Una delle numerose varianti del fiddle-tune Sally Ann, risalente al periodo tra le guerre d’indipendenza e civile, familiare sia alle comunità bianche che a quelle di colore ed estremamente popolare in Kentucky e Tennessee, venne incisa per la prima volta nel 1926 per la Columbia dal pluripremiato violinista John L. ‘Uncle Bunt’ Stephens (1879-1951) in una eccellente versione solo strumentale (inclusa, guarda caso, nella Anthology Of American Folk Music di Harry Smith).
L’amico e connazionale Dave Harrison Macon (1870-1952), forte del suo carisma e di anni di vaudeville e minstrel show, ripropose Sally Ann un anno dopo per la Vocalion a New York insieme ai suoi fedeli Fruit Jar Drinkers (il leggendario chitarrista Sam McGee ed i fiddlers Kirk McGee e Mazy Todd) interpretandola come fosse una sua creatura, in parte riscrivendola improvvisando (sua la caratteristica sibillina frase del chorus “Don’t she rock, Die‑Dee‑Oh?”). Ed è proprio in questa straordinaria abilità di calarsi ed immedesimarsi in un periodo storico musicale lontano ma ancora palpitante e la capacità di farlo rivivere ad ogni performance, aggiungendo senza nulla togliere, che si gioisce appieno della genialità e si percepisce la superiorità dell’artista.
Banjo stratosferico di una naturalezza e scorrevolezza disarmanti, voce che accarezza o stravolge il tutto, accompagnamento tra i più azzeccati di tutta la storia dell’old time su disco, hollers lanciati tra le note come fuochi d’artificio e percussioni di mani e piedi al momento giusto nel punto giusto.
Molto, molto avanti rispetto ai tempi, tanto da sembrare una traccia registrata in studio ieri l’altro. Mi piace immaginare quale esperienza sarebbe stata il presenziare la seduta d’incisione…
Pierangelo Valenti, fonte Suono, 2012
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