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Nona edizione di questo festival che con il passare degli anni si è guadagnato una fama crescente divenendo un appuntamento fisso per molti appassionati.
Arrivo con largo anticipo in quel di Prato di Correggio, piccolo centro in provincia di Reggio Emilia, dove mi ci vuole poco per individuare il tendone del Dribbling Club dove sono in programma i concerti.
Il line-up di quest’anno è molto allettante: si va dal bluegrass di Sally Jones, al country di matrice acustico-cantautora-le dei Woodys, arrivando ai moderni suoni new country dei Road Riders. Come si vede, ce n’è per tutti i gusti, e per uno come me che non si fa troppi problemi ad ammettere di amare un po’ tutti i generi di musica di matrice country americana è la serata ideale. Nonostante il maltempo (ha piovuto e fatto freddo per tutto il giorno) l’affluenza è buona fin dall’apertura .

Sono da poco passate le otto e mezza quando l’organizzatore Roberto Campovecchi introduce il primo gruppo della serata: Sally Jones & The Sidewinders provenienti da Franklin, TN, anche se la leader è nata in Canada.
La formazione alla sua prima data europea, vede Sally a chitarra e voce, Mickey Harris a basso e voce, Kristin Scott Benson al banjo ed il formidabile Cody Kilby al mandolino. L’acustica è buona, il sound della band è diretto, semplice ed efficace. Il repertorio è variegato e spazia da brani manifesto del genere come la classica Rollin’ In My Sweet Baby’s Arms a dolci ballate tratte dal nuovo disco della Jones o cover di successi country rilette in chiave bluegrass come nel caso di Love Hurts interpretata da Sally in modo convincente e sorretta da un bell’arrangiamento molto traditional.
Una nota particolare meritano i virtuosismi del mandolino di Kilby forse il più tecnico del gruppo e la bella voce del bassista Harris che si alterna al canto solista ad esempio in South Bound Train (poteva una band bluegrass che si rispetti non proporre un pezzo sui treni?). Meritano un bis Sally Jones ed i suoi Sidewinders che chiudono con il tradizionale Long Journey Home una gustosissima performance.
Nella pausa mentre il bar serve panini che si chiamano Dolly Parton, Bill Monroe o Hank Williams, il tendone si trasforma in ballroom diffondendo del buon new country su cui i moltissimi line dancers cominciano a scaldare gli stivali.

Il secondo concerto della serata vede impegnato per la prima volta in Italia il duo dei Woodys: Michael e Dyann, marito e moglie, che si sono guadagnati un posto al sole sulla scena musicale americana grazie prima alla prolifica attività di songwriter a Nashville di Michael e poi con il buon successo in ambiente Gavin Americana del loro omonimo disco inciso per la Rounder.
Il primo set dell’esibizione li vede soli sul palco con Dyann alla chitarra e voce harmony ed il marito che alterna chitarra e mandolino e fa da voce guida. Sin dalle prime note si può apprezzare l’ottimo affiatamento e le suggestive armonizzazioni vocali in perfetto stile Everly Brothers: Circle Of Angels, A Hundred Years Of Solitude e High Lonsome  solo alcuni titoli di questa prima parte.
I Don’t Mean Maybe, apre il secondo spezzone di concerto con i Woodys accompagnati da una band italiana che completa il sound con pedal steel (Ivano Malavasi), batteria (Leonardo Torricelli), violino (Stefano Onofrio) e basso (Pellegrino Pellegri).
Molte le canzoni in scaletta, tutte storiche per la carriera dei due come nel caso della coinvolgente Habits Of The Heart, singolo di successo anche in Europa, o The Rain Came Down scritta con Steve Earle a sostegno degli allevatori del sud degli U.S.A. ed ancora Mama And Then legata al nome di David Lee Murphy e Second Wind frutto della fortunata collaborazione di Michael con la Desert Rose Band del grande Chris Hillman.
Speciali i due bis offerti al pubblico prima della fine: prima una intensa interpretazione di Like Strangers, dovuto omaggio agli Everly, quindi il gran finale con il ritorno sul palco di Sally Jones ed i suoi musicisti.
Tanti e meritati gli applausi che salutano gli artisti americani che accettano volentieri di fermarsi per quattro chiacchiere con chi li avvicina.

A questo punto siamo tutti pronti per il new country dei francesi Road Riders per la loro prima e unica data in Italia che senza fronzoli scatenano i ballerini in sala sulle note dei più importanti successi degli anni ’80 e ’90.
Cover band di assoluto valore, completa (quasi tutti gli strumenti del country made in Nashville sono presenti), riesce a riprodurre dal vivo i suoni dei pezzi originali grazie alla buona qualità dei musicisti, una nota di merito in particolare alla pedal del polistrumentista Jean-Marc Bouton (che suona anche le tastiere), con un tocco personale dato dalla voce della cantante Linda Jacob, un piacere anche per gli occhi.
Il repertorio poi va sul sicuro puntando su canzoni di grande successo e di immediato impatto, solo per citarne alcuni: My Baby Loves Me (Martinea McBride), la trascinante Tell Me Why (Wynonna), l’honky tonk di Mr. Lonesome (Heather Myles), He Thinks He’ll Keep Her (Mary Chapin Carpenter). Tutti pezzi dal ritmo incalzante che fanno la gioia dei dancers e che riscaldano un po’ la temperatura all’interno del tendone del festival.
I cinque sono anche dei buoni entertainers capaci di tenere bene il palco dialogando con il pubblico e producendosi in trascinanti assoli strumentali soprattutto di chitarra elettrica e pedal steel. Vedendoli dal vivo non sorprende che siano stati recentemente chiamati per una serie di concerti negli Stati Uniti.
La lunga serata del festival di Correggio si chiude così a notte fonda con un bilancio positivo sia per ciò che riguarda la partecipazione del pubblico, sia e soprattutto per la qualità musicale che ha espresso, dopotutto assistere ad un concerto di due gruppi americani nella stessa sera è cosa rara dalle nostre parti!

Roberto Galbiati, fonte Country Store n. 57, 2001

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