Bryan Bowers picture

Molti lo hanno definito il più grande suonatore di autoharp di tutti i tempi.
Sicuramente, prima del suo ingresso nella scena folk statunitense, l’arpa era perduta, dimenticata, ‘tenuta in cattività nei solai e nelle cantine americane’.
Ma lui, Bryan Bowers, 43 anni, originano della Virginia e da tempo residente a Seattle, nello spettacolare Nord-Ovest degli USA, dice: “Non so, non posso dire chi sia stato il più grande e nemmeno ritengo giusto far classifiche o attribuire valori. Molti autoharpisti del presente e del passato (Mike Seeger, Kilby Snow, Ron Wall, Bonnie Phipps, John McCutcheon, ecc.) sono strumentisti eccellenti e soprattutto imparagonabili tra loro. E’ stupido, allora, dire chi sia stato il migliore o il peggiore”.

E’ un dato di fatto, comunque, che per tutti gli appassionati di folk, il nome di Bryan Bowers, oggi, è sinonimo di autoharp. Una parte di questo successo è certamente legata alle indiscusse abilità di intrattenitore e alla originalità del suo personaggio.
Un fisico atletico, più di due metri d’altezza, un carattere solitario e selvaggio, dodici autoharp con cui è solito muoversi e una gigantesca station wagon, che usa per gli spostamenti da una parte all’altra degli States, sono alcuni degli elementi che hanno concorso alla creazione dell’immagine di Bryan. Sarebbe però alquanto limitato, se non addirittura offensivo nei suoi confronti, individuare in questi fattori extra-musicali le ragioni di un successo per molti versi irripetibile.

La musica di Bryan Bowers è difficilmente catalogabile: egli passa con disinvoltura dalla tradizione old time a quella scozzese, da un fiddle-tune irlandese ad una composizione originale, fornendo sempre una interpretazione assolutamente personale.
Nella verde cornice dell’Augusta Arts Heritage Workshop ad Elkins, West Virginia, analizziamo le tappe di una brillante quanto inusuale carriera.

“La mia giovinezza fu molto movimentata. Dopo il diploma al college, decisi di muovermi in lungo e in largo per gli Stati Uniti e il vicino Messico. Gli entusiasmi della ‘beat generation’ e gli ideali della vita ‘on the road’ mi portarono alla continua ricerca di nuove esperienze che, non sempre, poi si rivelarono fortunate”.
A quell’epoca Bryan era già entrato in contatto, seppure in modo casuale, con l’autoharp. “Un mio caro amico usava quello strano strumento per fare crescere le sue piante sostenendo che il suono dolce e delicato veniva recepito positivamente dai vegetali. Rimasi incuriosito e, dato che già suonavo discretamente la chitarra, pensai che non sarebbe stato difficile cavar fuori qualcosa da quella scatola”.

La scintilla, anzi la folgorazione, la ebbe però una sera, durante uno show dei New Lost City Ramblers. “Per tutto il tempo dello spettacolo osservai Mike (Seeger) per capire come diavolo facesse a fare suonare l’autoharp così bene. Tornai a casa e per tutta la notte non chiusi occhio, provando e riprovando finché, verso le cinque del mattino, riuscii a riprodurre un primo rudimentale arpeggio”.
E non fu che l’inizio. “Mi dedicai totalmente a questo strumento, trascurando tutto e tutti, suonando dalle 8 alle 12 ore al giorno e facendo continui esperimenti per migliorare il suono dell’arpa”.

Fu allora che Bryan decise di modificare l’accordatura dell’autoharp, da cromatica a diatonica, eliminando tutte le note non comprese in una particolare chiave, raddoppiando tonica, dominante e sottodominante. Così facendo ogni autoharp suona in una sola tonalità poiché ha a disposizione 6 accordi, i tre maggiori e i tre minori relativi. Ecco quindi spiegato perché Bryan Bowers è costretto a portare con sé, mediamente, una dozzina di autoharp (ne possiede in tutto più del doppio!).

Il suono dello strumento e le possibilità melodiche che la nuova accordatura offriva si rivelarono subito straordinarie. Non solo. Le autoharp di Bryan sono accordate in modo perfetto, oseremmo dire sovraumano, dato che neanche con l’ausilio della moderna tecnologia (Korg tuners, strobo-tuners, ecc.) è possibile ottenere gli stessi magici risultati.
“Ho concentrato tutti i miei sforzi nella ricerca di un’accordatura cristallina e oggi i risultati mi danno ragione. Il pubblico percepisce immediatamente la magia del suono prodotto dalle mie autoharp diatoniche perfettamente accordate e fin dalle prime note rimane catturato e mi segue per tutta la durata dello spettacolo”.

Assistere ad una performance di Bryan è un’esperienza eccitante grazie anche alle già citate doti di intrattenimento che egli possiede. “Credo sia fondamentale per ogni musicista avere un rapporto diretto, coinvolgente con il pubblico per creare uno spettacolo vivo, divertente e sempre diverso”.
Da quando suonava agli angoli delle strade di Seattle o apriva i concerti dei Dillards o dei Seldom Scene, Bryan Bowers ne ha fatta di strada. “Ho avuto l’onore di suonare di fronte alle sterminate platee dei folk festival americani e canadesi insieme alle più luminose stars della musica folk, country e bluegrass: da Norman Blake a Sam Bush e Bill Monroe, da Mike Seeger a Emmylou Harris. L’unico rammarico è che la mia attività concertistica mi costringe a lunghi, interminabili periodi lontano da casa. Quando finalmente posso tornare a Seattle ho purtroppo una specie di istintivo rigetto nei confronti dello strumento”.

Da pochissimo è uscito il suo terzo LP da solista, a lungo atteso dai suoi numerosi fans. “In quest’ultimo album ho lasciato più spazio all’autoharp come strumento solista e solo in un paio di brani suono con i Seldom Scene che mi avevano accompagnato nei due lavori precedenti. Ho anche deciso di incidere The Battle Hymn Of The Republic (il suo cavallo di battaglia, N.d.A.) che mi serve come spunto per esemplificare la tecnica della mano destra”.
Già, l’altra fondamentale particolarità dello stile di Bryan Bowers: il five-fingers picking (cioè l’arpeggio con tutte e cinque le dita) anziché il classico three-fingers picking, di diretta derivazione chitarristica, reso popolare da Maybelle Carter. “Mi ci sono voluti quasi 7 anni per capire il ruolo di ogni singolo dito” – ci spiega – “ora anche il mignolo ha una sua funzione specifica”.

Di Bryan Bowers, infine, non vorremmo dimenticare la discreta vena compositiva. “Ho scritto più di 1.000 canzoni” – ci dice con orgoglio. I pezzi migliori, in tal senso, sono a nostro avviso The View From Home, dal primo LP, Berkeley Woman e la autobiografica Prison’s Song dal secondo album. “Ho capito che è possibile fare delle cose straordinarie con l’autoharp. Non siamo che all’inizio. Guarda quel francese, Patrick Couton o Ron Wall o ancora quel ragazzo che nel Mid-West suona i rags di Scott Joplin. Siamo noi musicisti l’unico limite a questo strumento”.
Un artista completo, dunque, di esempio per tutti coloro che sono o potranno essere interessati all’autoharp e per quanti credono in una immagine moderna, professionale e competitiva della musica folk.

Discografia:
-Flying Fish FF-037, The View From Home (1977)
-Flying Fish FF-091, Home, Home On The Road (1980)
-Flying Fish FF-313, By Heart (1984)

Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 9, 1984

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