Folk Revival

Gran parte di quello che leggerete sulle pagine di questa rivista nasce dal movimento del ‘folk revival’ americano: è quindi un obbligo analizzarne alcuni momenti fondamentali per meglio comprendere quei fenomeni musicali che, con un termine oggi in ribasso, definiamo genericamente ‘folk’.
Il folk revival fu un movimento di riscoperta delle tradizioni musicali ‘popolari’ nato in America fin dagli anni Trenta, dal New Deal rooseveltiano, ma giunto al suo apice alle soglie degli anni Sessanta. Sue basi furono lo sviluppo urbano-intellettuale dato alle ricerche etnomusicologiche nel periodo a cavallo dei ’30, e la situazione politico-sindacale che si era andata delineando durante la Grande Depressione.
Esaminando più a fondo questi elementi scopriamo che è nel 1928 che Robert Winslow Gordon iniziò, grazie alla sponsorizzazione della Harward University, una serie di registrazioni sul campo che gli permisero di raccogliere un migliaio di cilindri incisi. Si trattava della prima iniziativa di largo respiro e condotta con criteri più scientifici rispetto alle precedenti; e questo patrimonio costituì la base dell’Archive Of American Folk Song aggregato presso la Biblioteca del Congresso americano a Washington.

Nel 1933 la Library Of Congress cominciò una sistematica raccolta sul campo della folk music del Sud, adoperando le registrazioni su dischi. In quell’anno il curatore dell’Archive era divenuto Alan Lomax, un nome al quale è strettamente legato tutto il folk revival. Ed in pieno New Deal era nata la W.P.A. Federai Writers Project, che sponsorizzava intellettuali e studiosi interessati alla ricerca etnomusicologica nel Sud.
Tutti questi elementi motivano il carattere intellettuale, ‘colto’, di un movimento nato nelle città, nei colleges, ma nei presupposti rivolto al mondo contadino, alla ricerca delle proprie ‘radici’ e quindi al recupero di quei valori scomparsi con la cultura rurale. Un movimento che, visti tali presupposti, poteva rischiare facilmente la caduta in un nazionalismo reazionario. L’approccio degli stessi interpreti principali del primo folk revival ne accentuò invece il carattere politico-sociale di sinistra, indotto in parte anche da fenomeni musicali contingenti. Nel periodo della Grande Depressione, infatti, nasceva la ‘canzone di protesta’. L’occasione era stato l’incontro di una forte tradizione musicale popolare nel Sud contadino e proletario con la realtà urbana sindacale e politicizzata: incontro avvenuto nelle regioni minerarie di Harlan County, Kentucky, e dintorni, durante gli scioperi che resero tristemente famosa questa regione.

In quanto ad Alan Lomax, egli credette di vedere nel canto popolare e nella canzone di protesta dei connotati storico-culturali nei quali l’America, alla ricerca di una identità, potesse riconoscersi. Ed accanto a Lomax, etnomusicologo e ricercatore, Pete Seeger e Woody Guthrie, vale a dire il musicista colto e quello di estrazione popolare, il movimento cominciò a prendere forma e sostanza.
Uno dei meriti principali del Folk Revival è stato il riconoscere al mondo popolare una autonomia culturale ed un valore non solo ‘archeologico’ ma attuale, in definitiva dei caratteri non subalterni alla cultura egemone, contrariamente a quella che era stata la concezione romantica ed un po’ tutto l’atteggiamento culturale del Vecchio Mondo nell’Ottocento nei confronti del patrimonio popolare.
I risultati furono il nascere di una vera ‘scienza del folklore’ (cosa che in Europa andava proliferando dai primi del secolo) da una parte, ed un crescente interesse nei confronti della canzone popolare dall’altra. Ad essere oggetto di questi interessi furono non solo la cultura contadina, degli hillbillies, dei bianchi poveri, ma anche quella dei neri afro-americani (la musica blues in particolare) e di tutte le minoranze etniche che sopravvivevano all’interno degli Stati Uniti.

Ed al primo folk revival va riconosciuto il carattere non di ‘moda’, mistificatorio, ma di riconoscimento di valori artistici anche al di là di eventuali positivi risvolti commerciali che avrebbero potuto scaturirne. Comunque, nonostante alcuni momenti di popolarità, il movimento è sempre rimasto al di fuori dei canali e delle operazioni commerciali che contano ai fini della penetrazione e della affermazione nel mercato di massa.
Fino al secondo dopoguerra il movimento cresce, parallelamente ad un movimento di riscoperta, nella letteratura, di un mondo di emarginati, di poveri, di vagabondi, di un Sud e di un West visti non più in chiave mitica ma con occhi molto più realistici. Nel folk revival nasce l’esigenza di comporre nuove canzoni, nello stile tradizionale ma con contenuti sociali. Lo stesso Lomax scopre la forza dei modi di comunicazione popolari e si serve del materiale popolare come elemento di divulgazione e di provocazione culturale e politica. Era inevitabile l’incompatibilità con le leggi proposte nel 1947 dal senatore Mac Carthy, restrittive dell’azione sindacale e dell’attività politica. Il ‘maccartismo’, perseguitando tutto quello che genericamente poteva essere definito ‘di sinistra’, impose una svolta, pena la stessa sopravvivenza, al carattere politico-sociale del folk revival, deviandolo verso forme meno impegnate.

Partito Alan Lomax, che aveva preferito un volontario ‘esilio’ in Inghilterra alle rinunce ideologiche imposte dal maccartismo, il movimento divenne definitivamente urbano, mentre si verificò un distacco tra i ‘puri’ ed i ‘commerciali’.
Così mentre i primi, interpreti autenticamente popolari e loro esegeti, rimanevano relativamente ai margini del mercato discografico a diffusione nazionale, gli altri, i folk-singers urbani, che facevano riferimento soprattutto al ‘Village’ di New York, ripulendo le loro canzoni da caratterizzazioni ideologiche troppo spinte e dando loro una forma accettabile del sistema, riuscirono ad avere una loro parte nel piccolo ‘boom’ della musica popolare degli anni Cinquanta.
Tra gli altri ricordiamo il gruppo dei Weavers (Ronnie Gilbert, Lee Hays, Fred Hellerman, Pete Seeger, il quale ultimo peraltro si vide a lungo sbarrate le porte di mezzi come radio e televisione in conseguenza della sua attività politica e sindacale); questi riuscirono a raggiungere le vette delle classifiche discografiche indirizzando l’interesse del pubblico verso le folk songs, pur urbanizzate e banalizzate sotto l’aspetto interpretativo. D’altra parte non si può disconoscere la funzione positiva svolta da questi personaggi popolari-urbani-intellettuali nella diffusione della canzone popolare. Il fenomeno folk music sarebbe infatti rimasto altrimenti circoscritto etnicamente a gruppi o regioni limitate e canzoni popolari e chitarre, bollate come ‘sovversive’, sepolte.

Il rilancio a livello nazionale della musica folk sono legati ad un grosso successo discografico: Tom Dooley, versione ripulita e sofisticata di una vecchia ballata del Sud, incisa nel 1958 dal Kingston Trio. Fu in quella fase che il movimento produsse (siamo ai primi anni ’60) personaggi come Bob Dylan, Joan Baez, Tom Paxton, Peter Paul & Mary, Phil Ochs.
A più di dieci anni dal maccartismo ed in un periodo di floridità economica, il sistema non sembrò preoccuparsi più di tanto di fronte a fenomeni quali la nuova canzone di protesta (contro la guerra, contro le armi nucleari, più tardi contro la guerra nel VietNam): un fenomeno quest’ultimo che, per un certo periodo, ‘pagava’ in termini commerciali; salvo preoccuparsi quando questa musica diventò la colonna sonora del ‘movement’ e della protesta studentesca.
Tra il Kingston Trio, che aveva reinventato una ‘musica tradizionale’ distante anni luce da quella autentica, e la nuova canzone legata al folk revival, che interpretava e commentava gli eventi del proprio tempo, emerse un nuovo interesse per la musica etnica: le ricerche sul campo ricevettero un nuovo impulso e portarono a risultati di rilievo, basti pensare alle registrazioni della musica dei Cajuns (i discendenti dei francocanadesi) della Louisiana effettuate dalla Newport Folk Foundation.

Fagocitata dall’industria discografica, spremuta e sfruttata entro i limiti consentiti dal sistema, la musica ‘folk’ venne liquidata, alla metà degli anni Sessanta, in favore di bocconi più succulenti. C’è da dire che si era trattato di una illusione: a livello di massa la musica folk non ha mai sfondato quanto il rock o il jazz. Anche nei momenti di maggior successo, i fruitori principali di essa sono rimasti fondamentalmente intellettuali e studenti da una parte, autentici rappresentanti del mondo popolare dall’altra. I più si sono limitati a rispondere positivamente alle sollecitazioni dell’industria discografica, seguendone passivamente le indicazioni ed abbandonando poi, sulla scia di quest’ultima, la musica folk.
Il movimento del folk revival ha comunque lasciato dietro di sé una ricca eredità: la gran massa di materiale registrato sul campo, fonte di ricerca e di realizzazioni discografiche a carattere etnico; gli interpreti (pochi in verità) che erano riusciti realmente a rappresentare un punto di contatto ed una continuità tra la tradizione ed il revival; la vasta produzione di pubblicazioni specifiche, bastino per tutte le riviste Broadside e la storica ed oggi agonizzante Sing Out!. E non va dimenticato il riconoscimento internazionale della validità del folk revival, che negli anni Sessanta divenne un movimento di ‘esportazione’, arrivando a generare analoghi movimenti in Inghilterra ed Italia.

Tutto il folk revival va visto dunque come un fenomeno in positivo; e la sua spinta, negli Stati Uniti, non si è esaurita. Ancora oggi numerosi musicisti si dedicano al repertorio popolare con atteggiamento sia di ‘ricalco stilistico’ che ‘creativo’, trovando nella musica tradizionale un senso ed una alternativa a quella proposta dalla macchina commerciale, utilizzandola come un vero e proprio mezzo di comunicazione tra la gente. E probabilmente oggi lo stesso Lomax dovrebbe rivedere le dichiarazioni polemiche che, nel segno della purezza e della incontaminazione della musica popolare, gli erano familiari un paio di decenni fa.

Negli ultimi anni si è andato realizzando negli Stati Uniti un recupero completo della cultura popolare, esteso a tutte le sue forme, siano esse la musica, l’artigianato, fiabe e leggende, la danza; per esprimere tutto questo nella sua globalità è stato coniato il termine ‘Folklife’.
Sotto questo aspetto, non tanto caratterizzato politicamente anche se antagonistico rispetto alla cultura ufficiale, il movimento di ‘riscoperta delle radici popolari’ ha maggiori probabilità di entrare nel costume della nazione di quante non ne avesse il folk revival degli inizi, che rimane comunque uno dei momenti più significativi della storia della cultura americana di questo secolo.

Mariano De Simone , fonte Hi, Folks! n. 4, 1984

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