Diesel Doug & The Long Haul Truckers

A soli tre anni di distanza dalla loro nascita ad opera di Scott Link, si sono affermati come una delle bands più interessanti di alt-country del New England (terra non tradizionalmente fertile per questo filone musicale, più geograficamente orientato verso le regioni del sudovest statunitense).
Fra gli stimolanti spettacoli dal vivo ed i loro due CD An Angel Not A Saint e The Fine Art Of Carousing, questo gruppo di Portland, Maine si è costituito un seguito a livello nazionale. Facendo capo alle canzoni ed alla figura del cantante Scott Link (che suona anche chitarra acustica ed elettrica), il gruppo crea un sound tradizionalmente country pervaso da quella sensibilità rock che li ha distinti dalla massa dei gruppi del filone ‘no-depression’.
Il gruppo comprende la sezione ritmica, formata da John Davison (batteria) e Scott Conley (basso), mentre le chitarre sono appannaggio di Charlie Gaylord (Telecaster) e Cartwright Thompson (pedal steel). Tutti e quattro sono veterani dei circuiti del New England dove scontano anni di dura gavetta. Link e Davison hanno fondato il gruppo nel Gennaio del 1996 e Gaylord si è unito a loro circa nove mesi dopo.
Racconta Link che “la prima cosa che Charlie mi disse dopo essersi unito a noi fu che la sua idea di buona country music coincideva con Steve Earle ed i Rolling Stones e fu così che mi conquistò”.
Durante la registrazione del primo CD Gaylord presentò Thompson al gruppo e Conley si unì a loro nel Gennaio del 1998.

Nell’estate del 1997 il gruppo entra in studio (Big Sound Recording Studio, di proprietà di Joe Brien, guru rock dì Port­land) per registrare An Angel Not A Saint per l’etichetta Sad Bird Records.
La formazione comprende Scott Link (chitarre e voce solista), Charlie Gaylord (chitarre ritmiche e chitarra elettrica solista), John Davison (batteria) e Chris Tuttle (basso).
Fra le collaborazioni spicca già quella di Cartwright Thompson (pedal steel).
Già la partenza del CD, con il rumore familiare dell’avviamento di un 18 wheeler, la dice lunga sulle intenzioni del gruppo. Musica sana, immediata, senza fronzoli inutili – quante volte lo abbiamo letto… – rock fino in fondo al cuore, con le chitarre che danzano, basso e batteria che fungono da puntuali comprimari e la voce di Scott Link sapientemente strascicata, per riagganciarsi al tradizionale filone delle ‘truck-driving songs’.
Niente artifizi tecnologici, sovraincisioni o qualsivoglia diavoleria elettronica. Ascoltate la steel guizzare da solista nell’iniziale Never Lookin’ Down, mentre le chitarre elettriche quasi profumano di Creedence Clearwater Revival.
Wicked Ways ci riporta verso gli anni ’60, con il boom-chicka-boom sound del Johnny Cash periodo Folsom Prison Blues. Impostazione dannatamente country, con Dave Dudley che occhieggia dietro l’angolo e la sezione ritmica precisa come un orologio.
Not Much To Say, introdotta dalla chitarra acustica subito supportata dalla steel, si è rivelato di per sé un piccolo successo ed è stato incluso nella compìlatìon curata dalla stazione radio WCLZ intitolata Homegrown Volume 3 ed è stato uno dei brani più richiesti del 1998 dai suoi ascoltatori.

Il brano è incentrato sul lavoro delle chitarre (acustica, elettrica e steel), in un intreccio elaborato, ma gradevolissimo, impreziosito dalla pregevole prestazione vocale di Scott Link. Con A Girl Like You si ritorna a roccare lungo le autostrade ed il riferimento è palesemente Steve Earle.
Charlie Gaylord alla chitarra elettrica solista si toglie diverse soddisfazioni con nostra grande  libidine.
All Over ci sprofonda in atmosfere e climi familiarmente country, con tutti i riferimenti del caso. Musica assolutamente epidermica, con l’elettrica solista in gran spolvero, che arriva diritta lungo le direttive del cuore, senza mancare di colpire anche il cervello.
Another One Like Me è introdotta dalla dodici corde acustica in mano al succitato Joe Brien, che contribuisce non poco a rievocare i fasti del mai sopito ‘jingle-jangle sound’ creato dai Byrds, grazie anche agli impasti vocali: senza dubbio fra le cose migliori del CD.
Se si torna a roccare per la classicissima Gold Wing Mama, brano originale di Scott Link, ma che rieccheggia cento e cento classici del rock, il tltle-track paga un dovuto omaggio al country più tradizionale, con dovizia di steel guitar e di chitarrone ‘twangy’, ultimamente rivalutato da molti newcomers: altro highlight del CD!

I Don’t Enjoy It Anymore risulta un’altra guitar-song dì buon livello, One Light, si rivela come ballata improvvisamente ed inaspettatamente introspettiva, adagiata su di un inconsueto tappeto squisitamente acustico. Ci piace pensare a come l’avrebbe interpretata Gram Parsons, magari in duetto con Emmylou, e – perché no – inserendola come bonus track nell’immaginaria riedizione di Grievous Angel. Ascoltate il fìddle di Pip Walter e provate a negare che, da sola, vale l’acquisto del CD.
Finale-tributo alla flgura del camionista con 18 Wheels Of Love per quello che è stato più che giustamente definito come ‘thè best semi-truck record’ dai tempi di Hot Licks, Cold Steel & Trucker’s Favorites di Commander Cody & His Lost Planet Airmen (classe 1972).
La chiusura dell’album la lascio indovinare a voi, ma è facilmente prevedibile, considerato l’inizio…
Un cenno doveroso anche al simpaticissimo art-work della copertina, che ritrae il volto di una tipica western pinup, con tanto di gote arrossate e cappellone da cowboy.
Dal 1997 al 1999 il gruppo si da un sacco da fare a suonare dal vivo, aprendo per grossi nomi, fra i quali vanno ricordati Willie Nelson (sempre lui!), Big Back Forty, Silos, Fred Eaglesmith, Old 97’s, Rosie Flores e Wayne ‘The Train’ Hancock.
Con l’esperienza maturata sul palco, il gruppo amplia anche il proprio repertorio per includere covers degli autori più disparati: da George Jones agli X (!), da Steve Earle a Prince (!!) ed ai Rolling Stones.
Daddy’s Junky Music li inserisce nei dodici migliori gruppi del New England ancora senza contratto, mentre il Boston Herald li definisce il ‘segreto musicale meglio custodito del New England’.

All’inizio del 1999 il gruppo rientra in studio con il solito Joe Brien, per registrare il nuovo CD, intitolato The Fine Art Of Carousing, sempre per la Sad Bird Records. Il gruppo ha accolto Cartwright Thompson e la sua pedal steel in pianta stabile, ma l’inserimento non ha certo bisogno di rodaggio alcuno. Solitamente la frase ‘niente di nuovo sotto il sole’ comporta un’implicazione negativa, ma in questo caso è il contrario, perché ci troviamo di fronte al seguito di An Angel Not A Saint.
Dove il CD di esordio aveva lasciato (per evidenti motivi di durata tecnica), The Fine Art Of Carousing riprende il discorso sulle stesse direttive.
Con l’apertura tratta da una trasmissione radiofonica dove il DJ intro­duce il nuovo lavoro del gruppo, Thin White Line si presenta subito con le carte in regola per entrare di diritto fra i brani più richiesti del gruppo. Batteria solista in partenza e voce grintossisslma, poi arrivano le chitarrone ed il gioco è fatto.
Brusco cambio di atmosfera con Clrcles, singolo pilota (si usa ancora?) dell’album e ballata tutta giocata sulla chitarra acustica e sulla voce di Scott Link, che ancora una volta firma tutti i brani, aiutato in un paio di casi da Charlie Gaylord e da un paio di altri amici – dalla non invidiabile fedina penale, probabilmente – per If I’d Shot Her When I Met Her I’d Be Outta Jail By Now. Il cliché non cambia – fortunatamente – e gli ingredienti della ricetta che aveva avuto successo con il primo CD non sono cambiati: chitarre acustiche ben amalgamate, solista elettrica determinata, ma non invadente, voce modulata e calibrata a seconda delle esigenze del brano, ne fanno un lavoro estremamente gradevole.

Prides Corner gode di un’intro di steel guitar che si conquista immediatamente anche le simpatie dell’ascoltatore più distratto e la sua presenza è fondamentale attraverso tutto il brano.
Jesse Rose risulta atipica nell’economia musi­cale del gruppo, anche se il testo rientra di diritto nel filone, visto che si parla di una sedicenne autostoppista che trova un passaggio verso la mitizzata West Coast su di un grosso camion di passaggio. La ballata, elettroacustica nella sua natura, ricorda vagamente certi cantati del Boss, ma lo script è prettamente country.
Di If I’d Shot Her… abbiamo già citato il chilometrico titolo, ora possiamo aggiungere che si tratta di una specie di rock-blues elettrico, ma non troppo, gradevolmente costellato da interventi strettamente strumentali, con la voce di Scott Link che ben si presta allo scopo. Rientro nei cosiddetti ‘prati di casa’ per l’esilarante drinking-song I’d Like To Quit Drinking But I Live Over A Bar, dove la batteria velocissima segna il tempo ad una guizzante steel guitar che contrappunta il cantato che, a sua volta, verte sugli evidenti problemi di chi vorrebbe smettere di bere, ma è costantemente preda della tentazione, visto che abita sopra un bar.
Because Of You rialza prontamente il livello compositivo dell’album – ma non mi risulta si fosse mai abbassato, a dire la verità… – con una bella ballata acustica, piacevolmente cadenzata da una batteria discreta ed impreziosita da apporti vocali solistici (Scott Link) e coristici (Sara Cox) di tutto rispetto.
Ancora una volta il CD non finisce qui e rimane almeno un altro brano degno di nota, ma dovete scoprirlo da soli contattando Diesel Doug & The Long Haul Truckers direttamente al loro sito web per procurarvi entrambi i CD.

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 49, 1999

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