Billy Joe Shaver picture

Nella memoria dei cultori della musica alcuni appellativi resteranno indelebilmente legati ad altrettanti ‘mostri sacri’, ad identificare senza ombra di dubbio personaggi irripetibili: fra gli altri ‘Banjoman’ per Earl Scruggs, ‘Man in black’ per Johnny Cash, ‘Red headed stranger’ per Willie Nelson, ‘Outlaw’ per Waylon Jennings e ‘Honky-tonk hero’ per Billy Joe Shaver.
E’ proprio di questa colonna portante del cosiddetto ‘outlaw country’ texano che ci apprestiamo a ripercorrere le tappe salienti della carriera discografica, in occasione del suo ultimo album.
La maggior parte dei fruitori di country music conosce bene il nome di Billy Joe Shaver, perché in tanti si sono cimentati con le sue canzoni: da John Anderson agli Asleep At The Wheel, da Bobby Bare a Johnny Cash, da David Allan Coe a Commander Cody e poi via con Waylon Jennings, Willie Nelson, gli stessi Highwaymen, Chris LeDoux, Tom T. Hall, Bob Nolan, Tex Ritter, i Sons Of The Pioneers, Red Steagall, Marty Stuart ed altri ancora, fino a comprendere la mitica compagine di Bob Wills e dei suoi Texas Playboys, ma i fans di Billy Joe (tipicamente texano l’uso del doppio nome proprio) spesso preferiscono le versioni originali e non certo senza motivo.
L’amore di Billy Joe per la musica ha più o meno la sua stessa età – classe 1941, in quel di Corsicana, Texas. Quando era ancora un bambino, la nonna che lo aveva allevato con l’unico sostegno della sua pensione, otteneva un certo credito presso il negozio dove andava a fare la spesa a fronte di un’esibizione canora del piccolo B.J. che più tardi si renderà conto di avere in mano (anzi, in… bocca) una carta vincente per il proprio futuro.

Un certo periodo in Marina (leggi: naja) lo porta ad una serie incolore di lavori occasionali, compreso un ingaggio in una segheria; è durante questo periodo che Billy Joe si procura gravi lesioni alle dita della mano destra a causa di un incidente sul lavoro.
Questa complicazione lo porta a dedicarsi maggiormente alla composizione ed il suo carisma personale gli vale l’amicizia di gente del calibro di Willie Nelson, Waylon Jennings e Bobby Bare. Dell’incontro con quest’ultimo ecco il ricordo dello stesso Billy Joe: “Dapprima Bobby mi disse di non essere interessato a nuovi compositori, allora abbassai il capo e feci per andarmene. Cavolo, devo aver avuto un aspetto davvero patetico, perché disse: ‘Ah, aspetta un attimo. Dove sono i tuoi nastri?’ Gli risposi che non avevo nessun nastro, che le mie canzoni le avevo in testa. Ma mi fece rimanere lo stesso e mi chiese di suonargli una canzone (A Restless Wind, che lo stesso Bare includerà nel suo album I Hate Goodbyes /Ride Me Down Easy del 1973, insieme ad un altro classico di Billy Joe, che da parzialmente il titolo al disco). Prima che l’avessi terminata, aveva già preparato i documenti per scritturarmi”.
Esiste un demo-tape – tutt’ora inedito – di una session del Luglio 1970 con Bobby Bare alla chitarra: speriamo che qualche topo d’archivio ne faccia buon uso… Nonostante l’impegno di Bobby Bare, è grazie a Kris Kristofferson che Billy Joe ottiene il suo primo contratto con la Monument (all’epoca l’etichetta di Kris) che pubblica il suo album di esordio: Old Five And Dimers Like Me.
Prodotto dallo stesso Kristofferson, l’album si snoda su di una serie di narrazioni sostenute da una solida base hard-core country, assolutamente senza fronzoli, con una voce grezza che va direttamente al sodo, colpisce duro ed a colpo sicuro.
Alcune songs diventano immediatamente dei classici: Black Rose, Old Five And Dimers Like Me, la grandissima I Been To Georgia On A Fast Train, Willy The Wandering Gypsy And Me, dedicata al vecchio amico Willie Nelson (lo spelling sbagliato del nome non si ripeterà nelle numerose covers di questo brano, ad eccezione di quella di Waylon Jennings), Low Down Freedom e Bottom Dollar.

Un esordio artisticamente fulminante. Commercialmente parlando il responso risulta invece molto più tiepido: un certo interesse per il singolo-pilota I Been To Georgia On A Fast Train, che non sale oltre l’88° posto, e Billy Joe se ne va dalla Monument a cercare migliore fortuna sotto l’ala protettrice della MGM, per la quale incide un singolo, co-prodotto da Bobby Bare e Willie Nelson, verso la fine del 1974. Alle registrazioni collaborano, fra gli altri, lo stesso Willie alla chitarra, il suo armonicista Mickey Raphael ed il figlio di Billy Joe, Eddie, allora soltanto dodicenne (lo ritroveremo con ben altra grinta in contesti più vicini a noi, ma non anticipiamo i tempi).
Shaver scrive entrambi i pezzi: il lato A contiene un brano influenzato dallo stile di Jimmie Rodgers, Lately I’ve Been Leanin’ Towards The Blues, mentre il retro, It Couldn’t Be Me Without You, arriva inaspettatamente al 3° posto delle classifiche di vendita nell’interpretazione di Johnny Rodriguez, che lo includerà anche nel suo album del 1975 intitolato Love Put A Song In My Heart.
La versione originale si perde ben presto nel dimenticatoio e Billy Joe divorzia così anche dalla MGM.
Una certa notorietà come compositore Billy Joe l’aveva ottenuta già nel 1973, quando Waylon Jennings aveva registrato quell’imperdibile album intitolato Honky-Tonk Heroes che contiene ben nove brani su dieci a firma Billy Joe Shaver. Questo album aveva riscosso l’incondizionato plauso di Dickey Betts, chitarrista della Allman Brothers Band, che riteneva Waylon stesso avesse scritto i brani. Nell’apprendere che essi erano invece opera del suo vecchio amico Billy Joe, la stima nell’esordiente singer-songwriter cresce notevolmente, tanto che si adopera per fargli firmare un contratto con la Capricorn, la stessa etichetta degli Allman.

Nel 1976 nasce When I Get My Wings, un coraggioso proseguimento delle idee che Shaver aveva iniziato ad esplorare con Old Five And Dimers Like Me. Il sound è ampio e pieno, la produzione attenta di Bob Johnston e la collaborazione di elementi di spicco del Southern-Rock quali Scott Boyer, Tommy Talton (dei Cowboy), Charlie Daniels, Dickey Betts e Chuck Levell (dell’Allman Brothers Band e Sea Level) e Bonnie Bramlett contribuiscono a dare all’album una rocciosa integrità che trova i suoi picchi in nuovi classici quali Texas Uphere Tennessee, l’imprescindibile Ride Me Down Easy e Ain’t No God In Mexico.
Troviamo anche alcuni episodi più squisitamente acustici, The Good Lord Knows I Tried ed il title-track su tutti, che la dicono lunga sulla poliedricità del loro autore. A distanza di vent’anni si rivelano ancora estremamente validi ed elemento di ispirazione per i giovani virgulti attenti ai valori tradizionali. Il produttore c’è, i musicisti e le canzoni ci sono, manca solo l’appoggio dell’etichetta.

A fronte dell’accoglienza di When I Get My Wings, la Capri­corn si impegna maggiormente nella promozione del follow-up, quel Gypsy Boy che viene pubblicato l’anno seguente, 1977.
Per l’occasione si scomodano alcuni nomi leggendarì della Nashville scene: David Briggs, Karl Himmel, Norbert Putnam, Randy Scruggs, Ben Keith, James Burton e Ricky Skaggs, oltre a Nicolette Larson, Emmylou Harris, Rodney Crowell, Mickey Raphael e – last but not least – Willie Nelson in un paio di brani.
Il disco è decisamente molto buono: contiene la versione di Billy Joe della famosissima Honky-Tonk Heroes, la cadenzata I’m Going Crazy In 3/4 Time che comprende una interessante performance di Willie Nelson (impossibile non riconoscerlo) alla acoustic gut-string guitar. Ancora da citare Slow Rollin’ Low, sapientemente bluesata e tipicamente ‘Shaveriana’ e la conclusiva You Asked Me To, dove si assiste ad un vero e proprio ‘duello’ (più che ‘duetto’) fra l’acustica di Willie e l’armonica di Mickey Raphael, senza trascurare il meno cruento apporto vocale del vecchio outlaw.
Il prodotto è ottimo, ma il risultato finale risente di una palese difformità di vedute fra Billy Joe ed il produttore Brian Ahern, così anche il sodalizio biennale con la Capricorn viene gettato alle spalle.

Di lì a poco, come già era curiosamente accaduto alla Monument ed alla MGM, l’etichetta finisce malamente i suoi giorni.
Nonostante il singolo per la MGM ed i due album incisi per la Capricorn siano ormai da anni introvabili nella loro originale veste in vinile, ecco nel 1994 la benemerita Bear Family Records intervenire in soccorso di coloro che si sono tardivamente avvicinati a Billy Joe Shaver, con la ristampa in un unico CD, intitolato giustamete Honky-Tonk Heroes, del 45 e dei due album completi, più un inedito del 1974, Music City U.S.A. per buona misura. Inutile dire che si tratta di un’occasione imperdibile.
Silenzio. Un lungo periodo di quattro anni durante i quali in molti temono che l’equilibrio di Billy Joe sia irrimediabilmente compromesso dai numerosi abusi che costellano le sue giornate e le sue nottate. I concerti saltati all’ultimo momento per impossibilità dell’interessato di ‘tenere il palco’ non sono certo un buon viatico per un musicista senza neppure un contratto discografico e l’umore del nostro ne risente fortemente.
La grinta però non è stata domata ed il vecchio leone risorge di lì a poco, in forma come ai bei tempi. Con un contratto nuovo di zecca per la major Columbia (ancora non si chiamava Sony), Billy Joe si ripresenta nel 1981 con un album fortemente accattivante, registrato in parte a Nashville ed in parte in Colorado con dovizia di ospiti.

I blasonati amici che dividono le sorti dell’album rispondono ai nomi di Bunky Keels, Eddy Shaver (che orgoglio per un padre avere al fianco il figlio ‘through thick and thin…’), Bobby Thompson, Terry McMillan e Russ Hicks fra gli altri.
Già il titolo I’m Just An Old Chunck Of Goal But I’m Gonna Be A Diamond Someday di per sé la dice lunga sulla tenacia e sulla caparbietà del nostro, che compone tutte e dieci le songs che rappresentano il tessuto sonoro del disco.
Tutti i brani sono stati composti fra il 1978 ed il 1981, ad eccezione di un ripescaggio eccellente, quella When The Word Was Thunderbird datata 1970.
Si parte con la scoppiettante Fit To Kill And Going Out In Style, per proseguire sul filone dello struggente Blue Texas Waltz.
Il rito del sabato sera si perpetua con l’honky-tonk elettrico e tirato di Saturday Night mentre l’atmosfera si fa rovente.
Ragged Old Truck, nuovo honky-tonk hymn, si stempera nel gradevole up-tempo del title-track. Fortemente evocativa nei suoi ricordi di gioventù più o meno spensierata, nulla perde del suo impatto originale.
We Are The Cowboys ha un incedere maestsoso e la voce di Billy Joe la rende quasi un ‘inno della categoria’.
Altre tre songs in veloce sequenza e l’album si chiude con un applauso convinto.

Evidentemente anche in casa Columbia sono soddisfatti, tanto è vero che il 1982 tiene a battesimo il seguito dell’avventura di Billy Joe sulla rossa etichetta dal semplice titolo di Billy Joe Shaver. Anche in questo caso i grandi nomi non mancano: Randy Scruggs, Ricky Skaggs, Richie Albright, Pete Drake, i due fidi gregari di Willie Nelson, Mickey Raphael all’armonica e Bee Spears al basso e l’onnipresente figliolo Eddy alla chitarra elettrica.
Molti dei brani si conoscono già, ma sono reincisi per l’occasione con ottimi risultati: Bottom Dollar guadagna fascino con la ritmica affidata ad una batteria contrappuntata da un fiddle sornione quanto un soriano accovacciato in grembo alla sua anziana padrona all’ombra del portico anteriore di una vecchia baracca persa nel profondo Sud, Old Five And Dimers Like Me si è fatta il lifting ed il suo nuovo fascino profuma di Mexico, Ride Me Down Easy – una delle songs a firma Billy Joe Shaver che vanta il maggior numero di covers – finalmente gode della doverosa versione ad opera del suo autore, Low Down Freedom appare rallentata, mentre la classica ed autobiografica I Been To Georgia On A Fast Train sfreccia inarrestabile in finale di album.
Dal passato prossimo di Billy Joe erano rimaste inspiegabilmente inutilizzate l’eccellente Oklahoma Wind e la divertente Amtrak And Ain’t Coming Back, mentre la lenta One Moving Part è nuova di zecca.
Dieci brani dunque, prodotti da Richie Albright, ci restituiscono un grande autore ed un grande interprete, di sé stesso come degli umori di tanti altri che vivono la vita quotidiana in un contesto difficile e selettivo come può esserlo l’ambiente feroce del business musicale.
Oggetto di altissima considerazione fra i suoi colleghi musicisti, cult-musician per una folta schiera di affezionati fans, Billy Joe Shaver si allontana per altri cinque lunghi anni dalla scena discografica USA.

Nel frattempo Billy Joe continua a pagare il suo tributo di girovago da un locale all’altro, sempre affiancato dal figlio Eddy, che nel frattempo si sta creando una solida esperienza come chitarrista e che non mancherà di metterla a frutto in un futuro sempre più prossimo.
E’ancora la Columbia a dare fiducia al vecchio honky-tonker e Billy Joe firma un contratto per un album, quel Salt Of The Earth che porta la data 1987.
L’album è dedicato in parte al rapporto dell’uomo con il suo lavoro (Hardworkin’ Man e Manual Labor) e contiene il consueto omaggio a Gesù Cristo (curiosamente, si tratta quasi di una costante negli album di questo ruvido outlaw per antonomasia).
Per l’occasione la rispolverata Black Rose cambia titolo in The Devil Made Me Do It The First Time, mentre Fun While It Lasted è una delicata ballata a tempo di valzer, pizzicata in punta di corde su di un’acustica compiacente.
Street Walking Woman è un roccioso rock-blues, mentre la conclusiva Good News Blues perde le connotazioni rock a favore di quelle blues, che l’avviluppano completamente.
Il disco è gradevole, ma risulta ben lontano dai fasti del periodo Capricorn e di alcuni sprazzi del primo periodo Columbia: che Billy Joe non abbia più niente da dire?
Certamente i tempi non sono particolarmente felici per il vecchio leone, che fatica non poco a ritrovare una sua identità discografica, se non artistica.
Posteriore all’ultima prova vinilitica è una mitizzata cassetta registrata (magnificamente) dal vivo il 29 Luglio 1989 nel corso di un tour australiano che porta Billy Joe nel ‘down under’. Dopo avere lungamente e vanamente cercato di procurarci copia di questa fantomatica registrazione, ci siamo finalmente riusciti grazie a Rosie dell’Australian Billy Joe Shaver Fan Club (a Texas-size thank you, Rosie) ed all’infaticabile amico Gianluca Sitta, che è volato colà appositamente (quasi) per recapitarci questo preziosissimo reperto.

Live In Australia contiene ben tredici brani riproposti in versione live e con una grinta invidiabile: I Been To Georgia On A Fast Train (non poteva mancare), Black Rose, Low Down Freedom, Ride Me Down Easy, When The Word Was Thunderbird, You Asked Me To, Blue Texas Waltz, Saturday Night, Ragged Old Truck, I’m Just An Old Chunk O’coal, Streetwalkin’ Woman, Good News Blues e You Can’t Beat Jesus Christ racchiudono praticamente la summa del songwriting di Billy Joe; manca inspiegabilmente il suo brano-manifesto: Honky-tonk Heroes, ma tant’è.
Le interpretazioni non si discostano molto dallo stile più tipico del nostro: un classico hard-core Texas honky-tonk con qualche svisata blues in almeno un paio di occasioni. Al disopra di tutto troviamo una ‘moaning voice’ triste come non mai, ma nel contempo caparbia e tenace.
Gli arrangiamenti non sono necessariamente molto ricercati, ma i musicisti australiani che lo accompagnano sono eccellenti. Fra loro riconosciamo il grande Keith Glass alla chitarra (lo ricordiamo con la sua Honky-Tonk Band prendere parte fra l’altro a quella interessante compilation Aussie intitolata New Country – Missing Link 23 del 1987), Mark Meallin alla chitarra solista, Fred Kuhnl al basso, Noel Herridge alla batteria (tutti membri della suddetta Honky-Tonk Band), Chris Stockley alla solista elettrica (dei Blue Healers) e Peter Scholtz alla pedal steel (dei Dust On The Bible).
Fino ad ora si tratta dell’unica traccia live di Billy Joe, che ce lo propone con smalto ancora da vendere, peccato che la irreperibilità assoluta del prodotto penalizzi fortemente gli appassionati.

I più lo davano oramai irrimediabilmente scomparso dalle scene musicali, inghiottito da quell’odioso oblio che ha fagocitato tanti grandi e meno grandi nel corso degli anni. Invece il vecchio honky-tonk hero si ripropone alla tutt’ora folta schiera dei suoi vecchi ammiratori in forma di duo: lo affianca ormai da co-titolare della semplice denominazione Shaver il figlio Eddy, che gli era stato fedele gregario e chitarrista fin dalla tenera età di dodici anni (!).
Un contratto nuovo di zecca per due album con la neonata Zoo Records ci ripropone un vecchio amico che dimostra di non aver perso la grinta e lo smalto di un tempo.
L’album di esordio come Shaver si intitola Tramp On Your Street e riprende il discorso proprio là dove il nostro texano di Corsicana l’aveva interrotto nel lontano 1986. I brani a firma Billy Joe Shaver sono ben tredici, più uno a firma padre & figlio, per lo stupendo esercizio acustico di Live Forever che vede i Brother Phelps ospiti per l’occasione alla background vocals (li ritroveremo anche in If I Give My Soul).
Le danze si aprono con Heart Of Texas, impreziosita dalla chitarra del giovane Eddy, mentre il padre si conferma grande interprete di se stesso, impegnato a duettare con un ospite di estremo riguardo: Waylon Jennings, quell’honky-tonk hero che tanto aveva contribuito a popolarizzare le sue songs esattamente vent’anni prima. E’ un grandissimo brano, che sprona l’ascoltatore a proseguire nell’esplorazione di questo album.

Deliziosa rilettura per la seguente Oklahoma Wind, che vede ancora la presenza vocale di Waylon ed un’ inquietante intro di flauto indiano ad opera di Bill Miller, ora con la Warner Western.
E ci siamo con un altro brano che ben si identifica con il personaggio Billy Joe Shaver: l’autobiografica (I Been To) Georgia On A Fast Train con un eccellente lavoro chitarristico, sempre opera di Eddy, che si conferma possessore di un talento tutt’altro che disprezzabile.
Il title-track è fortemente caratteristico dello script Shaveriano, tanto che potrebbe tranquillamente essere stato composto una ventina di anni prima. Si badi bene: l’affermazione va intesa in senso positivo; si tratta di una ballata meditativa e molto lenta, che ospita addirittura Al Kooper alle tastiere.
Good Ol’ U.S.A è una sorta di rivisitazione patriottica di This Land Is Your Land con un’orecchio a New Orleans.
The Hottest Thing In Town ci presenta Eddy all’elettrica in grande evidenza: grande classe ed un grande futuro per questo figlio d’arte.
Le dolcissime armonie acustiche di When The Fallen Angels Fly ci riportano alle considerazioni che avevamo tratto per il title-track: scrittura molto caratterizzata e tematiche care ai frequentatori di honky-tonks.
Forse inappagato dal pur ottimo lavoro svolto in questo come-back album, Billy Joe chiude il disco con una enigmatica I Want Some More, quasi un anticipo del prosieguo della sua opera artistica.
Pur non dimenticando che il disco è accreditato al duo Shaver, il padre si conferma comunque elemento predomimante, anche in forza del fatto che il cantante diventa quasi necessariamente il front-man della situazione. Un felicissimo ritorno comunque.
La dimensione migliore per il nuovo suono del duo Shaver, elettrico ed aggressivo, è quella dal vivo ed infatti il secondo prodotto Zoo risulta un live al fulmicotone.

Tirato e sudato, rock e blues, con Eddy Shaver che non perde un’occasione per dimostrare la sua caratura di co-titolare e figlio di tanto padre, Unshaven: Shaver Live At Smith’s Old Bar è ambientato nell’omonimo honky-tonk bar dove i nostri eroi scaldano due fredde serate del gennaio 1995 insieme a Keith Christopher (basso e voci), Craig Wright (batteria) e Brendan O’Brien (chitarra elettrica e produzione).
Come al solito i brani sono scritti dal solo Billy Joe, se si eccettuano la sognante ed acustica Live Forever (scritta con Eddy) e la classica You Asked Me To, firmata in passato con Waylon Jennings.
Il menu della serata è giustamente un logico excursus della pluriennale carriera di Billy Joe. Vengono ripresi uno o due brani da tutti i dischi che hanno costellato la produzione di questo grande texano, ma la reinterpretazione in chiave volutamente più elettrica, grintosa, quasi arrabbiata, grazie alla determinazione di Eddy Shaver (che pare molto risoluto nelle sue scelte artistiche) conferisce un fascino completamente nuovo a vecchi gioielli.
Ascoltate l’m Just An Old Chunk Of Coal…, Honky-Tonk Heroes, Ride Me Down Easy per citare alcuni vecchi cavalli di battaglia e vi renderete conto del peso artistico di questo volitivo giovanotto. Non viene però trascurato l’aspetto più romantico negli episodi acustici, che certo non sono da meno delle furiose cavalcate elettriche. Eddy resta comunque superlativo anche quando si esibisce all’acustica, un titolo su tutti: Live Forever. Grande conferma (ma ce n’era bisogno?) di un grande (vecchio) talento e di uno (giovane) emergente, ma con una solida esperienza già maturata nonostante le poche primavere sulle spalle.

Lasciatasi alle spalle l’esperienza Zoo Records, il 1996 vede padre e figlio Shaver veleggiare verso lidi discografici probabilmente più consoni alle loro attuali esigenze artistiche. Sono sicuro che la militanza, in tempi diversi, di Willie Nelson, Waylon Jennings e non ultimo, Kris Kristofferson abbia avuto un’importanza determinante nel far firmare il nostro duo per la Justice Records dì Houston, che sul finire dell’estate ci invia la copia promozionale del nuovo CD dei nostri eroi: Highway Of Life. Titolo fortemente evocativo, con esplicite implicazioni generazionali, ma senza malinconia: la dignità di invecchiare con consapevolezza, pur non rifiutando ciò che di buono il nuovo (Eddy) può portare ad un bagaglio artistico ed umano già notevole.
Dodici i brani del solo Billy Joe Shaver, solo uno dei quali (il roccioso rock-blues di Moonshine And Indian Blood) è co-firmato da Eddy e da Tony Colton; a rischio di ripeterci, dobbiamo ribadire la validità dell’opera compositiva di questo ‘grande vecchio’ dell’honky-tonk texano: Yesterday Tomorrow And Today è una ballata fortemente country-oriented (come tutto l’album, del resto) che lascia già trasparire un riavvicinamento a sonorità più morbidamente country, rispetto a quelle che avevano caratterizzato i due primi lavori dei nostri.
Si prosegue con un brano rilassato dall’eloquente titolo di West Texas Waltz, probabilmente autobiografico, introdotto da un fiddle imbracciato da Brantley Kearns, già alla corte del primo Dwight Yoakam.

Il title-track prosegue deciso lungo la pista dei primi brani: le immagini di strade assolate, i cani randagi che frugano fra i bidoni della spazzatura, i motociclisti che montano mostri a due ruote paragonati ai vecchi fuorilegge sono immagini evocative che sembrano tratte da un film con una eccellente colonna sonora.
Stesso discorso per Tomorrow’s Goodbye, mentre il cadenzato blues di Blue Blue Blues è decorato da una solista elettrica lucidisima.
Comin’ On Strong è in ballottaggio per la palma di migliore brano dell’album, con una ritornello immediatamente memorizzabile ed una chitarra elettrica vagamente ‘twangy’.
Idealmente figlie di I Been To Georgia… grazie al drumming incalzante, sono la gradevolissima You’re As Young As The Woman You Feel, con Eddy e Brantley Kearns che si alternano nei contrappunti e Look For Me When You See Me Comin’, con il dobro che lampeggia in mano a Eddy, mentre il padre ci ripropone la sua caldissima voce in un’interpretazione fortemente country e certamente eccellente (altra nomination come best track).

Goodbye Yesterday è un inedito datato 1970, ma non fa differenza, tanto è il trasporto dell’esecuzione di Billy Joe nella sua cristallina semplicità di voce e chitarra acustica.
The First And Last Time è l’unico brano non registrato agli Arlyn Studios di Austin, bensì in una cucina vuota ad un imprecisato indirizzo di Nashville, prima che Billy Joe si trasferisse nuovamente in Texas. Acustica e solitaria, si snoda dolcemente sui binari di una recitazione pacata, che la rende un piccolo capolavoro fine a se stesso.
Come già accaduto per altri CD della Justice Records (vedasi Moonlight Becomes You di Willie Nelson), troviamo una sorta di ‘ghost track’ – moda quanto mai discutibile – al quale non tutti i lettori (di compact, s’intende) avranno accesso. Il nostro apparecchio è però fortunatamente all’altezza della situazione per scodellarci il brano più bello di tutto il disco, Muther Trucker: opera di Billy Joe e David Waddell, è l’aggiornamento di I Been To Georgia… anno 1996, con lo stesso accattivante e scanzonato carisma. La ritroveremo anche in una raccolta di truck-driving songs inedite della Upstart Records intitolata Rig Rock Deluxe, in questo caso spacciata per ‘unreleased’, datata Settembre 1996.
Fedele al suo personaggio profondamente individualista, determinato e caparbio, Billy Joe si ripropone al suo pubblico a distanza di due anni dal precedente sforzo in coppia col figlio Eddy – che ha oramai maturato una corposa e significativa esperienza on stage – per dare stavolta vita ad un concept-album di evidente impostazione religiosa, senza per questo perdere di mordente, fortemente atipico e decisamente contro corrente in termini di logica di mercato.
Victory, questo il titolo (preso a prestito dal nome della madre, Victory Odessa Watson) si rivela un esercizio rigorosamente acustico, con le chitarre affidate ai due co-titolari, un dobro sempre molto presente, ma mai invadente in mano ad Eddy e la tipica voce strascicata del vecchio leone.

Il repertorio porta la firma di Billy Joe in tutte le performances. che rileggono episodi della produzione del sempreverde honky-tonker quali You Can’t Beat Jesus Christ (da Salt Of The Earth), ben tre ripescaggi dal recente Tramp On Your Street: lf l Give My Soul (inclusa anche da Marty Stuart nel suo Love & Luck), When The Fallen Angels Fly ed una song in particolare, destinata a diventare uno dei nuovi classici della tradizione texana: Live Forever: piacevolissimo esercizio squisitamente acustico rifatto anche dagli Highwayman (Willie, Waylon, Johnny & Kris, i cognomi non servono, vero…).
Non manca poi una delle composizioni-manifesto della lunga carriera di Billy Joe Shaver, quella Old Five And Dimers datata 1973 e ripresa in tempi diversi oltre che dalla crema del movimento del Texas Outlaw Country: Willie, Nelson, Waylon Jennings, dal grande Jerry Jeff Walker e dal veterano Tom T. Hall.

Gli inediti sono rappresentati da sei canzoni e da un’introduzione poco più che recitata senza accompagnamento strumentale: Son Of Calvary.
Si tratta indubbiamente di un progetto inusuale, non molto appetibile dal punto di vista commerciale, ma forse anche per questo ancor più meritevole del nostro interesse e di coloro che hanno sempre avuto il debole per i ‘beautiful losers’ di Bobsegeriana memoria.
Il valore del lavoro resta comunque indiscutibile e decisamente utile per comprendere appieno il significato che il nome di Billy Joe Shaver è arrivato a rappresentare nel Texas cantautorale.
A questo punto servirebbe la classica ‘frase ad effetto’ nella speranza di chiudere degnamente questo sforzo amatoriale. Preferisco lasciare invece aperto il discorso, nella sincera speranza di un prossimo seguito alla stupenda avventura di un personaggio vero, sìncero, caparbio e profondamente umano quale il grande BILLY JOE SHAVER: long may you run!!

Discografia solista:
Old Five And Dimers Llke Me – Monument KZ 32293 (1973 – LP)
Lately I’ve Been Leanin’ Toward The Blues – MGM (1974 – 45)
It Couldn’t Be Me Without You When l Get My Wings – Capricorn CP 0171 (1976 – LP)
Gypsy Boy – Capricorn CPN 0192 (1977 – LP)
Honky-Tonk Heroes – Bear Family BCD 15775-AH (1994 – CD)
I’m Just An Old Chunk Of Coal – Columbia FC37078 (1981 – LP)
Billy Joe Shaver – Columbia FC 37959 (1982 – LP)
Salt Of The Earth – Columbia FC 40903 (1987 – LP)
Live In Australia – No code available (1989 – TAPE)

Discografia con il figlio Eddy come SHAVER:
Tramp On Your Street Zoo 1 1063 (1993 – CD)
Unshaven: Shaver Live At Smith’s Old Bar – Zoo 11104(1995 – CD)
Highway Of Life – Justice JR 2301 (1996 – CD)
Victory – New West NW6003 (1998 – CD)

Discografia partecipazioni:
Kerrville Folk Festival PSG (1984 – TAPE) esegue I Been To Georgia On A Fast Train
Tulare Dust: Songwriters’ Tribute To Merle Haggard – Hightone HCD 8058 (1994 – CD) esegue Ramblin’ Fever
Texans Live From Mountain Stage – Blue Plate BPM 304 ( 1995 – CD) esegue I Been To Georgia On A Fast Train.

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 48, 1999

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