Nighthawks

Nel 1984 The Nighthawks pubblicano Hot Spot, album di studio nuovo di zecca al quale seguirà Hard Living del 1986, un salto di due anni, ma abbiamo comunque ben capito che, nel caso di Thackery e soci il passare del tempo ha ben poca importanza, vista la impossibilità di scalfire una impostazione quantomeno granitica.

Anche l’inserimento prima ufficioso e poi, con Hard Living, ufficiale di Greg Wetzel alle tastiere, rappresenta un normale incremento evolutivo di un sound consolidato, che pur con le sue varianti dal r&b, r’n’roll nelle accezioni classiche di Elvis e più sofisticate di Fats Domino, trova la sua ragione d’essere in quelle atmosfere da bar che proprio grazie ai Nighthawks sono divenute tanto popolari da influenzare tutta una generazione di gruppi emergenti che in queste atmosfere hanno riconosciuto le tensioni sociali degli anni ’80 che dal blues avevano ereditato soltanto il feeling accostandolo al sound rabbioso che poco più tardi sarebbe sfociato nel punk: forse il blues anni Ottanta.

Non voglio ora, passo per passo, parlare di tutti gli album/CD dei Nighthawks, poiché rischierei, forse l’ho già fatto, di ripetermi; di riciclare giudizi e critiche già sentite, ma diffidate di quelli che parlano di deja-vù ad ogni nuova uscita di gruppi come i Nighthawks, la classe non è acqua, il blues nato prima dell’uovo e della gallina, è nato con le lacrime e la sofferenza che saranno purtroppo sempre il sale amaro della vita di ogni uomo, non si può pretendere che chi sa cantare tutto questo possa e voglia cambiare, gli albums degli Stones, nel bene e nel male, rimarranno sempre nella storia ed il paragone che spesso si è fatto con gruppi ‘innovativi’ ha sempre mostrato nel tempo i suoi limiti, così per esempio, i texani Fab.T. Birds hanno palesato una capacità inventiva ed espressiva decisamente superiore a quella di Wenner e soci ma non ne hanno certamente avuta la costanza e la continuità.

Saltando dunque Live In Europe del 1987, ennesima grande prestazione live, del quale voglio solo ricordare che la versione in CD contiene ben 2 bonus tracks per 12 minuti per la splendida Yeah Man di Eddie Hinton e per il traditional Lickin’ Gravy, arriviamo al triste quanto inatteso momento della separazione tra Jimmy Thackery e gli ‘anche suoi’ Falchi.

Trouble del 1991, celebrando i 20 anni di attività della band, ne presenta un volto nuovo, anzi due, quelli di Mike Cowan alle tastiere e di Danny Morris alla chitarra, che raccoglie la pesante eredità del suo predecessore. Peraltro è giusto ricordare che già nelle note di copertina di Backtrack del 1988, veniva data come imminente la partenza di Thackery, che avrebbe continuato la sua carriera formano prima gli Assassins il cui LP d’esordio è passato completamente inosservato, ed in seguito i Drivers con i quali ha pubblicato i suoi due recenti lavori: auguri Jimmy.

Altrettanto doveroso è ricordare che se non fosse stato per il solito Mark Tattoo Wenner, oggi, ammesso che fossero resistiti, i Nighthawks sarebbero forse una southern rock band, visto che alcune majors interessate alla band, ormai orfana anche del contratto Rounder, avevano esercitato pressioni perché al posto di Thackery entrassero nell’organico Jimmy Hall, ex vocalist dei Wet Willie e Jimmy Nalls chitarrista dei Sea Level: soluzione senz’altro accattivante ma certamente incompatibile con la personalità di Wenner per nulla disposto a cedere il giocattolo che per più di 20 anni è stato praticamente nelle sue mani.

Ed ancora onore al merito della Powerhouse di Tim Principato che non ha esitato a credere nella soluzione di continuità offerta dalla band che ripaga i fans con un album grintoso e potente con il solito blues rock sound ruvido e sanguigno come sempre nella loro migliore tradizione: un album con pochi brani originali ma con la solita grande passione nel rivisitare i cardini della musica bianca e nera del passato.

Il 1993 ci ha portato Rock This House, inciso, e come se no, dal vivo sempre con Morris ma senza le tastiere di Cowan: l’altalena continua ad oscillare, va e viene, proponendo e ricusando schemi che restano sempre ai margini dell’ossatura originale della band che ha sempre previsto la classica formazione a quattro: tastiere, fiati, tutta roba di contorno a seconda degli umori, invecchiando poi, si diventa stizzosi, acidi e si ha voglia di cambiare spesso, ma il blues no, quello non si cambia, diventa più ruvido o più languido a seconda degli umori, sfoga la sua rabbia con grinta inesauribile o affoga la sua tristezza in fondo al solito bicchiere di Jack Daniels che arroca la voce e confonde le idee.

Di tempo ne è passato tanto, il 1971 sembra lontanissimo, ma se andate a riprendere dagli scaffali impolverati quel vecchio rock and roll potreste rischiare di confonderlo con il recente Rock This House, poiché buon sangue non mente ed i figli di quel vecchio e riottoso padre sono tutti cresciuti sani e forti… e la storia non finisce qui.

Claudio Garbari, fonte Of Time n. 6, 1994

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