Vern e compagni riservano alle sue canzoni più note, come Old Kentucky Home o Old Folks At Home.
Vorrei concludere questo profilo della Vern Williams Band con alcune parole di Vern, molto adatte a far capire cosa sta sotto alla musica del gruppo: “Tanti suonano meglio di me, ma nessuno si diverte di più”.

Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 1, 1983

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