Nickel Creek - Nickel Creek cover album

Sono in tre. Vengono dal Sud della California e la somma delle loro età è di ben dieci anni inferiore a quella del solo Dr. Ralph Stanley, il redivivo guru della musica bluegrass. Eppure, Sean, Sata Watkins e il fantastico mandolinista Chris Thile hanno già all’attivo quattro album solisti. Più uno come Nickel Creek che, uscito un anno e mezzo fa, ha superato in questi giorni le 500 mila copie vendute convincendo la Warner a promuovere la band in Europa. E se pure il successo della colonna sonora del film dei fratelli Coen (Fratello, Dove Sei?, oltre 5 milioni di copie vendute), ha dato loro un aiuto consistente, dubbi sul loro talento non ce ne possono essere: per tutti i cultori del genere, i Nickel Creek sono l’unica, vera novità emersa dall’universo buegrass negli ultimi vent’anni.

L’incontro in un albergo del centro di Milano. Sono appena arrivati dall’aeroporto e appaiono visibilmente ‘shakerati’: il tour promozionale in Europa non lascia loro neppure un attimo di tregua. Chiedono un cappuccino e si stravaccano sul divano pronti a rispondere alle mie domande. Ma nei loro occhi, glielo si legge chiaramente, c’è soprattutto voglia di un piatto di spaghetti al pomodoro. Sono giovanissimi. E si vede. Specialmente Sara, una ragazzina appena ventenne che però sa suonare il violino con l’abilità tecnica di Stuart Duncan e la classe di Mark O’Connor. Ma anche il fratello Sean (chitarrista del gruppo) e Chris Thile (il vero fenomeno dei tre, un mandolinista che a soli 21 anni sta già oscurando la fama di ‘giganti’ dello strumento come Sam Bush, Ricky Skaggs e Mike Marshall) hanno un look da teenager. E fa specie, pensando alla loro età e al contesto in cui sono cresciuti, immaginarli alle prese con la musica delle radici americane anziché con il nu metal dei Korn o il punk sbarazzino dei Blink 182.
“Tutto è nato dalla passione che i nostri genitori avevano per il bluegrass: ci hanno messo in mano banjo, mandolino e violino quando eravamo bambini”, ammettono in coro. “Ci siamo incontrati in una pizzeria a Los Angeles dove, una volta alla settimana, si esibiva un gruppo di bluegrass (i Bluegrass Etc.) nel quale militava il nostro maestro di musica: è stato allora che, insieme al padre di Chris (Scott, che suona il contrabbasso, nda) abbiamo dato vita al gruppo.”
Subito dopo, i tre ‘kids’ vengono notati da un promoter che cerca un gruppo di ragazzini da inserire nel circuito dei bluegrass festival. E così, quasi tredici anni fa, inizia l’avventura professionale dei Nickel Creek anche se i tre fanno subito capire di ambire a diventare qualcosa di più della solita bluegrass band. E non solo per via della verdissima età. “Non ci siamo mai considerati”, racconta Chris, “un gruppo bluegrass nel senso stretto del termine. Come stile, come approccio e anche come repertorio abbiamo sempre avuto orizzonti più ampi. Sin dall’inizio, c’è piaciuto mescolare classici dell’erba blu con pezzi di country music e, ogni tanto, con cover di rock.”

E così, poco per volta, i ragazzi sviluppano un percorso tecnico, musicale e compositivo assai originale. Oggi, Chris Thile e Sean Watkins sono i due scrittori più prolifici anche se Sara contribuisce attivamente alla stesura finale dei brani. Tutti e tre dispongono di tecnica sopraffina, di un controllo incredibile del proprio strumento e di un gusto estetico formidabile. Chris Thile, poi, è un autentico mago del mandolino. Sam Bush e Peter Wernick (che hanno prodotto due dei tre album solisti di Chris) sono concordi nel definirlo il “Mark O’Connor del Terzo Millennio”. Grazie al passaparola di personaggi come loro e a quello di altri protagonisti del mondo della musica acustica nordamericana, il nome dei Nickel Creek circola con insistenza già da parecchio tempo.
“E di questo ne siamo orgogliosi”, dice Sean, “ci ripaga di tanti anni di musica fatta con enorme divertimento ma anche con seria professionalità.”
Una professionalità vissuta in modo inconsapevole almeno tanto quanto la scelta musicale. “Quando abbiamo iniziato con il bluegrass”, ammette Sara, “eravamo talmente piccoli che non ci rendevamo conto di suonare una musica d’altri tempi. Né eravamo molto al corrente di cosa andasse allora di moda. Nessuno di noi vedeva MTV né era influenzato da questo o da quello. Ai nostri amici piaceva quello che suonavamo: anzi, pensavano fosse una vera figata. Forse perché, quando abbiamo iniziato, anche loro erano piccoli come noi; non ascoltavano il metal… semmai guardavano i cartoni animati. Una volta cresciuti, poi, ci siamo sentiti musicisti a tempo pieno, perfettamente convinti dei nostri mezzi.”
Anche la scuola non è stato un problema: come i giovani talenti sportivi, infatti, anche i ragazzi dei Nickel Creek hanno sfruttato il sistema americano (molto diffuso, particolarmente in California) dello ‘homeschooling’. “Non so se in Europa è una cosa popolare ma da noi è piuttosto comune. Lo ‘homeschooling’ è un sistema di lezioni e programmi che consente di raggiungere i livelli d’istruzione previsti dalla legge senza l’obbligo della frequenza. Ci ha permesso di essere a posto con lo studio senza sacrificare la musica.”

Musica che ormai ha assunto un ruolo primario nelle vite di questi ragazzi. “Mio padre Scott”, sottolinea Chris, “ha un altro lavoro e ha dovuto lasciare il gruppo. È stato sostituito da Derek Jones (ottimo strumentista californiano che ha militato nella Anger & Marshall Band, nda). Noi, nel frattempo siamo cresciuti e abbiamo messo a fuoco la nostra formula musicale.”
Che, aggiungiamo noi, parte da dove si era interrotta la New Acoustic Music degli anni ’80, quella che aveva avuto in David Grisman, Tony Rice, Bela Fleck e Jerry Douglas i massimi esponenti. Quel filone musicale, a cavallo tra jazz, rock, folk e classica, si è inaridito negli anni ’90. I Nickel Creek lo riportano in vita aggiungendovi una tecnica strumentale ancor più esasperata, una pulizia di suoni cristallina e soprattutto inserendo il concetto di canzone spesso assente nella New Acoustic Music.
Come i loro predecessori, anche i ragazzi dei Nickel Creek non amano il suono del banjo a 5 corde, tradizionalmente lo strumento principe del bluegrass. “Non credo che il suono del banjo stia bene nelle nostre canzoni”, confessa Chris Thile. “Paradossalmente”, continua, “il nostro album inizia con Ode To A Butterfly, un pezzo in cui c’è il five string. Ma è stato uno scherzo, una specie di provocazione. È infatti l’unico brano del nostro repertorio in cui lo abbiamo usato. Certo, se Bela Fleck decidesse di unirsi a noi… forse potremmo cambiare idea sul banjo…”

Strano destino quello del disco dei Nickel Creek. Uscito quasi due anni fa su etichetta Sugar Hill ha impiegato molto tempo prima di farsi notare. Ma poi di colpo è giunto un successo insperato, quanto meno nelle proporzioni. “Si è trattato di una specie di effetto domino”, spiegano Sara e Sean, “non dimentichiamoci che l’album è stato stampato da una piccola etichetta con budget limitato e con minimo potere commerciale. In più noi veniamo da un background folk. Ci aspettavamo di vendere 20, 30mila copie al massimo. Poi sono successi alcuni episodi importanti: un grosso network radiofonico ha iniziato a trasmettere la nostra musica, poi è uscita un’intervista su Time e quindi un articolo del New York Times. Infine abbiamo girato un paio di videoclip: quello di The Lighthouse’s Tale è piaciuto. E ci ha aiutato parecchio: ha dato visibilità alla band e ha permesso di trasmettere la nostra musica su canali prima inaccessibili.”
Prodotto da Alison Krauss (già, proprio la violinista/cantante che insieme a Gillian Welch e Emmylou Harris è una delle protagoniste della colonna sonora di Fratello, Dove Sei?), l’album contiene tutte le influenze musicali dei Nickel Creek, molto radicate nella tradizione americana. “Ma noi ascoltiamo di tutto. Ci piacciono i Radiohead e adoriamo i Wilco”, dicono in coro i tre ragazzi che ci svelano i segreti del loro nuovo album. “È pronto: uscirà a fine agosto negli Usa e probabilmente a dicembre in Europa. Non ci saranno ospiti e ricalcherà lo stile del nostro album di debutto. I pezzi sono prevalentemente composti da noi, salvo due arrangiamenti di traditional e una cover dei… Pavement!!!”

Ezio Guaitamacchi, fonte JAM n. 84, 2002

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