Un palo di anni fa la University Of Texas Press ha pubblicato un libro intitolato The Jazz Of The Southwest che è costato non poche critiche all’autrice Jean A. Boyd. La tesi principale sostenuta dalla signora Boyd, che nelle note introduttrive confessa di aver scoperto il western swing soltanto nel 1990 (!). dimostrata attraverso interviste dirette e una panoramica peraltro assai utile, è che il western swing è un genere musicale che deve essere considerato una ramificazione del jazz e non della country music, a differenza di quanto si è sempre creduto. Aldilà dei numerosissimi errori segnalati dal recensore del libro dalle pagine dell’autorevole Country Music Journal (edizioni Country Music Foundation), l’opinione dell’autrice, anche se contestata energicamente, è comunque interessante, in quanto permette di osservare la cosa da un punto di vista diverso.
Dando per scontato che Jean A. Boyd ami questa musica a prescindere dalla sua collocazione all’interno della storia della musica americana, a mio modesto avviso l’obiettivo della stessa era quello di dare maggiore rispettabilità al western swing accostandolo ad un genere musicale. il jazz, che da sempre ha goduto profonda considerazione da parte della critica ‘colta’. Naturalmente chi conosce bene la storia del western swing, la sua evoluzione, il contesto in cui si è sviluppato e le elevatissime doti tecniche dei più importanti musicisti che l’hanno eseguito, non ha bisogno dell’approvazione di alcuno per giustificare la propria passione verso di esso.
Chi crede che personaggi come Bob Wills, Milton Brown, Cliff Bruner o Spade Cooley debbano godere di un riconoscimento circoscritto ai confini del country, soffre della tipica miopia da ignoranza: Bill Monroe come Muddy Waters, Hank Williams come Robert Johnson, Milton Brown come Charlie Parker, sono tutti protagonisti indiscussi della musica americana di questo secolo, pietre miliari, figure fondamentali di riferimento per le generazioni di musicisti che li hanno seguiti e per gli stili musicali generati anche decenni dopo il loro periodo di maggior successo. E guai a chi si permette di non essere d’accordo.
Tutto questo per introdurre gli Hot Club Of Cowtown, un trio acustico con base a Austin il cui ascolto gioverebbe a tutti, agli appassionati di country music, di blues e soprattutto di jazz.
Si dimostrano strepitosi anche nella loro seconda recente prova discografica, Tall Tales (Hightone HCD-8104), che segue Swingin’ Stampede (Hightone HCD-8094), il loro debutto del 1998. Ma la loro storia comincia molto prima e molto lontano dal Texas.
Era il 1990 quando Whit Smith (chitarra e voce) fronteggiava una band western swing denominata Western Caravan a New York City riscaldando l’ambiente nel tipico locale western Rodeo Bar. Qui conobbe la violinista Elana Fremerman, con la quale volò nella West Coast, a San Diego, per mettere in piedi la prima versione degli Hot Club Of Cowtown insieme al contrabbassista T. C. Cyran. Il nome dato al trio, così come il repertorio e lo stile, voleva ricordare tanto l’immagine western anni ’30 e ’40 quanto la figura del leggendario Django Reinhardt.
Nel 1997 autoprodussero una cassetta, Western Clambake, concentrandosi su storici brani quali Chinatown, Avalon, Milk Cow Blues, I Laugh When I Think How I Cried Over You. Con l’assistenza di alcuni musicisti californiani e texani, su tutti Dave Stuckey e Don Walser, si inserirono qualche tempo dopo nella ricca scena musicale di Austin. Qui, sostituito il contrabbassista con Billy Horton degli Horton Brothers, si esibirono di continuo guadagnandosi l’ingaggio fisso al Continental Club.
La voce si sparse a macchia d’olio, e delle numerose etichette che fecero la corte al trio riuscì a spuntarla la californiana Hightone Records, che li mise sotto contratto pubblicando subito Swingin’ Stampede. Il CD era una vera gemma acustica, offriva squisite cover di pezzi firmati da Gershwin, Wills, Cooley, oltre a fìddle tunes Texas Style e creava un’atmosfera anni ’30 e ’40 in grado di catapultare l’ascoltatore nei luoghi che hanno dato la luce a questa musica. A quel disco partecipò Johnny Gimble un vecchio Texas Playboy di fama internazionale, oltre che T. Jarrod Bonta (piano), Jeremy Wakefield (steel guitar) e Mike Maddux (accordeon). Il loro repertorio, confermato anche dal successivo Tall Tales, comprende vecchie canzoni del primo periodo western swing, ma anche pezzi eseguiti nello stile di Django Reinhardt-Stephane Grappelli e Joe Venuti-Eddie Lang. In Tall Tales – prodotto da Dave Stuckey – al pianoforte già ascoltato nel debutto (ma questa volta nelle mani di Joe Kerr) si aggiunge la presenza di una cornetta (Peter Ecklund) a rendere il suono ancora più squisitamente jazzy.
Ascoltateli entrambi, e poi, se ci tenete, giudicate voi se è country o jazz. Ma per carità, non ditelo in giro: i jazzisti non accetterebbero mai di essere accomunati a dei buffoni vestiti da cowboy, e gli appassionati di country, orgogliosi come sono delle loro tradizioni, preferirebbero morire piuttosto che regalarle a degli occhialuti intellettualoidi…
Maurizio Faulisi, fonte Country Store n. 53, 2000