Cary Swinney - Martha cover album

Qualcuno di voi ricorderà il nostro articolo sul suo CD d’esordio che gli è valso il titolo di ‘segreto meglio custodito’. Purtroppo ce ne sono tanti e, altrettanti, non meritano l’anonimato. Immaginate la nostra reazione quando Human Masquerade, mai titolo di un’opera è stato rivelatore su un viaggio musicale attraverso l’umana esistenza, ci ha posto di fronte a questo songwriter di O’Donnell, Texas. Una volta scoperto che viveva a Lubbock, la fantasia si è scatenata e non è difficile tracciare una linea ideale che lo colleghi alle generazioni precedenti di musicisti di questa città. Ma, al di là della facile iconografia, che ci farebbe passare facilmente da Buddy Holly sino a Joe Ely, Butch Hancock, Jimmy Dale Gilmore e Terry Allen, che pur non neghiamo, in assoluto rispetto della musica d’autore texana, bisogna tenere presente la peculiarità del personaggio.
Per sua stessa ammissione, Cary reputa John Prine ed il primo Jackson Browne le sue principali influenze; solo più tardi scoprirà Lubbock (On Everything) e realizzerà concretamente un’affinità elettiva con il ‘fratello maggiore’ Terry Allen.

Questo 40enne song-writer descrive in canzoni il West Texas con la stessa amara lucidità, il senso della solitudine, le angosce esistenziali di scrittori come McCarthy e McMurtry. Le sue canzoni sono ancora una volta volutamente provocatorie digressioni filosofiche sulla vita, fatte con uno spirito un pó sardonico, parabole di sfida che più di lanciare certezze, attendono risposte, spiegazioni, aprono immaginari dibattiti. La vita, l’amore, la morte, i sentimenti e, altro tema universale e caro anche ad Allen (ascoltate They Don’t Serve Barbecue In Hell o Joey Abdul And Me), la religione, vengono analizzati canzone dopo canzone.
In Martha lo spirito del ‘primitivo’ sembra essersi un pó placato, ma lo Swinney provocatore vuole colpire subito per catturare la nostra attenzione e tenerci in pugno. Al di là di tutti gli accostamenti possibili, un ‘primitivo’ è spesso simile solo a sé stesso, le sue muse si nascondono sornione tra le scarne melodie, gli sparuti arrangiamenti realizzati con pochi strumenti o con il solo uso di voce e chitarra. Anche in Martha spicca l’uso di essenziali soluzioni strumentali, l’ascoltatore deve essere concentrato sui testi, non deve distrarsi per seguire il ritmo o la melodia di un brano.

I vari Lloyd Maines, lap steel, pedal steel e chitarre, Doug Smith, piano, Richard Bowden, mandolino e violino, Brian McRae, basso, servono solo a riempire i pochi spazi emotivi lasciati vuoti dalla voce e dalla chitarra di Swinney. L’intento è quello di far sì che anche i CD assomiglino il più possibile alle performance live del protagonista. Ne risulta un sound di eccezionale efficacia; Cary sembra valorizzare come ‘suoni’ tanto i silenzi che le scheletriche sonorità acustiche. Il tutto pare far risaltare l’espressiva e ruvida voce del Nostro, duttile nel piegarsi alle necessità espressiva di ogni storia, padrona assoluta della scena con i testi che declama.
La vecchia Martha in copertina, protagonista della drammatica Martha,Our Son’s Insane, sembra ammonire subito: “..non ci si avvicina per caso ad opere come questa, le si sceglie accuratamente”. Ed è il brano più compiuto, una ballata quasi canonica con sezione ritmica, organo Hammond e belle sonorità slide e chitarre acustiche.

Più spesso gli interventi degli strumentisti, servono a incorniciare un ritratto sonoro già compiuto, ad esaltare il disegno di un brano, a sottolineare o sublimare il messaggio di una frase. Cary, armato di una chitarra acustica è una provocazione continua, pone un enorme punto interrogativo su tutto. Canzoni di una satira tagliente e dall’humor abrasivo si alternano a calde e passionali ballate dove Cary continua a stimolare intellettualmente, invita a riflettere tutte le coscienze assopite. E brani dal titolo innocente come Good Ol’ Sunday Morning o The Bike Ride nascondono annosi problemi morali, interrogativi sulla fede, riflessioni politico-rivoluzionarie.
Altre volte Cary ci affronta con sola voce e chitarra (Mr. Guilt e Twelve Januarys, l’unica canzone d’amore), o voce e piano (Letter To Alaska), per raccontarci il secondo capitolo della sua ‘human masquerade’, delle sue ‘philosofical bullshit’.
Che Swinney trovi fama e ricchezza nel mondo oppure no, ci troviamo di fronte ad una gloria di Lubbock,Texas, grazie tanto alle parole che alla musica. Noi, una volta tanto, possiamo mettere da parte dubbi ed incertezze, Martha ci pone di fronte all’erede naturale di Terry Allen, con possibilità di futuri coinvolgenti sviluppi.

Johnson Grass 002 (Folk, 2001)

Franco Ratti, Out Of Time n. 38, 2001

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