John e Alan Lomax. Sounds Of The South picture

Nel 1910 John Lomax scrisse Cowboy Songs, uno dei primi libri storico musicali dedicati alla cultura popolare del West. Il volume era dedicato a Theodore Roosevelt che nella prefazione scrisse: “È un libro bellissimo che ricorda le antiche ballate del nostro Paese, troppo presto uccise dalle canzoni del music hall”. Poi anche le canzoni del music hall vennero spazzate via dal pop di consumo e il folk venne considerato per anni una forma d’arte rozza e primitiva.
Oggi, grazie all’etnomusicologia, il folklore (termine coniato dall’antiquario William John Thoms per sostituire il desueto ‘popular antiquities’) è un fiore all’occhiello della cultura americana. Tra i suoi grandi evangelisti ci sono John Lomax e il figlio Alan, scomparso in agosto a 87 anni, la maggior parte spesi creando un jukebox globale di canzoni, ballate, leggende che sono il vanto della prestigiosa Library Of Congress.

Alan si unì al padre a metà degli anni ’30. Partirono su una vecchia auto; a bordo un gigantesco giradischi e una valanga di dischi di alluminio per registrare i personaggi più curiosi. In famigerate prigioni del Texas come Sugarland e Ramsey scoprirono i pluripregiudicati James ‘Iron Head’ Baker, cantore delle leggende dei cowboy di colore, e Moses ‘Clear Rock’ Platt, il cui aspetto fisico faceva paura anche al Diavolo. Nelle foreste di Coahoma County, dove viveva in una capanna senza luce e senza vetri alle finestre, scoprì il blues selvaggio di Alec Robertson, che si vantava di “aver suonato il violino con il Diavolo per 57 anni”. Lomax, da vero studioso della biodiversità in musica, ha raccolto materiale per più di 150 CD di canti, interviste, racconti.
Nella serie di CD Southern Journey, le cui uscite proseguono ininterrottamente, ha registrato l’intero corpus della cultura afroamericana: dai canti delle Georgia Sea Islands e delle Bahamas a quelli dei carcerati di tutto il Sud; dagli spiritual ai gospel che si rifanno al metodo ‘fasola’, dagli inni ‘pagani’ delle chiese nere alle canzoni dei fuorilegge passando per i canti dei taglialegna, dei marinai e chi più ne ha più ne metta. Ci sono le registrazioni e i filmati di ossessive funzioni nelle chiese battiste condite dagli strali di predicatori come Isaac Watts, Milingo dell’epoca con la Bibbia in una mano e la bottiglia nell’altra, e naturalmente ci sono anche tanti bluesmen.

Cercarono invano Robert Johnson (che nel frattempo era morto) ma riuscirono a collegare la sua opera a quella di Son House e Charley Patton; incisero le taglienti svisate slide di mastro Fred McDowell, i virtuosismi rag di Blind Willie McTell, gli arcaici e suggestivi suoni di Napoleon Strickland.
Nel ’34, insieme al padre, fece uscire dal carcere di Angola (dove era detenuto per omicidio) il picaresco Leadbelly. Lo assunse come autista, ma lo lanciò anche come uno dei più straordinari cantori di ballate afroamericane. Nel luglio 1941, mentre il jazz celebrava Benny Goodman e Glenn Miller e Lorin Maazel debuttava alla guida della NBC Symphony Orchestra, Lomax scoprì, in una capanna del Mississippi un giovane contadino-chitarrista: Muddy Waters. “Questa è gente che un giorno si troverà a cantare con gli angeli”, scrisse di loro Alan Lomax nel suo fondamentale libro The Land Where The Blues Began.

Antonio Lodetti, fonte JAM n. 86, 2002

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