Tim O’Brien ha suonato bluegrass con gli Hot Rize per 14 anni, ma ha anche suonato swing degli anni ’30 e ’40 con la Ophelia Swing Band, e western music con Red Knuckles And The Trailblazers (gli alterego degli Hot Rize), e oggi porta in giro la propria personale mistura di country/bluegrass/swing/rock acustico col suo gruppo, gli O’Boys, mistura che in parte caratterizza anche i due album incisi con la sorella Mollie per la Sugar Hill.
Le sue composizioni hanno costituito una discreta fetta del repertorio degli Hot Rize, ma sono state anche incise e portate ai posti alti delle classifiche da cantanti country come Kathy Mattea o da band meno facilmente inquadrabili come i New Grass Revival.
Il suo talento come cantante, mandolinista, violinista e chitarrista ha trovato naturalmente degna espressione nei diversi gruppi di cui ha fatto parte (e già questo può dare un’idea della sua versatilità), ma è stato anche ampiamente sfruttato per album tipicamente country, o all’opposto, decisamente eterogenei di artisti come Mary Chapin Carpenter, Kathy Mattea, Jerry Douglas, o il trio Anger-Marshall-Trischka.
D’altra parte la formazione culturale di questo straordinario musicista è stata sempre improntata, per sua stessa ammissione, al massimo eclettismo, con la dichiarata intenzione di non seguire vie già battute da altri, ma cercando di introdurre elementi nuovi o semplicemente diversi, anche se armonicamente integrati nei diversi stili musicali esplorati. Così il mandolino si ispira certamente alla tradizione Monroe (è stato lui il primo), ma ha soprattutto profonde radici nella chitarra rock degli anni ’70. Il suo violino non disdegna certo gli influssi stilistici dei grandi del bluegrass come Chubby Wise, ma lascia trasparire una miriade di elementi diversi, soprattutto jazz, fatti propri da O’Brien nei lunghi anni di studio di Joe Venuti, Stephane Grappelli, Stuff Smith e Svend Asmussen, tutti padri del violino jazz e di altri strumentisti quali i sassofonisti Lester Young o Sonny Rollins.
Il suo stile vocale, infine, decisamente unico, riconoscibilissimo e fondato su un timbro quasi irlandese, deve sicuramente molto ai vari Monroe, Flatt, Martin e Stanley, ma utilizza anche elementi presi da cantanti diversi quali Bing Crosby, Louis Armstrong (O’Brien è grande nello scat-singing), Jerry Lee Lewis o Elvis Presley, sfruttando perciò tutte le possibilità, anche estreme, fondate sul talento naturale ed esperienza per improvvisare ed esplorare continuamente nuovi territori e nuove sonorità.
Con queste premesse e questa impostazione, decisamente uniche nel mondo della musica country, possiamo facilmente capire quale sia stata l’accoglienza che l’ambiente mainstream country ha riservato ad un outsider che, per quanto munito delle quasi inevitabili camicie scintillanti ed ineccepibili credenziali tecniche, ha tentato di farsi un nome a Nashville, dopo aver abbandonato Hot Rize e ambiente bluegrass.
Ci siamo stupiti del contratto ottenuto in un lampo con la RCA, ma non ci siamo per niente stupiti (tipo “Ah mi pareva!”) quando la stessa RCA ha archiviato un intero album registrato da O’Brien (più qualche pezzo extra) fra i molti Grandi Album Che Non Sentirete Mai, e ha infine rescisso il contratto.
C’è voluta ancora la Sugar Hill, etichetta seria e illuminata, ma indipendente e tutt’altro che major, per farci sentire il nuovo Tim O’Brien in versione ‘strano country’ elettro-acustico, folk beat, sul confine-fra-diversi-generi, musica acustica con un po’ di rock (la precedente esperienza solistica Hard Year Blues, per la Flying Fish Records, poteva essere considerata più un’antologia dei diversi stili suonati da O’Brien che una vera sintesi degli stessi).
E così ci è arrivato Odd Man In piccolo capolavoro di gusto, tecnica, sensibilità e vitalità, sicuramente uno degli album più originali e significativi della produzione country, e più genericamente musicale acustica degli ultimi anni, un assoluto must per le persone dotate di buon senso (musicale s’intende) e non troppo videomusicdipendenti.
E sta per arrivare anche Tim O’Brien, addirittura in persona, grazie alla Bluegrass Music Association of Italy, e ci auguriamo che la anormalità di questo fantastico musicista e dei suoi compagni di gruppo (Mark Shatz al contrabbasso e Scott Nygaard alla chitarra) diventi il segreto del suo successo anche qui in Italia.
Lyle Lovett, la cui intelligenza musicale dovrebbe esserci ormai nota, e apprezzata sempre di più in questo mondo di monotonia discotecara e videoclippica, dice nelle sue note di copertina per Odd Man In: “…tutti noi dovremmo essere anomali come Tim O’Brien”. E se questa volta provassimo, in molti, ad ascoltare il suo parere?
Ci vediamo tutti al concerto di Tim O’Brien. L’appuntamento è per il 24 maggio al Teatro Gnomo di Milano. Ci conto.
Silvio Ferretti, fonte Country Store n. 18, 1993