Cisco Houston fu come una personificazione del viaggio, un’incarnazione stessa dello spostamento, non soltanto come ricerca di mezzi di sussistenza, ma anche come profonda ragione di vita. Hard traveling. Come il viaggiare inquieto di padri di famiglia travolti dagli effetti devastanti della Grande Depressione del 1930, dall’indigenza e dalla precarietà causate da quella calamità naturale chiamata Dust Bowl. Essa innescò un ferale processo di desertificazione che falcidiò le colture delle grandi pianure, assetò le terre e sconvolse di cicloni la vita di migliaia di agricoltori e allevatori. A causa della grave crisi economica americana, ben due milioni di persone fra il 1929 e il 1933 si misero in cammino, attraversando gli States da costa a costa, alla ricerca di lavori stagionali, vivendo una vita infelice in sordide baraccopoli, in accampamenti, lontani dagli affetti e dai paesi natali. Un quadro ben più squallido e crudo di quanto il romanticismo della letteratura e delle folk songs ci abbia raccontato.
Cisco Houston appartenne a questa lacera e infausta truppa. Dormì sui vagoni merci o sotto le stelle, fece autostop e percorse miglia e miglia di highways con le proprie gambe. Raccolse luppolo o patate per una manciata di dollari, conobbe nei campi di rabarbaro o fra gli aranceti altri diseredati della terra e lì lievitò la sua vocazione sindacale a tutela degli sfruttati. Ma dove c’è dolore c’è pure poesia e se sai suonare una chitarra e hai la voce di un Apollo puoi diventare un cantastorie, un folksinger e in questa schiera Cisco fu tra i più grandi. Dichiarò di aver intrapreso almeno una trentina di viaggi per il paese e solo un altro compagno, armato di una micidiale chitarra, poteva vantarne altrettanti: era Woodrow Wilson Guthrie, dall’Oklahoma, ma tutti lo chiamavano Woody.
Gilbert Vandie Houston, detto Gil, aveva mutato quel suo eccentrico appellativo da un piccolo centro della California, nel quale aveva sostato un poco durante le sue peregrinazioni. Cisco Grove, per l’esattezza, fra Reno, Nevada e Sacramento, un posto dimenticato da Dio, non reperibile sulle cartine geografiche, ma abitato attualmente da circa 160 anime. Gil era nato nel Delaware, il diciotto di agosto del 1918, ma gli costava ammetterlo. Preferiva spacciarsi come nativo della Virginia, terra di origine della madre e della nonna, le quali assiduamente gli cantavano traditionals di quei territori del Sud. Ne era orgoglioso Gil.
La sua famiglia si spostò in California quando lui aveva due anni e nel tempo a venire si distinse negli studi più per la memoria che per l’ingegno. Così almeno sostenevano i suoi insegnanti. Non si erano accorti che egli dissimulava un gravissimo difetto alla vista che lo costringeva quasi alla cecità. Gil era affetto da nistagmo, una malattia che obliterava la vista, salvando solo la visione periferica. Gli era impossibile tenere lo sguardo fisso e poteva leggere soltanto inclinando la testa o da un angolo obliquo, mentre le immagini si succedevano rapidamente davanti alle pupille. “Cieco come un pipistrello”, disse Moses Asch amico e leggendario produttore della Folkways. Ma Gil fu talmente abile a nascondere la sua malformazione che molti neppure se ne accorsero. A scuola egli maturò una passione violenta per il teatro, studiò recitazione e sostenne ruoli che più volte gli vennero affidati. Con la musica, la prosa lo volle per sempre sui palcoscenici, come un esigente padrone del cuore. Frequentò corsi teatrali a Los Angeles e fece esperienza in piccoli gruppi recitanti.
La sua carriera di troubadour coincise nell’incontro con Woody e con il periodo più duro della sua giovinezza. Nel 1932 il padre di Gil abbandonò la famiglia ed egli con i suoi si era già da un po’ trasferito a Bakersfield. Con il fratello maggiore Boy, si caricò di ogni responsabilità e non bastando al bisogno il misero sussidio di disoccupazione, i due fratelli si misero in viaggio, lavorando nei campi di ortaggi, ricevendo spesso come salario, latte o verdure. Davanti ai loro occhi scene di fame e di crudeltà: montagne di patate irrorate di kerosene, arance intrise di creosoto e la gente lì a guardare. Gil viaggia e viaggia, con un gruzzolo sotto la giacca da portare a casa. La famiglia tira avanti con queste provvidenza e con l’aiuto dei vicini.
Il treno sfreccia per le Cascade Mountains, si inoltra in anguste gallerie. Gil, ora divenuto Cisco, lavora in una compagnia teatrale ad Hollywood. Morde sempre il teatro. E’ il 1938 quando con l’amico Will Geer ascolta Guthrie e il show radiofonico alla KFVD. Incontrare Woody e diventarne intimo fu questione di poco. Cisco cantava da tenore, con una voce ben impostata, da attore. I critici non glielo perdoneranno. Poiché era giudicato conveniente nell’esercizio della folk song, un canto affumicato, diseguale, spontaneo ad ogni costo. Accompagnò vocalmente Woody nel suo programma e l’amico gli diede una mano economicamente. Girarono poi insieme i campi di lavoro degli emigranti. Geer pagava i conti e qualche volta Burl Ives si accompagnò a loro. Nel ‘39 a New York, Cisco fece l’imbonitore da strada per spettacoli teatrali e nel 1940 si imbarcò, alla vigilia del conflitto mondiale, nella marina mercantile. Gli scali valevano esibizioni con Woody e talvolta con gli Almanac Singers.
Aveva già lavorato anche come cowboy, taglialegna, come attore in piccoli ruoli cinematografici ed era comparso in numerosi radio show. Guthrie iniziò le sue registrazioni con Moses Asch nel 1944 ed ebbe Cisco a lavorare con sé. Questi era un collaboratore tanto umile quanto recettivo e provetto nel flatpicking della sua chitarra. Si disse che il suo stile ricordava quello di Ives, ma Cisco fu sempre schivo e preoccupato di non essere un chitarrista di qualità. Quando cantava da solo trasformava i suoi timbri tenorili in una voce baritonale, di estrema limpidezza, chiara e forte. Si disinteressò delle critiche malevole di chi non lo inquadrava nel folk puro e proseguì per la sua strada.
Nel ‘48 ottenne un ruolo in una commedia di Broadway, The Cradle Will Rock, e l’anno seguente in California trovò ulteriori parti in film minori e in pieces teatrali. Viaggiò ancora con Woody e nel settembre del 1951 la Decca registrò due canzoni di Cisco, senza però pubblicarle. Era la stessa etichetta che aveva annoverato fra le sue file i mitici Weavers, inseriti prontamente nella lista nera maccartista. Dopo l’incisione di Rambling, Gambling Man e Green Lilac Hills, nel 1952 un altro paio di canzoni fu inciso e impubblicato. Cisco fu accompagnato da George Barnes, chitarrista jazz e dal suo gruppo.
L’occasione della vita sopravvenne per Cisco Houston nel 1954, quando dopo aver già precedentemente lavorato in televisione a Tucson, gli fu data la possibilità di gestire un personale radio show. Ciò capitò a Denver, Colorado, dove lo spettacolo andò in onda, il lunedì e il mercoledì, alle 18,15 pomeridiane. I giornali portavano la sua fotografia e il 13 gennaio 1955 lo show fu passato su cinquecentocinquanta stazioni nel Mutual Broadcasting System . Crazy Heart, scritta insieme a Lewis Allen, arrivò in cima alle classifiche e la popolarità di Houston si estese rapidamente. A metà dell’estate il suo spettacolo sparì improvvisamente dalla circolazione. Non è stato chiarito ciò che in realtà successe, ma indubbiamente le opinioni non esattamente allineate di Cisco contribuirono al suo allontanamento. E quando gli album della Folkways furono pubblicizzati, si sciolse l’equivoco che voleva Cisco e Gil due persone diverse. Le enormi pressioni che gravavano sul mondo dello spettacolo, la caccia ai nemici dell’America e ai simpatizzanti di sinistra, nocquero a lui come a molti altri, scartandolo volentieri dal sistema produttivo.
Nel 1959 insieme a Marilyn Childs, Sonny Terry e Brownie McGhee, Houston fu invitato per un lungo tour in India. Vi passò dodici settimane e, al suo ritorno, diede ulteriori concerti in Inghilterra e Scozia. Fu anche scelto come artista/narratore in Folk Sound Usa, all’interno del Revlon Hour Spring Festival Of Music, in una trasmissione televisiva che passò il 16 giugno 1960: primo spettacolo in assoluto dedicato interamente alla folk music e teletrasmesso. Vi parteciparono, fra gli altri, Joan Baez, John Jacob Niles, John Lee Hooker, Earl Scruggs e Lester Flatt. Lo spettacolo fu particolarmente apprezzato e l’esibizione di Cisco si guadagnò ampi consensi. Affermato artista, esauriti i tempi bui di braccatura ai rossi, Cisco Houston aveva realizzato un pugno di dischi per la Folkways e diverse registrazioni con Guthrie, Leadbelly ed altri. Incise anche per labels come Stinson, Vanguard e Disc, ma non si può dire che la sua produzione sia stata copiosa.
L’apogeo della sua fortuna di artista coincise con la parte terminale della sua vita. Agli inizi degli anni ‘60 ricevette numerose scritture per esibizioni in night-clubs, presenziò a festival estivi ed autunnali e visse una breve stagione di positivo contrappasso ricevendo quegli onori e quegli attestati di stima di cui una vita ben grama lo aveva privato. Durante l’estate del 1961 scoprì di avere un cancro allo stomaco e che il tempo che gli era dato da vivere risultava ben esiguo. Cisco non se ne curò troppo, più affannato dalle sorti del mondo e degli equilibri socio-politici che dalla propria sofferenza. Uomo gioviale, di grande sensibilità, continuò finche gli fu possibile ad esibirsi, commentando ironicamente le beffe del destino. “Il problema di tutta la mia vita è stato il mio tempismo, sempre cattivo”, fu il suo commento apparso sul numero di Sing Out dell’ottobre-novembre 1961.
Nella sua ultima intervista rilasciata a Claypool, Cisco ebbe a dire: “ognuno detesta che vengano dette due cose di se stesso. Una è di non aver mai avuto dei problemi e l’altra è di non possedere senso dell’umorismo…. Gran parte della folk music riguarda i problemi e la capacità di riuscire a sorridere dei guai e di qualsiasi altra cosa”. Ai giovani che fremevano dal desiderio di emulare le sue gesta, di andare via da casa e di mettersi sulla strada, Cisco rispose con affettuosa partecipazione, ridimensionando l’idea del viaggio tout court. Nella medesima intervista aveva dichiarato: “Molti ragazzi vengono da me e mi chiedono dei miei giorni sulla strada. Io cerco di dissuaderli dall’andarsene via in quel modo… Noi abbiamo fatto così in quei tempi, perché dovevamo farlo, non perché preferivamo farlo”. Cisco lasciò serenamente la vita il 28 aprile 1961 all’età di quarantadue anni, a San Bernardino, California. La sua ultima apparizione in concerto era avvenuta poco tempo prima a Pasadena.
Cisco Houston cantò canzoni per i cowboys, per i boscaioli, per tutti i lavoratori, cantò le songs del sindacalista Joe Hill, canzoni di ferrovia e motivetti per bambini, canzoni d’amore e canzoni per gli hoboes che avevano sfondato le scarpe sulle strade e soprattutto cantò nella speranza di lasciare un mondo peggiore di quello che dopo la sua morte gli altri avrebbero edificato. Personaggi come Cisco rischiarano la storia della folk song e di più, il percorso degli uomini che lavorano e lottano per vedere affermati i propri diritti. A chi volesse ascoltarne le splendide ballate, la voce tersa, spesso in compagnia di quella di Woody, rimando all’essenziale Cisco Houston, The Folkways Years. Sulle fastose cassette realizzate dalla Smithsonian Institution, la società che acquistò la Folkways nel 1987, è possibile trovare ulteriore materiale riguardante Cisco Houston e in genere tutto l’arcipelago della folk music.
Scrisse Lee Hays: “… camminò: con grazia in un mondo imperfetto e il mondo sarà migliore per le vite che lui ha toccato”. Caduto un po’ nel dimenticatoio, coperto dalla sabbia del tempo e spesso bistrattato dagli esegeti, Cisco merita riscoperte e rivalutazioni. Fare Thee Well, Cisco, cantava Tom Paxton, uno dei suoi più grandi estimatori. Ascoltando le sue canzoni riviviamo la sua storia e proviamo a sentirci migliori. Sembra meno definitivo quell’addio. Fare Thee Well, Cisco!
Per gentile concessione di Buscadero (163, Nov. 1995)
Francesco Caltagirone, fonte Country Store n. 36, 1997