Nonostante Doug Jay sia attivo da circa venti anni, la possibilità di presentare il primo lavoro solista, Until We Meet Again, prende forma concreta solo nel 1993. Attratto dalle sonorità di Little Walter e Walter Horton, completa la formazione musicale grazie ai preziosi insegnamenti dell’amico Pierre Beauregard armonicista dei Powerhouse.
All’inizio degli anni Novanta coglie l’occasione per trasferirsi a San Francisco. I sacrifici e gli sforzi intrapresi vengono ripagati dalle continue richieste di collaborazione che trovano sbocco nelle incisioni effettuate con i Dynatones e con il chitarrista Mike Henderson.
Capita l’importanza di avere un disco a proprio nome per crearsi nuove opportunità di lavoro, nel 1993 decide la strada dell’auto-produzione.
Circondato da una band che ha fatto dell’essenzialità e senso della misura il proprio credo, Jay si destreggia egregiamente tra covers e originali. Rispolvera una serie di gioielli minori come She’s Dynamite di B.B. King, I Just Keep Moving Her di Little Walter e Love My Baby di Junior Parker.
Non dimenticando l’affascinante Besame Mucho, eseguita con la cromatica, il conto delle riproposizioni si ferma a quattro. Nei rimanenti otto pezzi, la penna di Doug Jay dimostra di non essere in debito di inchiostro. Si va dal rock and roll di I’m All Alone a composizioni più classiche come Playgirl, Honey Love e I’ll Be Your Fool.
Knocklehead è un veloce strumentale eseguito in seconda posizione, mentre l’articolata esecuzione strumentale di Until We Meet Again esula un attimo dalle tematiche blues tradizionali.
Decisivo l’apporto della band che annovera fra le sue fila l’incisivo chitarrista Anthony Paule e il dinamico tastierista Kevin Zuffi. Eccellente.
Blue Jay CD 100 (Blues, 1993)
Fabrizio Berti, fonte Out Of Time n. 4, 1994