Jerry Jeff Walker

Ci sono artisti con cui passi tutta la vita, che li scopri quando sei teenager e subito per magia diventano tuoi amici e rimangono tali per sempre, accompagnandoti nelle varie stagioni del tuo percorso, pronti a fornirti un rifugio in cui poterti isolare e la canzone di cui hai bisogno per rimettere a posto il tuo stato d’animo.
I cantautori, i cosiddetti singer-songwriter, per molti di noi sono questo, dei cari amici, quando non addirittura dei fratelli maggiori dai quali riceviamo consigli e piccole preziose lezioni di vita, attraverso poche misurate parole, poesie arricchite dai suoni giusti, quelli che più ci appassionano. Canzoni che assimiliamo e interpretiamo inconsapevolmente come suggerimenti, che ci aiutano ad  avere una visione della società e un approccio nei confronti del prossimo, e della vita in generale, più aperti e profondi.
Jerry Jeff Walker ha conquistato il cuore di tanti giovani della generazione degli anni ’70, perché ha rappresentato quella parte della loro personalità alla quale avrebbero probabilmente voluto dare maggior sfogo. Perché la vita di Jerry Jeff è una di quelle da raccontare, trascorsa in viaggio, vissuta nei locali notturni, carica di esperienze, passata alla continua ricerca di un significato da dare alla propria esistenza, con l’aiuto di tutte le persone che una vita del genere ti permette di incontrare.

Nacque col nome di Ronald Clyde Crosby nel 1942 a Oneonta, una cittadina con poche migliaia di anime nello stato di New York. Prima di stampare sulla copertina del suo primo disco il nome d’arte Jerry Jeff Walker, pare che ne utilizzò ben otto differenti. Lasciò giovanissimo gli studi e anche casa per provare a campare come folk singer proponendosi nei club del Greenwich Village di New York City e di altre città armato di chitarra, ukulele e berretto per le offerte. Tornò a Oneonta giusto il tempo per ultimare gli studi e diplomarsi nel 1960, quando il richiamo della strada riprese a farsi assordante. Forte dell’esperienza maturata precedentemente e deciso che quella senza alcun dubbio fosse la direzione da seguire, al richiamo non oppose alcuna resistenza e si ritrovò presto sul ciglio della strada col pollice alzato alla volta di New Orleans, Houston, New York, o qualunque altro luogo potesse trasformarsi in opportunità per vivere di musica.

La prima metà degli anni ’60 la trascorse ‘on the road’, in un continuo susseguirsi di incontri ed esperienze, umane e artistiche “in quei cinque anni, dal 1960 al ’65 assaporai il gusto della libertà. Lasciavo la Louisiana per raggiungere la lontana California in autostop, mi guardavo in giro, entravo nei coffeehouse e suonavo alcune canzoni imparate sulle strade di New Orleans. Ero sempre in movimento, e funzionava. Fu un lungo periodo durante il quale contemporaneamente suonavo e imparavo, incontravo persone nuove, scrivevo canzoni su ciò che vedevo e sentivo e tutto quanto era estremamente eccitante”.
Il suo repertorio di allora consisteva principalmente di canzoni di cantautori come Cisco Houston, Woody Guthrie e Bob Dylan “ma pescavo anche nel repertorio di Jimmie Rodgers, le sue canzoni rispecchiavano la mia filosofia di vita, mi riconoscevo in quell’approccio, in quel desiderio di girovagare, “Hobo Bill” era tra le mie preferite” … “l’evoluzione fu naturale, passare dall’eseguire canzoni altrui a brani miei fu semplice. Dopo aver eseguito per tanto tempo storie vissute da altri folksinger cominciai ad accumulare esperienze di vita che meritavano di essere raccontate”.

Coffeehouse e club, ma soprattutto le strade, i marciapiedi erano il palco sul quale quotidianamente si confrontava col pubblico, imparando quanto fosse importante instaurare un rapporto immediato con chi lo stava ascoltando. Le strade del quartiere francese di New Orleans furono quelle che frequentò più a lungo “erano piene di giovani talenti che avevano raggiunto Crescent City come me, in autostop, ed erano lì come me a farsi esperienza artistica e di vita”.
In quella città riuscì a mantenersi suonando vecchie folk song e canzoni sue che aveva cominciato a scrivere, Jerry Jeff lo racconta come un periodo formativo carico di bellissime esperienze, un periodo in cui riuscì anche a inguaiarsi. Una volta fu ospite di un’accogliente cella perché cercò di convincere una giovane donna che l’amore a prima vista esisteva per davvero, in un’altra occasione, senza nemmeno capirne il motivo, fu portato via durante una retata della polizia insieme a una mezza dozzina di personaggi maleodoranti con i quali trascorse una breve ma intensa detenzione. Uno di questi era uno street dancer che si faceva chiamare ‘Mr Bojangles’, come il famoso ballerino degli anni ’30 Bill Robinson, un personaggio che campava raccogliendo offerte per le sue esibizioni sui marciapiedi e nei locali della città. Nella sua biografia Gipsy Songman, Jerry Jeff racconta che l’uomo si lasciò andare in racconti di storie vissute e del rapporto speciale che aveva col suo cane, storie lunghe quanto il  weekend che trascorsero insieme tra quelle quattro mura. Incitato dagli altri compagni di cella, pare che l’uomo non si fece pregare e si esibì anche in qualche passo, battendo il ritmo con le mani sul corpo.
Scene e storie quasi cinematografiche che colpirono il giovane Jerry Jeff, che le trasformò da lì a breve in un poetico racconto sottoforma di ballata, romantica e amara al contempo. Una canzone che andò cantando in giro per gli Stati Uniti da solo e accompagnato da David Bromberg che conobbe qualche tempo dopo averla scritta nel 1965.

Nel 1966 Jerry Jeff mise in piedi i Lost Sea Dreamers, un gruppo rock con alcuni musicisti di diversa provenienza artistica conosciuti in parte in Texas, Bob Bruno (chitarra e tastiere), David Scherstrom (batteria), Gary White (basso) e Peter Troutner (chitarra e percussioni).
La band incise un album nel ’67 con differente nome, Circus Maximus, per volontà della Vanguard Records che trovò discutibile che una formazione di rock psichedelico utilizzasse un nome le cui iniziali richiamavano il noto allucinogeno. Il gruppo per oltre sei mesi nel 1967 lavorò come house band nel locale newyorkese Electric Circus (da qui il nome). Nello stesso periodo Jerry Jeff, che contemporaneamente portava avanti la sua proposta folk esibendosi con il polistrumentista David Bromberg, venne chiamato dalla stazione radio WBAI di NYC, dove in una trasmissione serale cantò qualche traditional e cover ma soprattutto pezzi suoi, tra cui Mr Bojangles, canzone che quelli della radio decisero di estrapolare dalla registrazione e mandare in onda con una certa continuità. Un paio di settimane dopo lo show radiofonico cominciò ad arrivare all’Electric Circus un sempre più consistente numero di persone che si attendevano di ascoltare quella Mr Bojangles sentita alla radio. Jerry Jeff rimase sorpreso di sentire che quella radio stava facendo ascoltare a tutta Manhattan in maniera insistente la sua canzone. Tornò agli studi dell’emittente per parlarne,  gli dissero che avevano ricevuto telefonate da Arlo Guthrie, Judy Collins e Harry Belafonte, tutti per richiedere la stessa cosa, informazioni sulla canzone, su chi l’avesse scritta e se fosse possibile registrarla. “Beh a dire il vero anch’io vorrei registrarla” rispose loro Jerry Jeff.

Contattò la Vanguard Records e l’Atlantic Records. Nel giro di quattro mesi registrò tre album, uno per la Vanguard, due per la Atco (Atlantic), che le due etichette fecero uscire nell’arco di un anno.
A breve lasciò la band e anche New York, e diede inizio ad una carriera che lo porterà a stabilirsi in Texas, a incidere alcuni memorabili album pubblicati da major quali la MCA, Elektra, Asylum, Warner e dalla sua stessa etichetta (Tried And True) che dal 1982 gli permette di produrre dischi in assoluta indipendenza. La avviò quando si rese conto che per continuare a raccontare storie dedicate a uomini e donne della strada, a sentimenti di solitudine e amore senza utilizzare i cliché imposti per raggiungere la massa, doveva necessariamente allestire una situazione famigliare. Perché poi, in fondo, sono quelle le cose importanti della vita.. “Non mi urta affatto sapere di non essere parte del grande business” disse “devi sentirti felice dove ti trovi, sia dal punto di vista professionale, che creativo, che famigliare, padrone del tuo tempo. Il rapporto con i tuoi cari e i tuoi amici, che puoi non vedere per mesi a causa dei tour, è troppo importante. Dopo anni passati a cercare di farcela ne passi altrettanti a lavorare duro sulla strada, per poi renderti conto di essere circondato solo da una manciata di sconosciuti”.

Jerry Jeff Walker nella sua carriera di quasi cinquanta anni ha scritto canzoni meravigliose, cariche di profonda umanità e deliziosa, scanzonata leggerezza e ha scelto brani da amici di sempre come Guy Clark e Ray Wylie Hubbard, Gary P. Nunn che ha interpretato magistralmente, con un partecipazione sentimentale sempre toccante, emozionante.
Mr Bojangles è la canzone più famosa tra quelle da lui scritte, ma solo grazie ad un numero impressionante di cover, molte delle quali eseguite con arrangiamenti molto originali e con i più disparati stili, se ne possono trovare versioni reggae, rock, pop, strumentali, jazz, folk, country… l’hanno cantata crooner e rocker, folk singer, country band e star della musica pop… Nitty Gritty Dirt Band (quella che ha avuto maggiore successo), Sammy Davis Jr., Garth Brooks, Bob Dylan, Harry Belafonte, JJ Cale, Jim Croce, John Denver,  Neil Diamond, Nina Simone, Frank Sinatra, Cat Stevens, Esther Phillips, Robbie Williams, e tra gli ultimi Todd Snider che ha pubblicato nel 2012 un album di canzoni di Jerry Jeff Walker. Difficile dire quale è meglio di quale altra, è davvero una questione di gusti personali. Ma se si considera la storia della canzone, come è nata e come si è fatta conoscere, e naturalmente la romantica, malinconica figura del soggetto, forse è quella intimista, quasi sofferta di David Bromberg a toccare di più il cuore. E’ contenuta nel suo secondo album Demon In Disguise (Columbia, 1972). Ad un certo punto dell’esecuzione David smette di cantare, e racconta..

“This is really a true story, you know, a lot of people have heard the song, and… Well, at least, Jerry Jeff tells me it’s a true… true story.
I played guitar with Jerry Jeff Walker for about two years and we… we did this song every night for two years., and I never got tired of it. Jerry got a little tired of it — at night, after the clubs would close, we’d do horrible things to it…”

‘Twas a true story, he… this guy, Bojangles, was a… he was a street dancer in New Orleans, and what he’d do, he’d go from bar to bar and… he’d put money in the juke box, or get somebody else to do it… And then he’d either dance or pantomime the tune. And for that, people would buy him drinks and get him pretty drunk, and then he’d go on to the next bar, and the next one, until it was closing time… and then he’d go on, the next night. After a few nights of this, he’d end up on the corner, and the cops would pick him up and then take him to the drunk tank — this is where Jerry Jeff met him.

Jerry Jeff wasn’t there on a research project — I mean, the way I got that story, I may have that wrong, but the way I got that is that he propositioned the right woman at the right time and the wrong place — and her husband, the bartender… called the cops, and they took Jerry to the… Parish jail. And he and this guy just talked for three days in the cell about what’ve you got… ”

Maurizio Faulisi, fonte Outsider N. 9, 2014

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