Bo Diddley – The Chess Box cover album

Ancora una volta la Chess tira fuori dal suo ricchissimo cilindro un cofanetto essenziale per gli amanti del r&b e del rock; dopo Chuck Berry, Muddy Waters, Willie Dixon, è la volta di Bo Diddley (Ellas McDaniel per l’anagrafe). In una confezione di due CD sono contenuti ben 45 brani, molti dei quali hanno in parte fatto la storia del r&b negli anni ’50 e furono poi ripresi da gente come i Rolling Stones (Mona, Crackin’ Up su album ufficiali, mentre Diddley Daddy e Road Runner si possono trovare su bootleg), gli Yardbirds (I’m A Man), gli Ani-mais di Eric Burdon (Road Runner); e poi ancora i Quicksilver Messengers Service che su Happy Trail dedicarono un’intera facciata a Who Do You Love?, Elvis Presley, i Cactus e una infinità di altri musicisti che si sono rifatti alla musica di Diddley senza però mai riuscire a personalizzarla.

E’ infatti importante notare che tutti i musicisti che si sono avvicinati ai pezzi scritti da Bo Diddley hanno dovuto quasi obbligatoriamente rispettare la struttura originale del brano, e questo significa che il chitarrista nato a McComb (tanto per cambiare Mississippi) rappresenta nella storia della musica r&b una specie di monolite indistruttibile, difficilmente manipolabile e, malgrado siano passati più di quarant’anni dall’incisione di Mona (I Need You Baby), anche recentemente nella versione incisa da Craig McLachlan and Check T- 2 il brano mantiene del tutto inalterate le sue caratteristiche.
Chitarristicamente Diddley è uno di quei musicisti del tutto trascurati, tecnicamente il suo approccio è elementare anche se estremamente efficace, ed è proprio l’intuizione ritmica ad aver caratterizzato buona parte delle sue incisioni. A differenza di Chuck Berry, altro ‘inventore’ di licks e riff che poi sono entrati a far parte della cultura musicale rock, il chitarrismo di Diddley è, se possibile, ancora più selvaggio, irrispettoso di regole ed assolutamente slegato da ogni logica vuoi di mercato vuoi riconducibile ad un rapporto con leggi di marketing che sicuramente non erano devastanti come lo sono oggi.

A quattordici anni, mentre già viveva a Chicago, Diddley ascolta per radio uno degli hit di John Lee Hooker, Boogie Chillen, ed il suo primo pensiero si è rivolto all’uso della chitarra da parte di Hooker: rimane talmente colpito da quello stile che immediatamente realizza di poter diventare un chitarrista. La prima chitarra la riceve in dono dalla sorella Lucille, ma subito dopo sarà proprio Bo Diddley a costruirsi uno strumento con la cassa trapezoidale.
Abbandona le lezioni di violino e si dedica esclusivamente allo studio della chitarra, anche se nella sua tecnica non sembrano esserci riferimenti a nessun tipo di insegnamento. Dopo un lungo periodo in giro per i locali di Chicago e dintorni, il suo nome comincia ad affermarsi; nel frattempo la sua chitarra ha preso la classica forma rettangolare che rimarrà per sempre uno dei suoi segni di riconoscimento. Sicuramente Diddley e Chuck Berry sono state le personalità più influenti per i musicisti rock e soprattutto per i musicisti britannici.

Ma la cosa curiosa è che una volta approdato alla Chess, Diddley verrà osteggiato proprio da Chuck Berry, che non apprezzava la sua musica. E chiaro che il beat di Diddley era estremamente innovativo o meglio ‘nuovo’ se paragonato a quello che si produceva in quegli anni; forse più di ogni altro lui riversava nella propria musica quell’eredità africana riscontrabile in buona parte delle sue composizioni e soprattutto nel suo uso personalissimo della chitarra accordata in open tuning. A ventisei armi Diddley comincia a raccogliere i primi frutti del suo lungo lavoro, incide per la Chess che proprio in quel periodo stava cominciando a sfornare artisti e musica da storia del rock, e l’elenco dei suoi successi è veramente impressionante. Come altri musicisti del suo periodo, dovrà subire con la fine degli anni ’50 quello strapotere britannico che servirà comunque alla riscoperta e alla rivalutazione di gente come Muddy Waters, Chuck Berry.

Tornando a questa operazione della Chess, altro non si può dire se non che è essenziale o esaustivo perché va a colmare una lacuna che ormai durava da anni; chi avesse voluto avvicinarsi a Diddley prima dell’avvento del CD non aveva grandi speranze di trovare del vinile esauriente, poi con la diffusione del CD per Diddley c’è stato uno spazio amministrato caoticamente da piccole etichette che hanno stampato senza nessuna logica parte del materiale del chitarrista di colore, senza preoccuparsi troppo dì mischiare incisioni storiche e brani più insignificanti.

Corredato com’è da un libricino ricco di note biografiche e discografiche, questo mini-box sì rende indispensabile. Una volta tanto però potremmo segnalare che qualcosa manca, manca ad esempio una documentazione live per un musicista che ancora gira in lungo e largo gli States ed anche l’Europa, di un musicista che due anni fa, accompagnato da Ron Wood degli Stones, ha inciso un interessante live Live At The Ritz; insomma, anche se non fondamentale credo che uno spazio ad un musicista che ha sempre privilegiato l’attività on the road sarebbe stato gradito forse più di una quantità enorme di inediti che da un lato arricchiscono la confezione e sicuramente stimoleranno l’acquisto da parte degli estimatori di una musica ripetitiva, legata indissolubilmente alla storia del rock ed ormai nella leggenda, dell’altra appesantiscono l’ascolto. Sempre a proposito della tecnica di Diddley, segnalo l’uscita di un libro dedicato ai suoi assoli, libro che potrà sembrare superfluo a quei mostri di bravura che ormai popolano il mondo dei chitarristi, ma gradito a chi ancora è alla ricerca della ‘nota’ più che delle esplosioni spesso insignificanti…
Che altro dire? Semplicemente che Bo Diddley, al di là e al di sopra dei giudizi critici più duri, è uno dei personaggi da cui è difficile staccarsi se non si possiede una visione aperta della storia musicale popolare degli ultimi trent’anni.

Chess CHD2 19502 (Rythm & Blues, 1990)

Giuseppe Barbieri, fonte Chitarre n. 59, 1991

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