Fa sempre piacere ritrovare un personaggio come Ben Demerath, cantautore con la C maiuscola, songwriter che non ha alcun bisogno di fare ricorso ad effetti speciali per legittimare il proprio valore e garantirsi una sicura credibilità.
Con una storia ed una personalità più da compositore che da cantautore, solo negli ultimi anni Demerath ha deciso di servirsi personalmente delle proprie canzoni, iniziando silenziosamente una carriera tanto difficile quanto ricca di concorrenza.
Jack Of Fools è il secondo album di Ben Demerath, dopo Thirthy Degrees su Cojema Records, o terzo, se consideriamo l’apparizione nell’omonimo album, come membro degli Sugarbeat, acoustic band che comprendeva il banjoista Tony Furtado, il mandolinista Matt Flinner e la cantante Sally Truit.
Demerath fa sicuramente parte di quella generazione di cantautori che paga un debito di riconoscenza a giganti come John Hiatt, che affondano quindi le proprie radici in una tradizione folk-blues tornata fortissima negli ultimi venti anni negli States, dopo essersi allontanata da posizioni troppo arcaiche ed aver accolto, finalmente, influenze più tipicamente urbane. Se Hiatt, come archetipo, è più identificabile con modelli rock, suoni ruvidi e rabbia nei testi, Demerath utilizza sonorità decisamente più tenui e testi con tematiche riflessive e malinconiche. Coerente con la sua natura mite, il songwriting di Demerath si lega ad un linguaggio fatto di semplicità e di purezza stilistica, espressa con uno script lineare, al quale fa da supporto una strumentazione prevalentemente acustica, ma comunque sempre scevra da qualsiasi contaminazione elettronica.
Questo Jack Of Fools rappresenta la conferma del suo talento, che esplora con grande equilibrio le strade del folk e del blues nelle loro accezioni più urbane e cantautoralmente moderne. La fusione è pressoché perfetta ed è estremamente difficile identificare brani nei quali un genere prevalga sull’altro, tale è la padronanza di linguaggio con la quale l’artista si esprime e che gli permette di non sfigurare quando interpreta, e bisogna aver coraggio per farlo, brani epocali come il traditional Man Of Constant Sorrow o la cover di Farewell, Farewell, firmata da un mito del calibro di Richard Thompson.
Con grande umiltà Demerath compone ed arrangia brani che nelle mani di artisti ormai integrati nel sistema, diventerebbero certamente grandissimi hits ed il paragone che immediatamente mi corre di fare è con Marc Cohn. Sono moltissimi, infatti, i punti di contatto tra i due, che si richiamano sia nella voce che nella scrittura, pur mantenendo una precisa identità e, nel caso di Demerath, senza alcuna intenzionalità, visto il sicuro talento di entrambi, diversi solo nelle dimensioni del loro successo, internazionale e quasi demotivante nelle conseguenze per Cohn, poco significativo e, per questo, incentivante per Demerath.
La giusta via di mezzo potrebbe essere il riferimento a John Gorka, altro musicista di grandissimo valore di estrazione folk, che ha sicuramente maturato un completo processo di urbanizzazione della sua vena.
Ma Demerath è Demerath, e non ha debiti con nessuno e questi riferimenti vogliono solo servire ad inquadrare un tipo di scrittura e di sound, sottolineandone la completa originalità di ciascuno. Mi sembra quasi superfluo e fuoriluogo citare i musicisti, senza peraltro nulla togliere al loro valore, che lo hanno accompagnato, ma vorrei comunque ricordare Roger Williams al dobro, del quale vi invito ad ascoltare con attenzione la performance in Every Shade Of Blue, brano di apertura del CD, semplicemente straripante, e la presenza cammeo di Cliff Eberhardt alla voce in Little One, delicatissima ballata, tipica dello stile di Demerath.
Un imperdibile regalo di Natale… ma anche di Pasqua e per ogni occasione.
Compass 4286 (Singer Songwriters, Folk, 2000)
Claudio Garbari, fonte Out Of Time n. 38, 2001
Ascolta l’album ora