Tra le tante proposte blues che ci arrivano con sempre maggior frequenza, non è facile scegliere. Ancor più difficile è trovare personaggi originali o, almeno, creativi. Mark Nomad credo rappresenti una delle eccezioni per la qualità del suo blues, tutto originale tranne le covers di My Trouble Blues, Fred McDowell, e Easy Baby, Magic Sam, e per la varietà delle proposte di un personaggio capace ed eclettico.
In Nomad’s Land, Mark dimostra di sapere da dove proviene il blues grazie ad una prima parte dedicata alla musica del Delta ed eseguita in chiave acustica e slide alla national-steel, ottimo ed accattivante il suo bottleneck-style.
Al contrario, la seconda metà di Nomad’s Land, vede impegnato questo chitarrista bianco a percorrere le vie di un blues contemporaneo ed urbano, a cercare di capire, come molti del resto, dove questa musica stia andando.
Accompagnato da una sezione ritmica, e da un sax in alcuni brani, Nomad ripercorre vie non meno battute del country-blues. Sostenuto da una pulsante ritmica si avventura per vie molto pericolose, ma sempre con gusto e stile, ricordando personaggi come Johnny Winter e, come non coinvolgerlo, Steve Ray Vaughn.
Vocalist potente ed espressivo, si rivela, soprattutto in veste acustica, un personaggio da seguire per chi ama il bottleneck-sound. Come leader di una band e chitarrista elettrico, il suo stile è decisamente eccellente e sempre finalizzato e costruttivo e non cada mai nell’autocompiacimento o in un narcisismo fine a se stesso, questo chitarrista, cantante ed autore di Northampton, nel Massachusetts, è da risentire.
Blue 1051 (Blues, 1994)
Franco Ratti, fonte Out Of Time n. 2, 1994
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