Luther ‘Georgia Boy’ Johnson picture articolo

Johnson. Un cognome comune negli Stati Uniti e diffusissimo anche tra i bluesmen, forse solo i King sono altrettanto numerosi. Che poi il Johnson in questione, in origine non si chiamasse nemmeno così non stupirà fino in fondo. Ma oltre al cognome anche il nome proprio di questo musicista, Luther lo accomuna ad almeno altri due colleghi, Luther ‘Guitar Junior’ Johnson e Luther ‘Houserocker’ Johnson, giusto per aumentare il rischio di confusione. Questa volta parliamo invece di Luther ‘Georgia Boy’ o ‘Snake’ Johnson, nato Lucius Brinson in Georgia appunto, a Davisboro. Già sull’anno di nascita iniziano altri dilemmi. Alcuni testi riportano il 1934 ma ad esempio le note biografiche sullo Spivey 1008 riporta il 1939 e infine la figlia Barbara Brinson e la lapide di Johnson presso il Mount Hope Cemetery di Mattapan, Massachussetts (un quartiere di Boston) affermano che invece la data esatta sia 1941. Sulla data di morte non vi sono dubbi, è avvenuta infatti nel marzo 1976 a Boston, Massachusetts a causa di un cancro ai polmoni.

Ma procediamo con ordine, seppure le notizie biografiche su di lui siano abbastanza frammentarie, almeno fino alla metà degli anni Sessanta. Sappiamo che i suoi genitori erano William e Lillian Lee Brinson e che crebbe in Georgia, in campagna. La musica presumiamo sia stato un interesse precoce e abbia iniziato a suonare la chitarra da bambino. Da adolescente si arruola nell’esercito e vi trascorre un certo periodo di tempo. Poi si sposta in Wisconsin, a Milwaukee, dove accompagna una formazione gospel, i Milwaukee Supreme Angels oltre a suonare blues con un trio. Dall’inizio degli anni Sessanta è a Chicago, cercando di ritagliarsi uno spazio nei blues club della città e collaborando con musicisti quali Elmore James, prima della sua scomparsa nel 1963 e Chicago Bob Nelson. Non vi sono tracce discografiche di questo periodo, eccetto un singolo edito dalla Checker nel 1964, Eenie Meenie Minie Moe/The Twirl, uscito a nome Little Luther. Anche qui non vi è unanimità al proposito, il musicologo australiano Bob Eagle sostiene che in realtà l’autore di queste registrazioni non sia il nostro Johnson bensì il musicista neworkese Luther Thomas. In ogni caso la reputazione di Johnson a Chicago era in indubbia ascesa, tanto è vero che all’inizio del 1966 gli arriva la chiamata per entrare a far parte della band di Muddy Waters.

Muddy Waters Blues Band
La metà degli anni Sessanta sono un periodo di lavoro intenso per Muddy, i concerti, anche da questo lato dell’Atlantico si fanno più frequenti ed il suo gruppo rappresenta il meglio del Chicago Blues. E’ vero però che a livello discografico la sequenza di produzioni Chess iniziata con i pesanti arrangiamenti di fiati di Muddy Brass & The Blues (1966) e proseguita con gli psichedelici Electric Mud(1968) e After The Rain(1969) non raccolgono consensi unanimi. Gli ultimi due poi sono il tentativo da parte di Marshall Chess di riposizionare Muddy per il pubblico del rock. Diverso il discorso per quanto riguarda i concerti, il valore della band è indiscutibile. Basti ascoltare i numerosi dischi in cui la band si trova al servizio di altri musicisti. Ci sono sovente degli avvicendamenti, pensiamo agli armonicisti che si susseguono nel giro di pochi mesi, quali James Cotton, George ‘Harmonica’ Smith, Mojo Buford e Paul Oscher, ma anche punti fermi quali Otis Spann e Sam Lawhorn e alla batteria Francis Clay e poi S.P. Leary. Luther ‘Georgia Boy’ inizialmente è al basso, lo troviamo accreditato a questo strumento nella session dell’aprile 1966 in California. La band di Muddy, nel mezzo di un tour della West Coast viene ingaggiata da Strachwitz per accompagnare Big Mama Thornton con cui condivideva il manager Bob Messinger. Il risultato è notevole, inciso in un solo giorno, il connubio funziona a meraviglia, Big Mama regala una serie di brani uno più bello dell’altro, con una menzione speciale per il lavoro finissimo di Otis Spann.

La riedizione in CD del 2004 (recensita nel n. 89 de Il Blues) include sette pezzi in più rispetto all’album originario. Ma ben presto, con l’ingresso nella band al basso di Mac Arnold, Johnson passa al suo strumento, la chitarra, andando a formare con Sammy Lawhorn un ottimo binomio. E nei due anni successivi, non mancheranno le occasioni per ribadire il valore di questa formazione. Johnson è chitarrista diverso dai suoi contemporanei legati ai suoni del West Side di Chicago, i suoi fraseggi sono secchi e ruvidi, senza fronzoli, ispirato sia al country blues che al blues urbano degli anni Cinquanta, abbinando ad una forte componente ritmica un altrettanto pronunciato senso del tempo e dello swing. Anche la voce possiede le stesse caratteristiche, è spesso abrasiva e roca, di singolare intensità. La band di Muddy nell’agosto del 1966 è a New York per due registrazioni memorabili su Bluesway, dapprima il Live At Cafe Au Go-Go appoggiando John Lee Hooker e pochi giorni dopo è la volta di Otis Spann di per l’incisione di The Blues Is Where It’s At. Mentre una testimonianza discografica della bellezza dei concerti di Muddy del periodo è rintracciabile nel Live At The Fillmore – Authorized Bootleg (Il Blues n. 108) uscito solo nel 2009, frutto di concerti in California nel novembre ’66, pur senza Spann a riposo via di un lieve infarto che lo aveva colpito qualche settimana prima. Spann torna a fine mese ancora a New York, qui infatti per l’etichetta di Victoria Spivey registrano The Bluesmen Of The Muddy Waters Chicago Blues Band, in cui i vari sidemen, quali George Smith, Spann e appunto Johnson si fanno valere. Luther con due suoi pezzi Creepin’ Snake e Born In Georgia, in cui si apprezza appieno la sua personalità.

L’anno seguente la band prosegue il proprio lavoro, tra ingaggi costanti e qualche registrazione che mette in luce soprattutto i sidemen, dato che Muddy poteva incidere come solista solo per Chess. E’ il caso dei due dischi incisi agli Impact Studio di New York, editi dalla Douglas, With The Muddy Waters Blues Band e Come On Home. Qualche anno dopo queste registrazioni vennero ristampate dalla Muse con titoli diversi (Mud In Your Ear e Chicken Shack) e attribuite a Muddy Waters e con una scelta di brani in parte differente. In ogni caso si tratta di buoni dischi in cui le qualità della band e di Luther, che nel primo caso si alterna alla voce con Mojo Buford, sono evidenti. Lo stesso si può dire di The Bottom Of The Blues (Bluesway) di Otis Spann, ancora accompagnato con piena sintonia dal gruppo o di un secondo volume cointestato su Spivey. Un altro disco anomalo risalente all’ottobre 1967, ma uscito solo negli anni Novanta, è Going Way Back episodio acustico registrato in un pomeriggio nell’appartamento che occupavano durante alcuni concerti a Montreal. La registrazione informale cattura un momento di grande spontaneità, di risate e battute, in cui tutti a turno si cimentano alla chitarra acustica, persino Otis Spann.

Il 1968 è anche l’anno in cui si unisce alla band un ragazzo bianco di New York, Paul Oscher, l’idea di chiamarlo venne proprio a Luther, mentre erano in città e senza un armonicista. Si ricordava infatti che quell’adolescente, Paul aveva appena compiuto diciotto anni, l’anno prima era salito sul palco per qualche pezzo, lasciando un buon ricordo. “Motherfucker got a tone” era stato il caustico commento di Luther, riportato in Can’t Be Satisfied di Robert Gordon. Per gustare questa incarnazione della band, consigliamo la visione del DVD, Muddy Waters Classic Concerts in cui il loro magnifico set al Copenaghen Jazz Festival è proposto integralmente. Nel 1969 Luther lascia la band di Muddy e si trasferisce a Boston, lì mette insieme un proprio gruppo e suona nei locali, pur non registrando in studio. Nella biografia di Waters scritta da Sandra B. Tooze, è riportato un pensiero di Luther su Muddy, “a volte mi arrabbiavo con lui, ma in seguito ho capito che quello che mi diceva era giusto. E’ come un padre per me, proprio come un padre”. Tanto è vero che la band di Luther sovente apriva i concerti di Muddy nell’area di Boston. Tra i musicisti che almeno per un periodo sono al suo fianco ci sono stati anche Bob Margolin, che poi, come noto, entrerà nel ‘73 a sua volta a far parte della band di Muddy e David Maxwell. All’inizio di aprile del 1970 Luther proprio a Boston, Luther prende parte ancora una a volta a incisioni dal vivo del suo amico Otis Spann, le sue ultime, dato che Otis già malato muore il 24 aprile. La testimonianza di quelle serate, con tre pezzi cantati da Johnson, uscì solo nel 2000 e la si ritrova nel CD Last Call (Mr Cat), curate da Peter Malick, all’epoca chitarrista di Spann. (ne scrisse Fog, Il Blues n. 75).

France
Come per altri bluesmen americani, anche nel caso di Luther Johnson, l’aver partecipato ai tour Chicago blues festival francesi è stata occasione per farsi conoscere al pubblico europeo che magari sapeva poco di lui, oltre alla militanza nel gruppo di Waters. Ed inoltre dobbiamo ringraziare la Black & Blue per averlo portato in studio e avergli fatto incidere tre dischi. Nell’autunno del 1972 gli artisti della carovana erano oltre a lui, Willie Mabon, Johnny Shines, l’armonicista Dusty Brown e il trio di Sonny Thompson. In un day off dai concerti Johnson registra a Biel in Svizzera, l’ottimo Born In Georgia, in cui alterna brani suoi come Woman Don’t Lie a classici rifatti alla sua maniera, con accompagnamento ad hoc di Thompson e i suoi, vale la pena di menzionare la sezione ritmica col batterista Bill Warren (già sull’immortale Hoodoo Man Blues) ed Emmett Sutton. Tre pezzi vedono invece i soli Johnson e Johnny Shines per un tuffo nel blues più ancestrale. Il duo si riproporrà anche in alcuni pezzi dello splendido LP acustico di cui è titolare Shines, Nobody’s Fault But Mine (Il Blues n. 3) ricordiamo una Mean Black Gobbler, “straordinaria per compattezza musicale e strumentale” come scrisse allora Marino Grandi. Il 5 dicembre 1972 Luther registra a Bordeaux un altro album, acustico e solitario, On The Road Again.

La felice idea fu di Jacques Morgantini, consulente e supervisore per Black &Blue, che aveva compreso quanto a Luther piacesse suonare in questa dimensione. E fin dai tempi di Chicago si potrebbe ben dire. Infatti, Jim O’Neal nel suo necrologio, apparso sul numero 26 di Living Blues, ricorda di aver assistito ad una performance del genere al Pepper’s Lounge, che lasciò stupefatti i pochi avventori presenti quella sera. In ogni caso l’album come scrisse ancora Marino nel lontano n. 4 de Il Blues rimane “momento personale di rottura e innovazione personale di un artista che ha saputo rileggere sé stesso ricavandone lampi di autentico genio”. Voce riarsa, chitarrismo ipnotico, fatto di pochi riff hookeriani reiterati, il disco è invecchiato benissimo, anzi riascoltato oggi acquista ancor più classicità. Anche qui il repertorio è misto, dall’autobiografica Aces Blues alla ripresa di Catfish Blues o la sensibilità di The Things I Used To Do. Trova spazio anche l’improvvisazione, vedasi la simpatica Impressions Of France, il testo cita le grida dei manifestanti in cui si era imbattuto qualche giorno prima e il loro slogan “Pompidou des sous”!

Un filmato tratto dalla televisione francese è rintracciabile qui https://www.youtube.com/watch?v=yBQy7qc90nU interessante per apprezzarne anche la tecnica chitarristica senza plettro e i fraseggi incisivi che ricava dalla sua Gibson SG in Somebody Loan Me A Dime. Johnson tornerà in tour in Francia tre anni dopo, nel 1975 e nel mese di dicembre si troverà in uno studio parigino per incidere Lonesome In My Bedroom, destinato purtroppo a restare il suo ultimo disco. Stavolta al suo fianco c’erano i compagni di viaggio Willie Mabon, Little Mac Simmons, Lonnie Brooks (Hubert Sumlin in due pezzi), Dave Myers e Fred Below. Si tratta di un’altra valida testimonianza, forse inferiore al primo Black & Blue, ma comunque con momenti molto riusciti quali la splendida canzone titolo, un lancinante blues in minore, un altro slow Long Distance Call, oppure la solitaria Please Don’t Take My Baby Nowhere. Rientrato a Boston, Luther purtroppo se ne andrà pochi mesi dopo, il 18 marzo 1976.

Encore
Dopo la sua morte per circa quindici anni non si assistono a pubblicazioni postume o altre iniziative per ricordarlo. Bisogna attendere l’inizio degli anni Novanta per poter ascoltare due CD, messi sul mercato anche in questo caso da una etichetta francese, la Fan Club. Si tratta in entrambe le circostanze di materiale proveniente dall’archivio di Harry Chickles, manager di Johnson negli anni Settanta e gestito da Ron Bartolucci. Nel primo caso, Get Down To The Nitty Gritty (Il Blues n. 37) si tratta di un live estratto da una performance per radio WCMF di Rochester, New York, con il suo gruppo dell’epoca, che vedeva la presenza di Tony Cagnina all’armonica e Mark ‘Frisco’ Evangelos alla chitarra. Il set alterna brani propri e classici, come scrisse in sede di recensione Marino Grandi, “[…]i classici diventano, tra le sue mani, dei classici alla Luther e cioè in tutti c’è il marchio inconfondibile della sua voce e della sua chitarra.[…]”. Su tutte la rilettura di Long Distance Call o il chitarrismo nervoso e inquieto che anima i suoi brani ritmici, come appunto Get Down To The Nitty Gritty. Di pari livello risulta They Call Me Snake (Il Blues n. 43) episodio registrato in studio a Boston, tra il 1970 e il ’72. Johnson conferma tutto il suo valore, alla testa di un ensemble affiatato (batteria, basso, chitarra e armonica), pienamente in grado di assecondarne gli umori. Basti riascoltare Take It Off Him And Put It On Me o una versione di Somebody Loan Me A Dime di notevole impatto emotivo.

“Dov’erano i ricercatori eletti e l’industria discografica nei primi anni Settanta? E’ una ignominia aver lasciato marcire nei cassetti opere simili per produrre altro. Lo stesso altro che oggi neppure ricordiamo più”. Così, con una domanda destinata a restare senza risposta, chiudeva Marino chiudeva la sua trattazione. Da allora non ci sono stati aggiornamenti sulla sua figura, a parte la riedizione, ancora in Francia, dei tre Black & Blue nella serie Blues Reference, arricchite ognuna da alcuni bonus. Quanto alle riprese dei suoi brani ricordiamo in tempi recenti le versioni di Woman Don’t Lie fornite da Walter Trout con Sugaray Rayford (sull’album Survivor Blues) e di Crystal Thomas su un recente singolo Dialtone. Comunque la si voglia vedere, questo breve articolo vorrebbe essere un invito alla riscoperta di un bluesman intenso e vero, forse dimenticato ai più, eppure ancora in grado, ad ogni ascolto di smuovere qualcosa in noi.

Discografia Selezionata
The Muddy Waters Blues Band (Douglas 781) -USA-
Come On Home With The Muddy Waters Blues Band (Douglas 789) -USA-
Chiken Shack – With The Muddy Waters Blues Band (Muse 781) -USA-
Born In Georgia (Black & Blue 33.503) – F –
On The Road Again (Black & Blue 33.509) – F –
Lonesome In My Bedroom (33.515) – F –
They Call Me The Snake (Fan Club 422183) – F –
Get Down To The Nitty Gritty (Fan Club 88) – F –

Antologie e Collaborazioni
Muddy Waters – Live in Paris 1968 (France’s Concert 121) -F-
Muddy Waters & Friends – Going Way Back (Just A Memory 9130) – USA-
Muddy Waters – Live Fillmore Auditorium 1966 (Geffen 62025) -USA –
Muddy Waters – Mud In Your Ear (Muse 5008) -USA –
John Lee Hooker – Live At Cafe Au Go-Go- (Bluesway 6002) -USA –
Big Mama Thornton With Muddy Waters Blues Band (Arhoolie 1032) -USA –
Johnny Shines – Chicago Blues Festival 1972 (Black & Blue 33.502) – F –
Otis Spann – The Blues Is Where It’s At (Bluesway 6003) -USA –
Otis Spann – Heart Loaded With Trouble (Bluesway 6063) – USA –
Otis Spann – The Bottom Of The Blues (Bluesway 6013)
Otis Spann – Cryin’ Time (Vanguard 6514) -USA –
Otis Spann – Last Call Live At Boston Teaparty (Mr Cat 1014) – USA-
The Everlasting Blues vs Otis Spann (Spivey 1013) – USA –
The Bluesmen Of The Muddy Waters Blues Band Vol 1 & 2 (Spivey 1008 ) -USA –
George ‘Harmonica’ Smith – Tribute To Little Walter (World Pacific 21887) – USA-

Matteo Bossi, fonte Il Blues n. 155, 2021

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