Peter Rowan

Pochi artisti sono più difficilmente incasellabili e definibili di questo estroso personaggio della scena musicale americana: lo stesso ‘abito’ bluegrass sembra talvolta stargli stretto, mentre i suoi frequenti sconfinamenti in altri ambiti musicali (rock soprattutto) hanno avuto un carattere di estemporaneità e casualità che non ha permesso all’attenzione del pubblico di concentrarsi su di lui dandogli il pieno successo. E’ chiaro d’altra parte che vent’anni di professionismo, sempre su palchi prestigiosi ed accanto a tutta la ‘nomenklatura’ del bluegrass-folk-rock, oltre alle assidue presenze nei più importanti festival americani ed europei, sottintendono temperamento, carisma e doti musicali tali da fargli perdonare il carattere ribelle e l’imprevedibilità. Ma questa irrequietezza di Rowan, certamente un handicap nello show business, risulta alla fin fine la più preziosa dote di un vero artista, una volta che sia imbrigliata e resa consapevole… Ma prima di azzardare pronostici, sarà bene dare un’occhiata alle tappe del passato musicale di Rowan.

Primo amore, il rock’n’roll. Seconda metà anni Cinquanta: alla radio, accanto a bluegrass e Grand Ole Opry, Carl Perkins, Chuck Berry, Buddy Holly; così il dodicenne di Wayland (poche miglia da Boston) imbraccia la chitarra formando insieme ai compagni di scuola un gruppo rock, i Cupids. Un inizio banale e comune a tanti, solo che Rowan non rientra nei ranghi, anzi, lascia la scuola per andare a Washington, dove gli capita, fra l’altro, di ascoltare i Country Gentlemen. Per lui è una rivelazione, e decide di dedicarsi al bluegrass; torna perciò a Boston dove, nella nascente atmosfera del folk-revival, gli è facile incontrare esponenti del bluegrass locale come Joe Val e Tex Logan. Fa amicizia con Jim Rooney e Bill Keith, e suona il mandolino nel loro gruppo.

Sarà proprio Keith a presentarlo a Bill Monroe in occasione di un concerto nel Vermont, nel 1964. Dopo aver suonato insieme, il Grande Vecchio gli dice: “Suoni bene. Vieni a Nashville, potrei darti una mano”. E’ il momento cruciale nella carriera di Rowan: da una parte c’è da decidere se accettare la proposta di Monroe ed abbandonare definitivamente gli studi, e poi c’è la visita di leva e la chiamata alle armi. Dopo tre giorni di ritiro e di riflessione, uno sballato Rowan viene giudicato ‘non idoneo’ dall’esercito (pare che al posto della sua firma disegnasse banjos e mandolini, ed altre stranezze del genere) e così la decisione è presa: Peter va a Nashville e diventa un ‘Blue Grass Boy’. Dello stesso line-up fanno parte James Monroe al basso e successivamente Lamar Grier al banjo e Richard Greene al violino: possono ancora essere ascoltati sull’album Bluegrass Time (MCA 116).

E’ ovvio che due anni e mezzo di musica insieme a Bill Monroe insegnarono molto al giovane Peter, soprattutto per l’aspetto vocale del bluegrass, ma anche riguardo alla concezione stessa di questa musica. Peter dice: “… Oggi non tutti si rendono conto di quanto innovativa e sperimentale fosse la musica di Monroe…. non tutti sanno, per esempio, che spesso andava a New Orleans ad ascoltare del jazz per ispirarsi e trovare nuovi spunti… il bluegrass è stata una musica rivoluzionaria sin dai suoi inizi… e Bill Monroe, Bill Keith ed io stesso siamo andati avanti cambiandola e rinnovandola di continuo…”.

Una dura e proficua iniziazione: la personalità di Monroe richiede molto ai suoi musicisti; ad esempio, ricorda Rowan, spesso Bill amava soddisfare ogni richiesta del pubblico, anche se erano pezzi mai provati o addirittura ignoti alla band. Oppure, senza alcun avviso, iniziava spontaneamente sul palco dei brani oscuri o poco noti a cui gli esterrefatti Blue Grass Boys dovevano tener dietro, affinando così le loro capacità improvvisative. Altre ‘lezioni’ si svolgevano sul pullmann durante i trasferimenti, dove Monroe era solito suonare il mandolino improvvisando su idee melodiche che gli venivano al momento o su qualunque altro materiale, anche non bluegrass: blues, moans, spirituals, di tutto.

La stessa maniera di comporre di Rowan è ancora oggi, a suo stesso dire, molto influenzata da questo approccio alla musica che era tipico di Bill Monroe, e molti dei suoi pezzi sono nati così, sui sedili posteriori di una macchina o in uno scompartimento ferroviario, inseguendo idee sulla tastiera della sua mandola.

Un aneddoto che Peter ama spesso raccontare è di come è nata Walls Of Time: durante un viaggio i Blue Grass Boys e Monroe erano divisi su due auto, la seconda al traino della prima per un guasto meccanico. Con energici gesti Bill fa cenno di fermare, fa avvicinare Rowan alla sua macchina, gli canticchia una melodia e gli dice: “E adesso non la dimenticare, figliuolo”. Alla melodia poi Rowan aggiunse il testo e così Walls Of Time entrò in repertorio.

Dopo due anni e mezzo, Rowan aveva acquistato abbastanza sicurezza e fiducia in se stesso da voler mettere in pratica per suo conto ciò che aveva imparato, e fu questa fondamentalmente la ragione per cui lasciò, insieme a Richard Greene, i Blue Grass Boys. I tentativi di formare un nuovo gruppo bluegrass furono però frustrati dalle scarse possibilità commerciali che allora poteva avere questa musica: in sostanza non c’era posto per delle nuove band, soprattutto con grilli di innovazione per la testa. D’altra parte in tutto quel lasso di tempo Rowan aveva accumulato materiale originale che entrava meglio in un contesto rock, per il quale il grosso pubblico era assai più ricettivo. C’è poi una sua vecchia conoscenza dei tempi di Boston, anche lui fuggitivo del bluegrass, David Grisman: i due fondano Earth Opera e sotto questo nome realizzano due album (Earth Opera e The American Eagle Tragedy). Musica quanto mai lontana dal bluegrass, rock raffinato e prevalentemente melodico secondo quella che sarà una costante del Rowan rockettaro, ma che non dá a nessuno dei due il grande successo, anche se l’originalità e la sostanza musicale hanno un certo riscontro positivo dalla critica. Inoltre, la difficoltà insita e costituzionale nel mantenere in piedi un gruppo rock porta Earth Opera a sciogliersi dopo circa due anni.

Mentre Rowan è a Nashville a studiare il da farsi, una telefonata di Richard Greene dalla California lo chiama a far parte del nuovo gruppo che sta mettendo su, Seatrain. L’attività della band, che Rowan lascerà dopo i soliti due anni e mezzo, è documentata da due album, Marblehead Messenger e Seatrain: sempre rock, ma in cui il violino di Greene, spesso in primo piano, mantiene più che qualche aggancio con la tradizione. Va anzi notato, per inciso, che in Seatrain si possono ascoltare delle vere chicche violinistiche, le funamboliche Sally Goodin e Orange Blossom Special. Rowan dal canto suo, divide il ruolo di lead vocalist con Lloyd Baskin e suona chitarra ritmica oltre a comparire come autore di Home To You, Waiting For Elijah, Oh My Love. Va detto che all’epoca aveva già composto per Seatrain Panama Red che era stata rifiutata dal produttore George Martin: saranno i New Riders Of The Purple Sage a farne in seguito un grosso successo con l’omonimo album (The Adventures Of Panama Red) insieme ad un altro pezzo di Rowan, L.A. Cowboy.

Comunque, nella città di San Antonio, Peter lascia il gruppo ed intraprende una serie di peregrinazioni musicali nel sud-ovest, Texas, New Mexico, Arizona: subisce il fascino della musica tex-mex, della magia dei luoghi (missioni messicane, pueblos, rovine indiane…).
Vive per qualche tempo presso una tribù Navajo, ed è in questo periodo che vengono scritte alcune tra le sue più belle e famose canzoni come Land Of The Navajo e Midnite Moonlite.
Dopo circa un anno di vagabondaggio, il rientro di Rowan nell’ambiente bluegrass avviene quasi per caso: è a Los Angeles e viene chiamato, insieme ai vecchi compagni Grisman, Keith, Greene e Clarence White, a fare da spalla a Monroe in un programma TV. Ma il bus di Monroe si guasta, così il boss non può arrivare in tempo ed è il quintetto d’eccezione a sostenere tutto lo show.

L’inaspettato successo che ottengono li spinge, appena una settimana dopo, a entrare in studio per registrare quello splendido album che è Muleskinner. La presenza in alcuni brani della Telecaster di Clarence White non impedisce a questo disco di essere puro bluegrass nelle intenzioni e nella sostanza: ma di più, l’equilibrio veramente magico fra innovazione e tradizione contribuì molto alla popolarità del bluegrass fra la gioventù urbana degli anni ’70.
Funestato dalla scomparsa di Clarence pochi giorni dalla fine delle registrazioni, uscito con un anno e mezzo di ritardo, pure Muleskinner nella prima settimana di pubblicazione si piazzò all’ottantesimo posto delle classifiche, il che in America è niente male.

Mentre aspettavano che Muleskinner vedesse la luce, Rowan e Grisman, insieme a Jerry Garcia dei Grateful Dead (nella veste insolita di banjoista) e – alternativamente – Richard Greene e Vassar Clements al violino oltre al bassista John Kahn (che, è doveroso ricordarlo, aveva anche partecipato a Muleskinner), avevano formato Old & In The Way, esibendosi principalmente nel circuito californiano e registrando l’omonimo album dal vivo: stavolta rigorosamente acustico, conteneva fra l’altro Panama Red e le inedite Midnite Moonlite e Land of Navajo. Con esse il Rowan songwriter si faceva finalmente apprezzare in pieno dal pubblico bluegrass o più genericamente folk, ed a ragione.

Anche se Panama Red, con le sue allusioni all”erba’ messicana, ha talvolta creato qualche perplessità e problema nei fans più anziani e tradizionalisti, non così le altre due. Anzi, Land of Navajo è, a mio avviso, uno dei migliori esempi del linguaggio poetico di Rowan: al di là della narrazione oggettiva, e tuttavia concreta nelle immagini, è la storia di una cosmica partita a poker fra il bianco e l’indiano dove la posta è la vita. L’indiano, sconfitto, tuttavia trionfa per il suo appartenere ad una realtà superiore, mentre il trafficante bianco rimane vincitore, ma solo, a lamentare non solamente la scomparsa dell’amico-nemico, ma in sostanza una miserabile condizione terrena. Una storia che verrà a lungo ricordata. A ciò si deve aggiungere un fascino tutto musicale del pezzo, con ampio spazio a virtuosismi vocali degni di nota e caratteristici di Rowan (uso del falsetto, yodel indiani) e si capirà come ancora oggi Land of Navajo sia uno dei cavalli di battaglia di Rowan ed uno dei suoi pezzi di più sicura presa sul pubblico.

A seguito di questi due felici episodi, Muleskinner e Old & In The Way, segue per Rowan un periodo di collaborazione con i fratelli Chris e Lorin (The Rowans): è un ritorno al rock melodico tipico di Earth Opera e Seatrain, con in più una maggiore enfasi sulle armonie vocali dei tre fratellini. Dei dischi che realizzarono insieme (The Rowans, Jubilation, Sibling Rivalry) è forse quest’ultimo il più significativo, anche per la presenza della splendida outlaw-ballad Joaquim Murrietta: poco nota e dallo stesso Rowan messa un po’ in disparte negli ultimi tempi, è tuttavia tra le sue cose migliori e non dispiacerebbe sentirla nuovamente pubblicata.

Finito il sodalizio con Chris e Lorin, una tappa fondamentale per Peter è la tournée giapponese con Greene, Trischka, Statman e Roger Mason: due album dal vivo, Hiroshima Mon Amour e Bluegrass Album, precedono il primo disco in cui, dopo circa vent’anni di musica, Rowan si presenta in prima persona. Peter Rowan esce nel 1978, e la presenza di Flaco Jimenez all’accordeon conferisce un’atmosfera tex-mex a tutto l’album che contiene oltre alle già note Land Of Navajo, Midnite Moonlite, A Woman in Love, Panama Red, altre gustose novità come la divertentissima Free Mexican Airforce.

Il medesimo taglio tex-mex caratterizza l’album che esce ad un anno di distanza, Medicine Trail: anche se il pezzo che dá il titolo al disco è puro rock ‘à la Rowan’, Ridin’ High In Texas, Foolish Pride, la struggente River Of Stone dimostrano che l’ispirazione texana è ben lontana dall’esaurirsi. In entrambi gli album, oltre al già citato Flaco Jimenez, sono numerosissimi i musicisti amici che assistono Peter, tutti di spicco e che vanno da Mike Auldridge e Tom Gray a Buck White & Family, da Mike Seeger a Richard Greene e Ricky Skaggs. Anche gli studi di registrazione sono i più disparati, e tutto questo anziché rendere frammentario l’ascolto, da la curiosità e piacevole sensazione di essere compagni di strada e testimoni dei numerosi incontri musicali di Rowan.

Texican Badman esce in Italia nel 1980 per l’etichetta Appaloosa di Milano, ed è una compilation di materiale inedito ma già registrato in passato. In gran parte un omaggio a Terry Allen, scultore-songwriter texano (come dimostrano ben quattro dei brani presenti, Four Corners, What Of Alicia, Texican Badman, Vacant Sea), l’album contiene registrazioni che risalgono ai tempi dei Rowans, nonché immancabili episodi con Flaco Jimenez e la sua band dal vivo all’Armadillo World Headquarters of Texas ad Austin, patria degli ‘outlaws’.

Sin dai primi anni ’80 nel frattempo Rowan aveva intrapreso pressoché annuali tour in Europa, incontrando particolare successo nelle isole britanniche e soprattutto in Irlanda. L’incontro con la musica irlandese è per lui l’occasione di verificare quanto il bluegrass debba alla tradizione celtica, ed è in gran parte l’ispirazione per The Walls Of Time che esce nell’82. Vede finalmente la luce il brano scritto insieme a Monroe, ed accanto ad altri standards bluegrass si ascoltano interessanti contaminazioni che potremmo definire ‘irish bluegrass’, gradevolissime una volta superata la sorpresa di ascoltare il clavinet di Triona Ni Dhomhnaill dei Planxty su pezzi come Moonshiner e Roving Gambler o viceversa il dobro di Jerry Douglas su Plains Of Waterloo e Raglan Road.

Dopo Walls of Time sorprende l’uscita (nuovamente Appaloosa) di The Wild Stallions, album solidamente rock prodotto da Roger Mason e forse prematuramente invecchiato per una gestazione troppo lunga e difficile. Del tutto atipico nella produzione recente di Rowan, avrebbe forse avuto migliore sorte se rivolto ad un pubblico americano anziché a quello europeo, abituato a conoscere un Rowan prevalentemente acustico.

Si arriva così all’ultimo di questa lunga serie di lavori, Revalry, uscito l’estate scorsa in Inghilterra per la Waterfront e realizzato insieme a Tex Logan e Gregg Douglass. Qui siamo di fronte al migliore Rowan e la chitarra elettrica di Gregg si fonde perfettamente con le sonorità del fiddle di Logan e della chitarra e mandola di Peter, in un sound raffinato ed originale. Nulla viene perso dell’elemento tradizionale (si ascolti Sittin’ On Top Of The World), né mancano episodi divertenti come il medley Talkin’ Bluegrass-Black Mountain Juice o ballate piene di pathos come Risin’ Of The Bones e che dimostrano come il Rowan songwriter sia ancora in piena forma.

Questi, a tutt’oggi, i momenti salienti della storia di Peter Rowan: una storia nella quale, come si è visto, numerose sono le brusche e talvolta sconcertanti sterzate. Sarebbe tuttavia un grosso errore ricorrere al cliché de ‘l’artista ancora alla ricerca di se stesso’: più che all’incertezza, le sue sbandate sono dovute alla sua insaziabile curiosità ed al suo amore per la ricerca musicale. Non è strano che sia stato definito recentemente ‘a guardian of folklore’ e ‘cosmic explorer’ (British Bluegrass News, agosto ’83), dal momento che questa sua ricerca si evolve in senso più sostanziale che formale: nel bluegrass, ad esempio (che per lui non è affatto un momento superato, ma onnipresente e coesistente) il suo interesse si concentra sull’aspetto drammatico e mitico di questa musica. La lezione di Bill Monroe è stata ben appresa e portata alle sue estreme conseguenze, ma più che l’aspetto tecnico-vocale (del resto impeccabile), quello che in lui sorprende è l’intensità interpretativa, che viene proprio dall’aver riconosciuto nel bluegrass la presenza delle stesse radici, della stessa intima sostanza che appartiene alle grandi tradizioni musicali, siano la musica celtica o quella napoletana o messicana.

Il futuro di Rowan, come per tutti noi, è fatto di sogni e realtà: fra i sogni, quello di fondare una sorta di confraternita, la ‘Università Lirica Itinerante’, al contempo spettacolo viaggiante, scuola e accademia della canzone, del folklore, e perché no, del ‘bon vivre’. Quanto alla realtà, è recentissimo il suo trasferimento a Nashville dove Ricky Skaggs – estimatore ed amico – conta di essere il produttore del prossimo album di Peter Rowan: una cosa in grande stile e che, con tale patronale, ha tutte le premesse di allargare e consolidare l’area del successo di Panama Red, alias Red Roan, alias Pedro El Rojo, Peter Rowan!

Luigi Grechi, fonte Hi, Folks! n. 6, 1984

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