Secondo tutti gli osservatori, questa quindicesima edizione della Country Night è stata la migliore in assoluto. I dati lo confermano: per la prima volta, da quando è stato proposto cinque anni fa, è andato quasi completamente sold out anche lo show del Venerdì.
Il merito è ovviamente dei nomi e delle aspettative che suscitano e che non sono andate deluse.
Ma questa edizione sarà ricordata anche per la contemporaneità con la scomparsa di Johnny Cash: la notizia è arrivata ad inizio show del venerdì ed ha immediatamente coinvolto la platea, gli organizzatori e gli artisti. La tristezza si è accompagnata alla consapevolezza che stia scomparendo una generazione di artisti: prima di Cash (sopravvissuto di un anno a Waylon Jennings e di poco meno a Johnny Paycheck) la moglie June e, per ironia della sorte, anche Sam Philips, morto il 30 luglio scorso, l’uomo della Sun Records che per primo intuì il valore dell’Uomo In Nero e lo produsse.
Lo staff della Country Night dà l’annuncio dal palco e poi si affretta a montare un video da mandare in schermo durante l’intervallo. E così lo show può iniziare.
Terri Clark ha confermato tutto il bene che di lei si dice e che gli Awards testimoniano, ultimo in ordine di tempo l’Entertainer of the Year Award della Canadian Country Music Association ma il suo nome è attualmente anche tra le nominations CMA per Female Vocalist. Quei pochi chili in più che generalmente denunciano lo status di superstar non rovinano l’aspetto attraente che si indovina sulle copertine dei dischi e dalle foto ufficiali. L’immancabile cappello bianco, una bella voce limpida ed il tipico atteggiamento aperto e cordiale dei canadesi sono i dettagli più evidenti nell’immediatezza.
Con un po’ di glamour new country abbellito di omaggi alla tradizione e di indiscutibili doti di cantautrice, Clark produce uno show corposo, vario e piacevole fatto di hits, momenti acustici e siparietti comici che è riuscito a coinvolgere il troppo austero pubblico svizzero e il più caloroso pubblico italiano accorso quest’anno in buon numero (e anche questa è una novità). E’ diversa dalle tante reginette attuali del country-pop: non urla, ha un buon repertorio, e, può sembrare superfluo ma secondo me è significativo nelle scelte artistiche, è anche fedele ad un atteggiamento e ad un’immagine che a Nashville passa in secondo piano di questi tempi: mi vengono in mente solo altre due che portano il cappello: Danni Leigh e Heather Myles, entrambe ottime ma, per Music City, outsiders.
I brani dall’ultimo CD fanno da filo conduttore dello show. L’esordio, spumeggiante ed elettrico, è infatti con Pain To Kill. Segue Emotional Girl e una medley con If I Were You, When Boy Needs Girl, Everytime I Cry. Ancora un paio di brani poi eccola imbracciare la chitarra acustica, appoggiarsi allo sgabello e presentare le canzoni che, dice, le hanno fatto amare la country music. Una breve carrellata di gioiellini che abbiamo tutti avuto piacere di riascoltare: Mama He’s Crazy, I Was Country (When Country Wasn’t Cool), Leavin’ On Your Mind, Coal Miner’s Daughter, Bartender’s Blues, Girl’s Night Out.
A ruota, e sempre in versione acustica, un divertente siparietto di imitazioni che la Clark esordiente offriva ai clienti di Tootsie’s (ottime quelle di John Anderson, John Conlee e dell’immancabile George Jones). Chiusa la parentesi rievocativa, la band rientra e si torna al repertorio ‘ufficiale’ con Love Me Like A Man (bel solo di slide e svisi di fiddle), la presentazione dei musicisti e un’ottima coda strumentale con Orange Blossom Special, variegato al Devil Went Down To Georgia, a cura della brava Jenee Keener al fiddle.
Ancora qualche hits per la chiusura (Now That I Found You, Everytime I Cry, I Just Wanna Be Mad, Better Things To Do, Easy On The Eyes, Poor Pitiful Me) poi un bis che suscita perplessità: una bella medley di rock, tanto inaspettata quanto trascurabile nell’economia dello show e tutti ci chiediamo: ma con cinque CD pubblicati aveva proprio bisogno di propinarci Stay With Me? Sì perché, ci spiega in conferenza stampa che Rod Stewart è tra i suoi preferiti. Aveva voglia di divertirsi. Anche noi, ma con tutto il rispetto per il vecchio scozzese, che anche noi a suo tempo abbiamo molto amato, volevamo ascoltare ancora un po’ di Terry Clark
Ah, le bizze dei divi…!
Il lungo intervallo che segue, include un minuto di silenzio per l’Uomo in Nero ed ecco sul palco quei tre good old boys che non ci pare ancora vero di trovare così vicino a casa. Tutte le nostre curiosità erano alla formula del loro Rockin’ Roadhouse Show: suoneranno tutti insieme o separati? Sarà uno spettacolo assemblato o qualcosa di originale con una regia originale?
La risposta è stata entusiasmante perché il bilancino delle tre ore e un quarto di concerto (poco meno il venerdì) era perfettamente confezionato: una band di nove musicisti che tiene permanentemente il palco, i tre che si alternano ma che si ritrovano saltuariamente in due o in tre a cantare le proprie canzoni offrendosi reciprocamente le harmonies. Il tutto con un buon ritmo incalzante che l’atmosfera rilassata, cameratesca, contribuisce ad arricchire di feeling. I quindici mesi di tour insieme non sembrano averli logorati, anzi, i tre sono amiconi e lo dimostrano con spontaneità facendo anche della conferenza stampa una sequenza di gags (che solido accento texano ha Chesnutt!).
Sul palco, una grande intesa, una forte partecipazione emotiva e soprattutto quelle voci! Capaci di spalancare le porte del cuore al più incallito peccatore e di lasciarti sbaccalito senza altre sensazioni che quelle del godimento immediato.
Joe Diffie è il più tradizionale nel modo di cantare quelle sue ballate da honkytonk dedicate alle avventure ed alle sfighe quotidiane del redneck (Let The Devil Dance In Empty Pockets, Prop Me Up Beside The Jukebox, Pickup Man, John Deere Green) o alle amarezze degli emarginati (Ships That Don’t Come In). Ma è anche il più disponibile a non prendersi sul serio. Così, a sorpresa, sfodera una ironica Man Of Constant Sorrow con la collaborazione di due dei musicisti e dà il via al set di imitazioni di George Jones e Hank Jr.
Buon entertainer d’esperienza, sa comunicare col pubblico e adattare la scaletta; quando è ora scalda gli animi con il 3rd Rock From The Sun, poi torna a parlare al cuore con The Heartache’s On Me, So Help Me Girl e Texas Size Heartache (al Venerdì).
Mark Chesnutt è il più dinamico, esuberante, ed il più sensibilmente texano (che talvolta vuol dire anche un po’ pacchiano: vedi la parodia di Ozzy Osborne, tanto nonsense quanto esilarante). Con lui sono di casa lo swing (Old Flames Have New Names), le contaminazioni cajun (A Little Too Late, Gonna Get A Life), il Texas blues di Stevie Ray Vaughan (ottima versione di Pride & Joy).
Di grande effetto il set di tributo personale a Johnny Cash: da solo con la chitarra acustica a ricordarci quanto può essere bella una country song (I Walk The Line, Jackson, Folsom Prison Blues). Non potevano poi mancare i suoi hits: Bubba (quello che spara al jukebox perché le canzoni lo fanno piangere), Too Cold At Home, I Just Wanted You To Know, Going Through The Big D, It Sure Is Monday. Li avevamo già sentiti qualche anno fa su quello stesso palco ma che importa? Li risentiremmo ancora.
Tracy Lawrence, apparentemente più ‘progressive’ per quanto riguarda lo stile ma anche il più espressivo e il più melodico, avvolge con la voce ogni singola nota, viaggia tra le tonalità, prolungando il pathos narrativo di canzoni sentimentali come Is That A Tear?, I See It Now, Sticks & Stones, Alibis, delle storie di vita (Lessons Learned, My Second Home), delle sue utopie rurali (If The World Had A Front Porch). A completare il quadro della performance da solo , i suoi classici Better Man Better Off, Time Marches On, una Running Behind con coda di boogie, I Threw The Rest Away (acustica).
Non sono mancati gli omaggi collettivi. A Merle Haggard: Ramblin’ Fever (T. Lawrence al Venerdì), Mama Tried (TL), Working Man Blues (JD). A George Jones: He Stopped Loving Her Today (JD+MC). A Hank jr: A Country Boy Can Survive (JD+TL), a Waylon & Willie: Whisky River, Good Hearted Woman (JD+MC), a Keith Whitley: I’m Over You (JD), a George Strait: Unwound (JD).
Tra i momenti migliori, quello a tre, seduti sugli sgabelli, per scampoli dei rispettivi repertori: Alibis, Home, Old Country, Sticks & Stones, Is It Cold In Here, Brother Jukebox, per concludere con una struggente Almost Goodbye e lasciare il palco nel tripudio della platea. Curiosamente, come per mutuo accordo, nessuno dei tre ha cantato canzoni dai rispettivi ultimi album se non Tracy Lawrence allo spettacolo del Venerdì (Crawlin’ Again). Considerando che è l’unica recriminazione che riusciamo a produrre, fatevi un’idea di quello che abbiamo passato.
Con questa edizione, la Country Night ha toccato il cielo. Sarà capace di mantenersi a questo livello? Lo vedremo. La prossima edizione è già convocata per il 10-12 Settembre 2004. Il programma verrà reso noto intorno a fine Marzo. E ricordatevi che i biglietti esauriscono già per fine Giugno! Stay tuned!
Fabrizio Salmoni, fonte Country Store n. 69, 2003