Rudy Rotta è uno dei chitarristi blues italiani che più apprezzo ed il motivo è semplicissimo: quando suona lui riesce ad essere un tutt’uno con la chitarra, non c’è mai mediazione tra mano e strumento ed il risultato è una musica ad alto voltaggio.
Ho avuto occasione di ascoltarlo dal vivo, chiaramente ho più volte riascoltato il suo primo album inciso live ed ancora ricordo la sensazione e l’emozione che mi aveva dato un brano come Ramblin’ On My Mind.
Oggi Rudy ed il suo gruppo sono approdati al loro primo album in studio e le cose sono parzialmente cambiate. Lui rimane il chitarrista caldo e comunicativo di sempre, ma la direzione musicale, pur rimanendo nei più classici confini del blues, segue una via che nelle intenzioni del leader dei gruppo dovrebbe portare ad un blues da un lato più moderno e dall’altro più personale. Sicuramente l’idea è buona e rispettabile, ma il risultato finale poi non convince appieno.
È chiaro che in studio tutto cambia, non c’è quel feeling che si ha nel contatto diretto con il pubblico, ed è altrettanto chiaro che alla prima esperienza in studio è difficile ricreare un’atmosfera live; ma il punto è un altro, anzi la domanda è un’altra: perché cercare una via ‘nuova’ al blues, perché soffocare un’espressione di per sé ricca, ampia e collaudata con una ricerca, ad esempio, di armonizzazioni ‘evolute’?
Il risultato è buono, Reason To Live è un album godibilissimo, elegante e suonato da musicisti più che collaudati, ma il blues rimane, almeno nel giudizio del recensore, una struttura chiusa dalla quale formalmente è nato il rock, il rhythm’n’blues, e se vogliamo un’altra infinità di generi ma che nella sua forma originaria ha una autonomia precisa, indiscutibile. Credo che Rudy Rotta, come per altri versi Roberto Ciotti con il suo album di due anni fa, stia tentando una strada parallela al blues per poterne fare, giustamente, una musica dagli orizzonti più vasti.
Per ora con Reason To Live Rudy è riuscito a spostare il centro d’attenzione della sua proposta dalla chitarra sanguigna ad una costruzione musicale più ricercata. Speriamo che il futuro gli dia ragione perché di chitarristi come lui ce n’è bisogno.
River Nile 64 7942451 (Blues, 1990)
Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 50, 1990