Tutte le strade portano a Nashville. Il country rinasce dalle sue stesse ceneri e ritorna prepotentemente sulla ribalta internazionale. La sua capitale è sempre nel Tennessee.
Sulla cresta dell’onda
Una volta era davvero tutto molto più facile. I generi musicali erano definiti sia nella forma che nella sostanza, i protagonisti inconfondibilmente riconoscibili dalle prime note del disco o, ancor più semplicemente, dal look della copertina.
L’ibrido era considerato pericoloso: quando andava bene esso veniva marchiato come evento mistificatorio e, come tale, spesso messo all’indice. Jazz, rock e pop avevano i loro bravi sottogeneri, mille magari, ma tutti diversi e distinti tra loro, con caratteristiche musicali, sociali e di consumo ben precise.
Non parliamo poi delle musiche di origine etnica: folk, blues, musica sudamericana, e chi più ne ha più ne metta, si riproducevano sugli schemi originali, pur con tecniche e qualità rinnovate.
Lontani erano i tempi delle macedonie sonore così tipiche dell’attuale momento musicale, delle commistioni tra stili e filoni, a volte sottilmente diversi tra loro altre volte diametralmente opposti.
Oggi si parla di world music (sempre più vicini al concetto di ‘villaggio globale’ a lungo ipotizzato dagli esperti di comunicazione), si ascolta ogni tipo di ‘fusion’, si guarda all’Africa come ad un continente musicalmente tutto da scoprire.
La seconda metà degli anni ’80 ha indubbiamente segnato, nel campo della musica, una svolta importante. Abbiamo numerose testimonianze di ciò: il successo di personaggi come Peter Gabriel, Sting o del Paul Simon di Graceland ha confermato le nuove tendenze della musica rock e pop (almeno di quella intelligente) e una rinata sensibilità verso fonti musicali e contenuti sociali per troppo tempo dimenticati..
La canzone ritorna nuovamente ad incorporare un messaggio più o meno velatamente politico o perlomeno, come si diceva una volta, impegnato e questo spiega, se vogliamo, il successo della nuova generazione di cantautrici guidata da Chapman, Shocked, Childs e Tikaram.
Anche il jazz ha superato le anguste barriere (in senso commerciale) della musica d’elite: Miles Davis, Pat Metheny e Bobby Mc Ferrin, per lungo tempo in bilico tra la scomunica dei puristi e la disattenzione delle case discografiche e dei mass media, hanno raggiunto oggi pubblica consacrazione.
Anche nel nostro piccolo paese colpiscono favorevolmente i trionfi di Zucchero, i successi internazionali di Paolo Conte, il riscontro ottenuto da personaggi di qualità come Tuck & Patti, Manhattan Transfer, Youssou ‘n Dour.
La crescita dei sistemi di informazione è una delle cause principali di questa proliferazione di musiche, certamente non disgiunta dal fatto che, da Woodstock in avanti, l’industria si è resa conto dell’enorme potere di aggregazione e di orientamento che la musica rock e i suoi derivati possiedono su eserciti di giovani in tutto il mondo.
Tutto questo, alla luce attuale dei fatti, ha sostanzialmente creato nuovi spazi e maggiori possibilità di espressione per generi musicali nuovi, per artisti emergenti, per chi ha idee originali.
Ed è senz’altro un momento favorevole, molto più che in passato, per tutti coloro che si occupano di fenomeni musicali alternativi al grosso business pop o ai circuiti un pó sclerotizzati della musica classica.
A patto, ovviamente, che ci si sappia adattare ai tempi attuali, alle regole del gioco, ai nuovi bisogni del pubblico. Ecco quindi che se alcuni filoni musicali non riescono a progredire ed a trovare soluzioni rinfrescanti (ed è il caso, ad esempio, del folk, del reggae o della musica brasiliana), anche una roccaforte della tradizione (come Nashville) riesce ad uscire dal pericoloso ‘impasse’ dei primi anni ’80 con forza e determinazione.
La nuova immagine della country music
Cercare di capire quale sia l’immagine attuale della country music non è così facile. Soprattutto se analizziamo il problema in modo superficiale commettendo l’errore di ricercare caratteristiche comuni e sperando che esse possano, sommate tra loro, fornirci il prototipo da riprodurre per costruire il fenomeno di successo.
Anche l’osservatore meno esperto noterà infatti che, negli ultimi tre anni, sono emersi in questo campo personaggi molto diversi tra loro sia nella proposta musicale che nell’immagine.
Prendiamo a caso: oggi funzionano allo stesso modo un ragazzo un po’ triste dalla giacca con ricamoni, blue-jeans sdruciti, cappellone da cow-boy che suona pura honky-tonk music degli anni ’40 così come un ‘all american boy’ che ha rivitalizzato il vecchio bluegrass e le antiche tradizioni del sud grazie a sonorità pulite e arrangiamenti godibili dal vasto pubblico.
Piace una ragazza dal fascino androgino, metà punk e metà cowgirl, che dal Canada propone una musica che era già classica negli anni ’60; si stravede per un giovanotto dal timbro vocale caldo e suadente che ripropone la ballata melodica piena di luoghi comuni; vengono celebrati miriadi di gruppi che suonano quello che una volta veniva definito country-rock.
Allo stesso modo si impazzisce per una esile texana che con la forza della sua chitarra, della sua voce e dei suoi testi impegnati, rinnova il fascino del folksinger.
Per non parlare del successo di un duo, madre e figlia, che rinfresca il mito della ‘family band’ o di quello di un gruppo che ricorda a tutti quanto importanti siano stati la California e il celebre ‘Bakersfield sound’ di Buck Owens e Merle Haggard. E così via.
Cosa vuoi dire tutto ciò? Casualità e confusione? Mancanza di logica? No, non credo. Innanzitutto è bene non dimenticare che nel 1988 il mercato della country music ha prodotto vendite discografiche per oltre 200 milioni di dollari (più o meno 280 miliardi di lire) pari cioè a oltre metà del fatturato dell’intera industria discografica in Italia. In un business del genere il concetto di casualità non è previsto.
Nashville è un grosso centro di potere; tutte le principali case discografiche hanno una ‘Nashville branch’ che si occupa prevalentemente di country e che spesso viene gestita autonomamente rispetto alla casa madre e che gode di rispetto e attenzione non indifferenti.
Nella ‘Music City U.S.A.’ vi sono centinaia di studi di registrazione, agenzie di promozione, edizioni musicali, testate gìornalistiche, circuiti radiofonici, emittenti televisive: un giro d’affari indotto che, anche in questo caso, supera le centinaia di milioni di dollari l’anno. Per tacere di alcuni ‘luoghi sacri’, ormai passati di diritto tra le leggende della musica americana, come la celeberrima Country Music Hall Of Fame (il museo-tempio del country) e la non meno popolare Opryland (sorta di Disneyland musicale e nuova sede del Grand ‘Ole Opry, il più famoso country-show della storia) che non fanno altro che incrementare il fascino e l’importanza economica di questa cittadina del sud.
Tali considerazioni inducono a pensare che nessuno abbia il minimo interesse ad affossare questa colossale e poliedrica impresa e che, anzi al contrario, tutte le energie siano protese alla costante ricerca di nuovi elementi di successo.
Lo testimonia il fatto che, dopo anni in cui Nashville è stata sinonimo di conservazione e cultura reazionaria, oggi le tendenze stanno leggermente cambiando.
Nel momento in cui il mai troppo disprezzato ‘Nashville Sound’, voluto da Chet Atkins per ‘popizzare’ e divulgare a audience più vaste il gergo country, ha cominciato ad invecchiare con l’invecchiamento dei suoi protagonisti e, di conseguenza, dei fans, si è reso necessario un momento di riflessione.
A poco erano serviti i cosiddetti ‘outlaws’ che, di oltraggioso, avevano abbastanza poco dal punto di vista musicale. Anzi, essi rappresentarono pure una minaccia anche se, alla fine, Nashville riuscì a respingere il loro tentativo di trasferire il business del country a Austin, Texas (complice la televisione e il celebrato show Austin City Limits).
Ma, tanto per dirne una, la ‘Music Row’ si fece sfuggire, proprio nei primi anni ’70, il più interessante fermento artistico di rivalutazione del patrimonio country. Il country-rock non appartenne mai a Nashville, vuoi per la prontezza del mondo rock ad appropriarsene vuoi per l’allora proverbiale rigidità mentale dei padroni di ‘Music City’.
“Quelli sono hippies” si sentiva dire a proposito dei giovani country-rockers.
Nashville, d’altronde, era un po’ la roccaforte di tutti quei valori (patria, famiglia, religione, che peraltro cominciavano ad entrare in crisi in quegli anni) cari a milioni di statunitensi.
Vi immaginate cosa avrebbe potuto significare, agli inizi degli anni ’70, l’esibizione al Grand ‘Ole Opry di un personaggio come Gram Parsons (padre spirituale del country-rock, e che forse più di altri covò il sogno di essere accettato dalla Nashville family), con capelli lunghi, abito con foglie di marijuana ricamate e stacchi rock alla Grateful Dead?
Equivaleva, più o meno, ad andare dal Papa urlandogli in faccia un bestemmione.
Risultato: cartellino rosso e scomunica immediata. Per questo personaggi come Emmylou Harris, Hillman & Mc Guinn, Nitty Gritty, Poco (tanto per fare i primi nomi di idoli del country-rock) non andarono mai a Nashville né da Nashville furono accettati.
E’ ironia della sorte che proprio alcuni di loro risultino invece, in un certo senso, i principali ispiratori degli attuali eroi della nuova country music.
Che il ‘Nashville Sound’ cominciava ad andare in crisi fu evidente all’inizio degli anni ’80 quando, grazie ad un film di grande successo Urban Cowboy (interpretato da John Travolta) si cominciò ad affermare una nuova immagine più grintosa, rocker e trasgressiva rispetto al finto cowboy latte e miele, eroe tranquillizzante di country fan attempati cosi ben raccontato in un’altra famosa, pellicola, Nashville di Robert Altman.
Le vendite (più importanti per il manager nashvilliano di qualunque altra filosofia) non lasciavano dubbi: oltre 250 milioni di dollari nel 1981, anno d’oro in cui, per la prima volta nella storia, la country music divenne negli Stati Uniti il secondo genere (in termini commerciali) dopo il pop-rock.
Ma nonostante ciò, l’avvento di Urban Cowboy non chiarì subito le idee ai discografici: ancora sì pensava che il filone giusto era quello rappresentato dai grandi classici, da Tammy Wynette a Johnny Cash.
Invece gusti e tendenze stavano cambiando. Il pubblico stesso, potenzialmente ricettivo al country, era mutato.
We all are americans
Le radio sono di importanza capitale nel sistema musicale americano. Negli anni ’20 esse rappresentarono un vero e proprio strumento di mutamento sociale. Oggi sono il mezzo di promozione più efficace nelle mani dell’industria discografica.
Le country stations sono, a loro volta, incredibili centri di potere in grado di condizionare il mercato, le uscite, il successo di gruppi, artisti, generi musicali.
Ma qualcosa sta cambiando anche in questo settore. Ai criteri di specializzazione degli anni scorsi (le classiche differenziazioni per generi musicali) si va sostituendo quello che in America viene chiamato ‘new radio format’.
La segmentazione del mercato non è più effettutata sulla base del gusto musicale ma su caratteristiche socio-demografiche e culturali. Ecco, ad esempio, perché in questi giorni si fa un gran parlare delle N.A.C. (New Adult Contemporary) radio stations.
I ‘New Adult Contemporaries’ sono una categoria statistica che include una selezione di persone tra i 25 e i 54 anni, con disponibilità economica e desiderio di acquistare prodotti di qualità: e che sono pronti a spendere molto pur di averli. Questa categoria è risultata particolarmente ricettiva nei confronti di musiche come il jazz, la fusion, la new age, il rock sofisticato e anche certo country.
Il nuovo modo di operare (perfettamente in linea con i criteri di produzione e fruizione trasversali della musica di questi ultimi anni) certamente modifica il panorama radiofonico e di conseguenza il mercato discografico. Oggi è veramente difficile trovare una stazione radio che trasmetta country music pura 24 ore su 24. E questo vale anche per le altre radio specializzate.
I numerosi mutamenti hanno sollecitato una ridefinizione del profilo del consumatore. Una volta il country fan incorporava il concetto di ruralità, sia nella musica che nell’immagine; e spesso sì identificava con gli abitanti del sud-est (la culla della musica tradizionale) o comunque con gente della provincia. Oggi, la stessa idea seppur ancora in molti casi valida, si è notevolmente dilatata, tanto che l’odierno fruitore non viene più considerato parte di un gruppo separato ma cittadino d’America.
Quindi anche se una parte della nuova ondata country mantiene sostanzialmente inalterati contenuti ed immagini riconducibili ai classici valori della tradizione lo spettro d’azione si è esteso verso un qualcosa che potremmo definire ‘All-American Music’.
E il suo pubblico non presenta nessuna caratteristica particolare se non quella della normalità: una specie di ‘maggioranza silenziosa’ in cui portare il cappello da cowboy è facoltativo. Ascoltare musica country, infatti, non vuoi dire più sentirsi un hillbilly dei North Carolina né automaticamente essere in antitesi con la cultura metropolitana, e neppure rimanere isolati in un ghetto culturale: è una semplice e libera scelta che tutti, se vogliono, possono fare.
Una musica per tanti gusti
Mai come in questi giorni la musica country ha espresso una varietà di proposte musicali di qualità e un numero di personaggi di talento così cospicuo.
In questo l’intero movimento è stato agevolato dal fatto che il trend attuale (quello che comunemente viene definito ‘New Country!’) non è propriamente un nuovo genere: più semplicemenle questo termine identifica l’insieme delle situazioni musicali che Nashville ha prodotto dal 1985 ad oggi.
Nella maggior parte dei casi si è trattato di operazioni di rivitalizzazione (o di ‘maquillage’) di filoni in voga venti, trenta o addirittura quarant’anni fa mescolati con influenze sonore, di look o di semplice approccio artistico tipiche di alcune nuove forme di rock.
Se questo calza perfettamente con tutti i discorsi sin qui fatti e, di conseguenza, con le attuali tendenze della musica, va anche sottolineato come altri due fattori altrettanto importanti abbiano contribuito a rilanciare in modo imperioso la musica country negli Stati Uniti.
Innanzitutto l’età media dei nuovi protagonisti, che è sensibilmente inferiore ai più celebri predecessori. Questo aspetto non solo ha favorito l’indispensabile ricambio generazionale degli artisti ma ha contribuito a ringiovanire il fruitore medio, facilitando i classici processi di identificazione e proiezione dell’immagine così importanti per il raggiungimento di successi di massa.
In secondo luogo, questi anni hanno visto il grande ritorno della ‘provincia americana’ e la relativa affermazione di una cultura indipendente dal monopolio delle grandi metropoli, New York e Los Angeles su tutte. Il successo di personaggi come Bruce Springsteen o Huey Lewis ma anche di artisti più sofisticati come John Hiatt, John ‘Cougar’ Mellencamp, Bruce Hornsby o Ry Cooder ha indubbiamente favorito l’accostamento del vasto pubblico a suoni e filosofie musicali più genuine rispetto al sound sequenserizzato del rap o della house music delle discoteche di Manhattan.
Risultato: la musica country in questi giorni non solo sta vivendo uno dei periodi più luminosi ma soprattutto è stata in grado, per la prima volta dalla sua nascita, di differenziarsi e di proporsi contemporaneamente sotto diverse forme, tutte valide ed interessanti.
Are you ready for thè country?
Protagonisti a confronto
Orientarsi nell’attuale giungla country non è facilissmo. Per questo ho pensato che fosse utile dare dei brevi flash sugli artisti più interessanti emersi in questi ultimi cinque/sei anni. Per agevolare il percorso ho raggruppato per categorie quei personaggi che, per background musicale, scelta artistica o per sound potevano in qualche modo essere accostati. Naturalmente il procedimento usato ha seguito un criterio assolutamente soggettivo (così come i nomi dati alle diverse categorie sono di pura fantasia) e non so neanche se gli artisti lo potrebbero gradire o meno.
In ogni caso esso va preso per quello che è: un semplice tentativo, appunto, di orientare il lettore o il potenziale interessato.
Padri spirituali (Un gruppo di ‘vecchietti’ che hanno influenzato le nuove generazioni ma che sono, oggi più che mai, sulla cresta del’onda).
Emmylou Harris, regina della nuova country music. Una voce dolce, un particolare gusto per la strumentazione acustica ma anche una grande capacità di essere aggressiva e determinata nei pezzi più hard. Fidanzata di Gram Parsons, agli inizi degli anni ’70 era ritenuta troppo osé per i perbenisti nashvilliani, gli stessi che oggi la considerano il massimo della purezza country. Ormai una tranquilla signora quarantenne, conserva immutati, nonostante i lunghi capelli bianchi, uno straordinario fascino e notevole sex appeal: nella sua band hanno suonato i più grandi pickers, da Ricky Skaggs ad Albert Lee. Un mito.
Buck Owens: uno dei due re di Bakersfield e quindi del country californiano degli anni ’50. Il genere è stato ripreso da moltissimi giovani eroi ed è ironico pensare che tutti i dischi di Buck siano oggi fuori catalogo. Recentemente, sulla scia di questo successo indotto, ha inciso di nuovo con il suo epigono Dwight Yoakam.
Merle Haggard: l’altra faccia di Bakersfield, in perenne lite con Owens per la corona di re del country californiano. Più continuo del suo rivale, il successo di Merle Haggard è costante da oltre 30 anni e spesso si guarda a lui come ad un fenomeno senza tempo.
Dolly Parton: straordinario personaggio emblema del kitsch nashvilliano ma anche della incredibile capacità creativa dello show business americano. Dolly è ormai una star multimilìardaria del cinema e della TV ma conserva una valenza musicale indubbia e una predilezione per le cose semplici e genuine. L’album Trio, con Emmylou e Linda Ronstadt e il recentissimo White Limozeen la ripropongono come una delle interpreti più interessanti della country music di tutti i tempi.
Nitty Gritty Dirt Band, il più celebre gruppo di country-rock della storia, quello che meglio di tutti ha saputo fondere la matrice country con il ritmo pulsante del rock’n’roll. Rimarrà nella storia il progetto (Will The Circle Be Unbroken) di riunire in un album triplo i grandi della musica country e i loro giovani epigoni. In attività da oltre 20 anni, ha di recente dato un seguito al Circle, con un doppio album di enorme valore.
Honky-tonk men (Quelli che hanno aperto la via. Duri, pulsanti, non devono chiedere mai: l’atmosfera fumosa dei bar del sud è il loro regno, le sensazioni forti sono una regola di vita).
Dwight Yoakam, un enorme cappello da cowboy, una bella voce e la musica di Buck Owens. Con una semplice ricetta questo giovane di Los Angeles (all’inìzio rifiutato da Nashville) ha trasformato il suo debutto in un album d’oro. Il suo look piace anche ai sofisticati ‘western chic’ newyorkesi: Dwight è un fenomeno di tendenza. La sua musica, specie nell’ultimo album, è davvero eccellente e conserva molto dell’originale impronta del country di Bakersfield.
Steve Earle, spesso accostato a Yoakam solo perché esploso più o meno contemporaneamente, è in realtà molto diverso dal giovane talento californiano. Earle, lanciato in orbita dall’album Guitar Town è molto più elettrico, duro e tagliente nel sound: una specie di moderno rockabilly, piuttosto originale. Steve Earle è stato inserito in questa categoria ma avrebbe potuto benissimo formarne una da solo.
Hank Williams Jr., figlio di uno dei miti del country, Hank Jr. ha saputo essere così bravo da non cadere nell’errore di voler ricreare la musica del padre. Dopo aver sfiorato la morte nel 1975 (per un pauroso volo sulle montagne del Montana) ha ripreso la sua attività alla grande con una formula musicale più incisiva ed efficace. Nel 1982 ha stabilito un record clamoroso piazzando contemporaneamente 9 album in classifica.
Highway 101, uno dei gruppi più interessanti. La voce e il fascino della bionda Paulette Carlson sono l’inconfondibille ‘trademark’ di questa band voluta dall’attuale manager della Nitty Gritty, Chuck Morris. Highway 101 (2 album all’attivo) è un’interessante miscela elettro-acustica con ritmo e pulsioni di grande effetto. Country rock di qualità.
Ricky Van Shelton, un look da ‘macho de borgata’ per un riparatore di pipe della Virginia che ha trovato l’America a Nashville. Qualcuno dice che l’industria cercava un qualcuno da contrapporre allo strapotere di Randy Travis: con il ‘bel tenebroso’ però Ricky ha in comune solo il caldo e suadente timbro baritonale della voce. Per il resto Van Shelton dispone di un suono più grintoso e nerboruto: lo colloco più volentieri tra gli honky-tonk men.
Rosie Flores, la Yoakam in gonnella. Inventata da Pete Anderson, produttore di Dwight, Rosie è un’altra fuoriuscita della scena di L.A. (si segnalò per la sua partecipazione ad una compilation country di artisti della ‘città degli angeli’ chiamata A Town South Of Bakersfield). Ottima voce e grande ritmo per un personaggio con grosse potenzialità.
Alabamoidi (Alabama e loro replicanti, ovvero il country dei giovani professionisti ma anche degli entusiasti delle ‘four-wheel drive’. La musica da sentire in radio per le lunghe ed interminabili highway americane, ideale per chi è affascinato da tutto ciò che è a ‘stelle e strisce’).
Alabama, gli inventori del genere. Salutati da tutti come “il nuovo gruppo country” degli anni ’80, per lunghi periodi hanno sbancato le ‘country charts’. Alcuni hit di successo (vedi Mountain Music) sono divenuti popolari persino qui da noi. Semplici, puliti, buoni propositi e musica muscolare sono gli ingredienti di base per la loro ricetta sonora. Ottime voci e una ‘mountain music’ che ha più riferimenti negli Eagles che non nella Carter Family completano il quadro vincente di un fenomeno di successo.
Southern Pacific, un paio di ex-Doobie Bros, e altri compagni di avventura per un gruppo interessante ma troppo spesso ai confini dell’easy listening.
Fortissimo John Mc Fee, polistrumentista di talento ed eccellente front-man.
Exile, hanno sfondato nel 1978 con il singolo Kiss You All Over convertendosi ad un country moderno solo nel 1983. Il leader del gruppo (J.P. Pennington) è il figlio della leggendaria Lily Mae Ledford, violinista e cantante delle Coon Creek Girls.
Restless Heart, la versione più ripulita e cittadina degli Alabama. Piacciono agli ‘yuppies’ o meglio ai ‘New Adult Contemporaries’, le cui radio specializzate in continuazione mandano il loro singolo di maggior esposizione, la dolce ballata I Still Be Loving You.
Texas Stars (Dallo ‘Stato della Stella Solitària’ due gemme luminose, forse i migliori talenti in circolazione, a rinnovare la tradizione musicale di un grande stato).
Nanci Griffith, dolce poetessa, folksinger sofisticata, cantante con voce che ricorda la miglior Carole King. Nanci è anche un personaggio impegnato che nei testi delle sue canzoni non dimentica i problemi del mondo. Riscuote grande successo nelle isole britanniche: presto sarà famosa in tutto il mondo.
Lyle Lovett, inquietante personaggio dal look misterioso e dal fascino ambiguo. La sua musica è una sapiente fusione di country, jazz e di western swing. Voce calda, arrangiamenti sofisticati (specie nell’ultimo LP) Lyle è straordinario anche nella versione live. Una chicca per veri cultori della musica di qualità.
Country’s Angels (Gli angeli del country, le giovani regine della nuova Nashville. Anche nel country, in questo periodo, “donna è bello”: specie se si è in gruppo).
The Judds, madre e figlia, Naomi e Wynonna hanno rappresentato il classico esempio del ‘sogno americano’. Dalla totale anonimia al successo clamoroso, questo duo conserva intatte le caratteristiche di un suono pulito, molto acustico per valorizzare le splendide armonie di due voci pressoché uguali. Qualcosa da ridire sul pesante trucco che le rende simili a due statue del museo delle cere.
Sweethearts Of The Rodeo, sono le sorelle Janis Gill e Kristine Arnold che prendono il loro nome dal mifico album dei Byrds. Da qualcuno definite, sulla scia dell’entusiasmo, la versione femminile degli Everly Bros., le Sweethearts, molto più realisticamente, sono un buon duo in cui, nuovamente, le armonie vocali rappresentano l’argomento di maggior appeal.
The Whites, sono Buck White e le due figlie Sharon e Cheryl. Secondo me le migliori vocalist di country music, Sharon (moglie di Ricky Skaggs) e Cheryl sono molto ricercate per le loro perfette armonie da tutti i produttori nashvilliani. Come band, la formula è molto tradizionale, il sound ripulito, c’è il rischio della noia a meno che non siate dei fanatici.
Holly Dunn, ottimo look, buona presenza scenica e discrete qualità musicali. Il personaggio di Holly è in ascesa specie dopo che MTV ha proiettato (grazie al video Daddy’s Hand) la medesima canzone in vetta alle classifiche. Pare che il padre di Holly (un predicatore texano che non vedeva la figlia da anni) abbia pianto nel sentire questa canzone a lui dedicata: that’s America, ladies and gentlemen ….
Kathy Mattea, è cresciuta ascoltando Joni Mìtchell e Buffy St. Marie più che Loretta Lynn o Kitty Wells. Dopo aver lavorato come guida nella Country Music Hall Of Fame, mandò un demo ad un produttore e divenne una star in poco tempo. Piace il suo sound country’n’folk e la sua dolce e melodiosa vocina.
Patty Loveless, cugina della superstar Loretta Lynn ha cominciato giovanissima la carriera come autrice. Dopo aver tentato la fortuna nel rock’n’roll è tornata alle origini country: una gran voce ed una spiccatissima personalità.
Rosanne Cash, figlia del mitico Johnny e di June Carter, moglie di Rodney Crowell, Rosanne era una predestinata al successo. Meritevolmente non sì è accontentata di quello che la vita le aveva già preparato e si è conquistata, grazie alle sue indubbie doti, un posto di rispetto nel panorama country.
Belli e tenebrosi (Sono i veri eroi commerciali, dominatori delle classifiche e forse i più simili allo stereotipo che Nashville voleva perpetuare prima della rivoluzione degli ultimi anni).
K.T. Oslin, è stata chorus girl, cantante di jingle pubblicitari, attrice di uno spot di crema contro le emorroidi e parte di un trio folk con Guy Clark.
Kay Toinette Oslin aveva 45 anni e viveva a Manhattan quando il brano 80’s Ladies l’ha fatta diventare l’idolo delle donne ‘single’ americane.
Randy Travis, il mitico protagonista della nuova country music. I suoi dischi vendono milioni di copie, la sua immagine è proiettata su tutti i mezzi di comunicazione, i suoi concerti sono sempre esauriti. Un vero fenomeno commerciale ma anche un piccolo talento artistico: la sua voce baritonale è di grande suggestione specie nei tipici brani d’atmosfera che caratterizzano il suo repertorio.
Reba Mc Entyre, come Patsy Cline a cui viene spesso accostata, Reba ha profonde radici country. Dotata di una voce molto bella e versatile che la potrebbe fare emergere in qualunque stile musicale, Reba propone di solito musica melensa ma con qualche sprazzo di genialità: vedi l’inserimento nel suo reperorio di classici del rhythm’n’blues come Sunday Kind Of Love o Respect di Aretha Franklin.
George Strait, un texano ex-allevatore di mucche, con la classica faccia che ti puoi aspettare da una country star: questa normalità ha fruttato a George numerosi hit e milioni di dollari a palate. Un po’ più honky-tonk di Randy Travis è sicuramente meno efficace vocalmente ed il suo personaggio è, se possibile, di ‘profilo ancora più basso’.
Tradizionalisti (Un bel gruppetto di grandi musicisti, quasi tutti con radici bluegrass. Con furbizia ma anche con grande classe hanno saputo riadattare la vecchia musica alle nuove esigenze e ai mutati gusti del pubblico).
Ricky Skaggs, secondo Chet Atkins “l’uomo che ha salvato la country music”. Per noi, più semplicemente, un grande musicista, cantante e produttore che trasforma in oro tutto ciò che tocca. Non ha mai praticamente sbagliato un disco fin dai lontani esordi bluegrassari (con J.D. Crowe, Boone Creek e compagnia). Troppo facile parlarne bene: impossibile trovargli difetti (a parte, ovviamente, il suo parrucchiere).
Vince Gill, emulo di Ricky, ha suonato, tra gli altri, con Bluegrass Alliance e con Here Today (Grisman e Pedersen) prima di convenirsi ad un suono più elettrico, sfruttando la via tracciata da Skaggs. Ottima voce e discreta tecnica chitarristica.
New Grass Revival, quartetto esplosivo che combina i talenti vocali e strumentali di Sam Bush, Bela Fleck, John Cowan e Pat Flynn. Dopo anni di tentativi di sfondare con il loro ‘rock acustico bluegrassato’ si sono convertiti ad un country-rock molto ben eseguito che con l’ultimo LP si sta avviando ad ottenere il meritato successo.
Jo-El Sonnier, con la sua inseprabile fisarmonica, tende a ripercorrere le imprese di Doug Kershaw e Zachary Richard che prima di lui hanno sparso per il mondo l’idioma cajun.
The O’Kanes, cioè Jamie O’Hara e Kieran Kane, uno strano connubio tra country e folk, tra radici e modernità. Interessante miscela di un duo assolutamente originale.
Desert Rose Band, il gruppo di Hillman, Pedersen e dello stratosferico John Jorgenson. E’ una sapiente riedizione del country-rock californiano degli anni ’50 (Owens, Haggard, etc.), ’60 (Byrds) e ’70 (Flying Burritos, Poco, etc); il tutto reso con classe, gusto e dinamismo. Voci da brivido: il massimo.
Stelle del Nord (Dal Canada, terra sempre parca di talenti musicali, nuova linfa per il country nashvilliano. Tre proposte importanti).
Cowboy Junkies, un gruppo esploso al primo LP e già diventato una leggenda. Musica raffinata, una cantante di lusso, molto blues e jazz a condire un’insalatina acustica assai stuzzicante.
lan Tyson, un cowboy tanto poco, conosciuto quanto valido. Non a caso rappresentò la cultura musicale canadese nella cerimonia di apertura delle olimpiadi di Calgary. Country rock e tradizione si sposano con gusto ed equilibrio.
K.D. Lang, personaggio carismatico e di estremo fascino. Il suo ultimo LP è la consacrazione artistica di un talento assoluto.
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 37, 1989