Jack Ingram

“Per come la vedo io, la buona musica contiene sempre un elemento di sorpresa”, dice Jack Ingram, il cantautore nato e cresciuto in Texas e che sta ora godendo di un crescente interesse ad opera della stampa specializzata e del pubblico che accorre ai suoi concerti sempre più numeroso. “Mi piace ascoltare la musica che non sai mai esattamente dove va a parare, ma che alla fine si rivela OK”, dice ancora Jack. “Quando suono, è questo che cerco di ottenere”.
Jack si è dato da fare per popolarizzare il suo personalissimo tipo di country music fino dall’inizio degli anni ’90, allorché inizia a suonare la sera ed i fine settimana, mentre ancora frequenta il college. “Ho cominciato a suonare la chitarra quando avevo diciotto anni,” dice Ingram, nativo di Houston e cresciuto ascoltando musica che spaziava dalle leggende country tipo Willie Nelson – gran bello svezzamento! (N.d.r.) – Merle Haggard e Jerry Jeff Walker (“era quello che ascoltavano i miei genitori e piaceva anche a me; mi piace tutt’ora”) ad artisti pop e rock tipo i Beatles o i Little Feat.

Dopo essere arrivato a Dallas per studiare all’S.M.U., Jack inizia a sfruttare il proprio tempo libero imparando a suonare la chitarra da autodidatta e ben presto si ritrova a scrivere canzoni quasi alla stessa velocità con la quale impara gli accordi per suonarle. E’ più o meno in questo periodo che Jack scopre un locale chiamato Adair’s. “Mio fratello ed io andavamo là ad ascoltare la musica,” ricorda Jack. “Una volta avevo messo insieme abbastanza canzoni per fare un set, così chiesi al proprietario se c’era una sera che non fosse particolarmente frequentata, in modo da cercare di suonare ed è finita che ho iniziato a suonare là ogni martedì per più di un anno.”
In poco tempo, Jack si era circondato di una band di tutto rispetto ed era diventato una presenza costante in Texas e nell’intero circuito dei college del Sudest.
Nel 1993 Jack finalmente è pronto per il grande momento, il ‘break’ che tutti gli artisti sognano di avere. La minuscola Rhythmic Records distribuita dalla Crystal Clear Sounds di Dallas, Texas è la indie che – come da copione – gli dà fiducia per incidere l’omonimo CD di debutto: Jack Ingram. In questo suo biglietto da visita il giovane Jack è accompagnato da un pugno di amici che resteranno più o meno sconosciuti. Fra i ‘meno’ peschiamo la metà – originariamente erano infatti un duo – degli allora neocostituiti Jackopierce, nella persona di Carey Pierce, che suona la chitarra e canta. Fra i ‘più’ ritroveremo nel gruppo stabile dei Beat Up Ford il solo Diamond Jim Richmond alla pedal steel, dobro e fiddle.

Le dodici canzoni che compongono il menù di questo eccellente esordio la dicono lunga circa l’impostazione stilistica del nostro. Assistiamo ad impegnative covers di classici quali Mama Tried di Merle Haggard, Pick Up The Tempo a firma dell’insuperato Willie Nelson e The Road Goes On Forever del grande Robert Earl Keen, ma quello che più colpisce sono i pezzi originali e la grinta, la maturità ed il piglio con il quale il giovane Jack affronta questa fondamentale prova. Il via lo dà un brano che resterà profondamente significativo nello sviluppo della carriera di Jack, Beat Up Ford, composta da Jack stesso, che suona chitarra acustica e canta in tutto l’album. Ballata schematica con una languida steel in sottofondo, mentre il brano cresce con la batteria che gli conferisce una ritmica incalzante. Buona anche la prestazione vocale di complemento a cura di Michele Gonzalez: grande partenza!
Sight Unseen si rivela una ballata dove il tessuto armonico si adagia su una acustica pizzicata in punta di dita ed un pianoforte quanto mai timido. Il tutto è cucito da un lavoro di basso defilato, ma preciso. Sopra a questo tappeto si stende la voce calda di Jack: un altro centro.
Colin Boyd. chitarrista della situazione, sembra si sia lasciato profondamente influenzare dal ‘Boom-chicka-boom sound’ di Johnny Cash (vedasi l’analoga influenza esercitata su un altro emergente astro texano: Dale Watson) nel comporre Make My Heart Flutter, un roccioso country & western che da un tocco scanzonato all’umore del disco.

Di Beyond My Means, scritta ancora dal solo Jack Ingram, diremo solo che si tratta di un classico brano country up-tempo, ben supportato dal basso puntuale di Eric Delegarci e dalla steel di Diamond Jim Richmond. A Song For Amy si apre con un prepotente basso solista (?) in mano a Clay Pendergrass, al quale ben presto si affiancano l’acustica e la voce di Jack per dare vita ad una delicata narrazione, tenera quanto basta per ingentilire l’animo più arido. Non staremo ad analizzare in questa sede tutti i brani del CD: Things Get Cloudy è un chitarristico inno alla timidezza di un innamorato, The Fisherman è un invito a riscoprire il valore delle cose semplici e quotidiane, Me And You è un piacevole esercizio chitarristico a tre, mentre Drive On altro non è se non una ballata acustica introdotta dal piano, cha lascia ben presto spazio alla chitarra ed alla voce di Jack, addolcita dai contenuti di questa semplice canzone d’amore per la sua ragazza (“…this is my girl/this is my world…”). Chiudono la cover di Pick Up The Tempo di Wlllie (come “Willie chi?”), che definire schematica ed essenziale nella sua esecuzione è eufemistico e la stupenda Road Goes On Forever di Robert Earl Keen.
Un disco eccezionale, vuoi per la sua compattezza, vuoi per la straordinaria maturità che questo incredibile esordiente lascia trasparire da questo suo primo lavoro: la curiosità di confermare le aspettative create comincia così a crescere…

A distanza del solito anno ed incoraggiata dal successo – locale, si intende – riscosso dalla prova di esordio di Jack Ingram, è ancora la stessa coraggiosa etichetta a pubblicare Lonesome Questions. Tredici brani che non fanno che rafforzare la convinzione di trovarci di fronte ad un talento emergente. La musica di Jack affonda le radici là dove la country music ha avuto i suoi natali. Ascoltate la malinconica steel di Jim Richmond nel brano di apertura Lonesome Questions e ditemi che non vi ricorda gli arrangiamenti di Hank Williams. Still Got Scars del solo Jack, ha la ritmica sottolineata dalla batteria che tanto si rifà ai canoni di Waylon Jennings. Con questo non vogliamo dire che Jack Ingram copia i grandi: assolutamente no. Jack filtra gli inputs di coloro che hanno dato un senso ed un significato alla musica che rappresenta una grossa fetta del popolo americano e che alcuni ignoranti superficiali ancora liquidano come “musichetta da cowboy”.
Gradevolmente dualistica la rilettura del classico country Making Plans ripresa in tempi recenti anche dall’angelico trio formato da Emmylou Harris, Dolly Parton e Linda Ronstadt: un’introduzione malinconica alla quale fa seguito un prosieguo più spigliato, con tanto di steel solista. Altrettanto scanzonato, grazie all’uso del banjo, risulta Crazy Like The Moon a firma del polistrumentista Reed Easterwood, che ritroveremo nei Beat-Up Ford. Drive On viene ripescata dal precedente progetto ed impreziosita per l’occasione da un intro di violino, al quale fa seguito la triste voce di Jack, accompagnata dalla sola chitarra acustica, a tratti raddoppiata, per la classica ballata d’amore che già avevamo apprezzato nell’album di esordio.

Cambio di registro per la zampettante Come Around, scritta da Jack stesso. Steel in sottofondo e ritmica sostenuta: ballata di grande effetto, perfetta colonna sonora per un viaggio estivo in un’auto decappottabile attraverso gli stati del Sudovest americano. Mary Go Round è un gioco di parole con la grafia di ‘giostra’ (merry-go-round) e parla dei modi di divertirsi di una disinibita ragazza texana. Musicalmente siamo di fronte ad un impossibile bluegrass supportato da un robusto drumming, dove dobro prima e chitarra elettrica solista poi la fanno da padrone.
Workin’ rivela le fonti rurali dalle quali Jack abbondantemente attinge al momento di comporre. Sapida country soung, fortemente ritmata, da ascoltare dal vivo scandendo il tempo col battito delle mani: coinvolgente. Tuesday Night è uno dei brani che preferisco della produzione di Jack Ingram, così pervaso di tristezza reale, di immagini vive e vere, vostre e mie. Secondo ripescaggio dal precedente CD è il brano dal quale prenderà il nome il gruppo di Jack: Beat Up Ford. Grande canzone, che acquista spessore e credibilità ad ogni successivo ascolto: si ha la consapevolezza di trovarsi davanti ad un ‘grande’ ed il tempo ci darà sicuramente ragione.
Arriviamo così all’omaggio che Jack Ingram rende ad un altro dei suoi modelli ispiratori, quel Jerry Jeff Walker che aveva scritto e registrato My Old Man nel suo album di esordio nel lontano 1968. Anche questo secondo prodotto porta stampato il marchio JACK INGRAM a grandi lettere. Il sound è omogeneo, sobrio, ma mai povero; è essenziale e diretto. Texano fino all’ultima nota: grande, in una parola.

Sulla base dei successi mietuti fin qui, nel 1996 nasce la Beat Up Ford Records, distribuita ancora dalla Crystal Clear Sounds, che tiene a battesimo – non poteva essere diversamente – il primo CD dal vivo di Jack, che appare ufficialmente accompagnato dalla Beat Up Ford Band in questo Live At Adair’s. Registrato in quello stesso locale dove il giovane Jack si era esibito per la prima volta davanti ad un microfono, il disco è valido. La voce ha assunto un tono leggermente più nasale e risulta texana quanto mai: ce n’è abbastanza per farci andare in visibilio. Il gruppo comprende adesso addirittura sette elementi: Chris Claridy (chitarra elettrica e background vocals), Mitch Marine (basso), Pete Coatney (batteria),. Al Mouledous (fiddle),. il solito Diamond Jim Richmond e Milo Dearing (entrambi alla pedal steel, dobro e fìddle), per concludere con l’altro veterano Reed Easterwood (chitarra elettrica in Hang Down Your Head, e banjo). Lo show si apre con un inedito grintosissimo: Attitude & Drivin’ che già da subito ci dimostra di cosa sia capace il nostro in versione live. Grande spolvero di steel e violino, mentre la batteria incalza come una locomotiva.
Breve respiro per ripartire poi con il classico tempo ritmato della ballata country & western di Able Bodied Man a firma Foster & Rice. Sempre la steel sugli scudi, ma d’altronde questo strumento ricopre un ruolo fondamentale nel sound di Jack Ingram ed è giusto darle il meritato risalto.

Elmo Lincoln riporta Jack ai tempi della sua infanzia e dei suoi vecchi amici, quando l’obiettivo primario era risparmiare per comprare una bicicletta nuova. Dolce ballata, rilassata nella sua pacatezza: sembra proprio di vivere la narrazione all’ombra di una quercia frondosa, mentre il tempo scorre sonnacchioso nel profondo Sud degli Stati Uniti. Saltiamo quindi ad un episodio che amo in modo particolare: stiamo parlando della swingata These Days a firma del chitarrista Chris Claridy. Si tratta dì un brano che dal vivo risulta molto più accattivante che in versione ‘studio’ in quanto ben si presta ad interventi solisti di chitarra, fiddle e steel: grandissimo.
Dal suo passato prossimo Jack ripesca e ripropone Mary Go ‘Round, Making Plans e Make My Heart Flutter, mentre l’inedito She’s Gone ci ripiomba in atmosfere più reali, tangibili e riconducibili ad esperienze tristemente personali. Da sottolineare l’a-solo centrale di chitarra elettrica, particolarmente struggente. “Basta lacrime e facciamo quattro salti” sembra dire l’intro di steel per il classico di Harlan Howard I’ll Catch You When You Fall, tipico shuffle pronto a strappare un sorriso a chiunque. Ancora preciso l’intervento di Chris Claridy all’elettrica solista: grande honky-tonk sound made in Texas!

Non è tutto qui, c’è dell’altro, ma il bello dell’ascoltare dischi sta anche nello scoprirne il contenuto, soprattutto quando l’anticipo è del calibro evidenziato fino ad oggi.
Che esistesse una label dal nome Rising Tide Records, onestamente non ne ero a conoscenza, men che meno che questa fosse una major, ma tant’è, almeno stando alle note introduttive del bio-kit allegato alla foto promozionale di Jack Ingram, che l’etichetta in questione ci ha fatto pervenire in occasione dell’uscita del quarto album di Jack, l’imperdibile Livin Or Dyin’ una delle sorprese di musica country più eccitanti del 1997. L’album sottolinea chiaramente tanto le canzoni dirette ed immediate di Ingram, quanto il fresco suono honky-tonk della sua Beat Up Ford Band, testato su mille palchi di segatura attraverso il Sudovest degli USA.
Quando è stato il momento di registrare il nuovo album, Jack ha trovato il produttore perfetto nella persona di Steve Earle, del quale Ingram chiaramente condivide il gusto eclettico e l’approccio avventuroso. “Ho sempre ammirato la musica di Steve” dice Jack. “Quando abbiamo cominciato a pensare a qualcuno con il quale lavorare per questo album, la lista comprendeva tutti i produttori di Steve, allora abbiamo pensato, ‘A questo punto, perché non chiederlo direttamente a Steve stesso?’. Per un po’ sembrava che Earle fosse troppo occupato con la sua musica per farsi coinvolgere, ma quando finalmente ha trovato un po’ di tempo per ascoltare la musica di Jack, ha accettato con entusiasmo”.
“Sono molto grato a Steve per avere accettato”, dice Jack, “Probabilmente è il miglior arrangiatore di canzoni vivente e fra lui e Ray (Kennedy, co-produttore e tecnico del suono di Steve Earle) siamo riusciti ad ottenere esattamente il tipo di suono che desideravamo”. E di che album si tratta? “La maggior parte è stata incisa live in studio”, dice Jack. “Le parti vocali sono state registrate con il gruppo, non tramite sovraincisioni e questo rappresenta una grossa differenza. Mi piace ascoltare quei dischi dove senti la tensione emotiva – come una nota qui e là che non è perfettamente a posto, ma da la sensazione di esserlo per via del feeling della performance. Steve ha avuto il coraggio di far suonare il mio gruppo nel disco – e noi suoniamo così. Non mi sono mai divertito tanto nel realizzare un album e credo che abbiamo raggiunto il nostro obiettivo. Ciò che questi ragazzi hanno fatto è stato di creare un disco che renderebbe orgoglioso qualunque texano e se avete qualche dubbio, tutto ciò che dovete fare è ascoltare quanto si sente perfettamente a suo agio il grande Jerry Jeff Walker nel duettare con Jack nella strepitosa Picture On My Wall o come suona azzeccato Ingram nel rispolverare le due gemme texane, rispettivamente Rita Ballou di Guy Clark e Dallas di Jimmie Dale Gilmore o l’inno honky-tonk di Dim Lights, Thick Smoke And Loud, Loud Music, reinterpretato anche dai mitici Flying Burrito Brothers agli albori del primo country-rock californiano.

I brani originali non sono comunque certamente da meno delle grandi covers: l’iniziale Nothin’ Wrong With That, dove Jack si paragona ad una …beat up Ford… – che fantasia – a confronto della ragazza di turno, che egli vede come una Cadillac, l’honky-tonk grintoso di Big Time (entrambe scritte da Jack e Tom Littlefield), l’ennesima rivisitazione di Make My Heart Flutter, il riferimento personale di She Does Her Best e lo sforzo di uscire da una dipendenza fisica e non solo. Ancora la ritmata That’s Not Me con accenni di shuffle qui e là, con una chitarra elettrica da fare invidia a Dale Watson ed una carica da fare invidia a chiunque. Stesso discorso per Imitation Of Love, per non parlare del brano forse più bello di tutto questo eccellente disco, Airways Motel, ballata acustica ed intimista, sofferta ed introspettiva, autobiografica fino ad essere invadente, proposta con una voce molto amareggiata da quello che è stato il risultato di una relazione evidentemente sbagliata fin dall’inizio.
Livin’ Or Dyin è un album pieno di grinta e di contenuti, un album che rammenta all’ascoltatore che la musica country è ancora capace di prenderti a calci nel sedere, anche mentre tocca le corde più recondite del tuo cuore.

Discografia:
Jack Ingram, Rhythmic RRCD-1 11593 CD (1993)
Lonesome Questions, Rhythmic RRCD-1 1 1594 CD (1994)
Live At Adair’s (con Beat Up Ford Band), Beat Up Ford CCR 9631 CD (1996)
Livin’ Or Dyin, Rising Tide RT-53046 CD (1997)

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 41, 1998

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