La terza edizione del più celebrato festival di bluegrass in Europa è stata ancora una volta piacevole e ricca di spunti interessanti. Ben organizzato, come al solito, da Paule e Joél Herbach, il TBF anche quest’anno riproponeva la formula già sperimentata con successo gli anni precedenti: pomeriggio all’aria aperta, con spettacoli gratuiti; sera nella accogliente Halle aux Grains, per i concerti delle stars americane. Unica novità, la sede degli spettacoli pomeridiani: l’ incantevole Prairie des Filtres, sulle rive della Garonna.
Nonostante la discreta affluenza di pubblico, più o meno pari alle edizioni precedenti vale a dire circa 2.000 presenze serali complessivamente, gli organizzatori non erano particolarmente entusiasti. Gli obiettivi del TBF erano infatti piuttosto ambiziosi tanto che Paule e Joél, resisi conto della limitata potenzialità che ha in questo momento in Europa, hanno tentato la carta della Country Music per allargare audience e popolarità della manifestazione. Ma non centrando forse il nome giusto.
Fallito per un soffio l’ingaggio di Ricky Skaggs, essi hanno infatti optato per Chris Hillman, dal glorioso passato e dal più che decoroso presente ma, in termini commerciali, non più trainante come un tempo. Tra l’altro, per l’appassionato medio di bluegrass, Hillman è meno motivante di Hot Rize o Tony Trischka, tanto per citare un paio di nomi noti al pubblico tolosino. Ecco quindi spiegati i motivi di questo successo non completo.
Ma al di là di Chris Hillman, crediamo che il problema dell’apertura alla Country Music non sia di facile risoluzione e riteniamo che darà ancora parecchio filo da torcere ai bravi Herbach.
Per ciò che riguarda la parte musicale, che è quella che a noi interessa di più, bisogna dire che è stata anche quest’anno molto buona. Assai migliore, ad esempio, ci è sembrato il livello dei gruppi che si sono esibiti nel pomeriggio e tra i quali ricordiamo con piacere gli ottimi Sweet Mama, jug-band francese di grande impatto, e i soliti Freewheelin’, ormai noti con pieno merito anche dalle nostre parti. Sempre nel corso degli spettacoli pomeridiani si è esibita la Double Decker Stringband, primo gruppo di old time a suonare al TBF, grazie al gemellaggio con la Convention di Hi, Folks! L’accattivante performance dei 4 Deckers e la buona reazione del pubblico hanno forse convinto gli organizzatori a prestare maggiore attenzione al mondo della musica old time che, se ben proposta, ha potenzialità musicali e di spettacolarità pari al bluegrass.
La prima delle due serate alla Halle aux Grains è stata aperta dai Red Wine di Genova, che, dobbiamo dire, se la sono cavata piuttosto bene. Il loro show è filato via senza sbavature ed il gruppo ha mostrato, oltre alla consueta compattezza, anche una buona grinta. Il livello raggiunto da questi ragazzi nel giro di pochi anni è, per un gruppo di dilettanti, davvero strabiliante e speriamo che possa essere di esempio e stimolo per tanti altri giovani musicisti italiani. Il loro repertorio spazia dai classici del bluegrass (Flatt & Scruggs, Stanley Bros., ecc.) fino a rifacimenti dei pezzi dei Byrds o di altri autori contemporanei, interpretati sempre con coerenza stilistica e con grande sensibilità musicale.
Dopo la Red Wine è stata la volta di Marty Cutler, banjoista newyorkese un po’ pazzoide, accompagnato da Charged Particles (le particelle cariche). Ma nonostante il loro eccitante nome, i Charged Particles sono apparsi piuttosto spenti, visibilmente emozionati e penalizzati da una pessima acustica. Ai più hanno fornito l’impressione di essere la brutta copia degli Skyline, anche se a dire il vero sono state apprezzate alcune soluzioni geniali e gli ottimi interventi della vocalist. Il gruppo esegue musica acustica d’avanguardia, strana fusion di jazz, swing, musica tradizionale, musica brasiliana. Forse sono proprio i pezzi ‘sambati’ la cosa più riuscita, ma un disco ed un concerto non sono elementi sufficienti ad esprimere un parere definitivo su un gruppo che ci è sembrato soprattutto inesperto.
Netto è stato quindi il contrasto tra Cutler e la band successiva, formata da vecchi marpioni come Hillman e Perkins (ex Byrds, Manassas, Flying Burrito Bros., ecc). Accompagnati da un eccellente John Jorgenson (chitarra e mandolino) e da un bravo bassista, Perkins e Hillman hanno subito mostrato le loro indubbie doti. Il suono d’incanto è ritornato pulito, omogeneo e magicamente acustico.
La Hillman Band ha presentato un programma vario ed interessante nel quale hanno trovato spazio sia le nuove composizioni, tratte dai due ultimi album acustici di Chris, sia i vecchi hits del repertorio dei Byrds, Flying Burrito o Manassas. Al mandolino Hillman, pur non essendo un mostro di bravura, ha sorpreso per la scioltezza d’azione e per la grande esperienza. La musicalità dei componenti del gruppo e le magnifiche ‘harmonies’ vocali di stampo californiano, ci hanno ricordato quanto grande sia stato un certo periodo, dal punto di vista musicale, sulla west coast. Una classica versione di Mr. Tambourine Man, cantata in coro con il pubblico, ha suggellato la prestazione di Chris Hillman a Tolosa, senz’altro la cosa più bella dell’intero festival.
Nella serata di domenica, dopo il contest pomeridiano e l’esibizione dei francesi Stylix del banjoista Jean-Marie Redon, è stato il turno dei Bluegrass Cardinals e di Anger & Marshall che hanno infiammato il pubblico in trepidante attesa, come noi del resto, della IV edizione di questo appuntamento obbligatorio per i bluegrass fans d’Europa.
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 13, 1985