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Da troppo tempo si erano perse sue notizie, ma circa due anni fa il nome di Stella Parton è tornato in circolazione sul mercato discografico grazie alla Raptor Records che pubblica nel 2000 Appalachian Blues e l’anno seguente Blue Heart.
Stella comincia la sua avventura nella country music molto giovane come corista di un gruppo gospel, negli anni 70 crea la sua personale casa discografica che le frutta il suo primo top 10 single.
Nel 1976 passa alla Elektra-Asylum con cui ottiene qualche discreto successo con echi anche oltreoceano in terra britannica. Artista poliedrica che passa dalla musica al teatro e alla televisione ottenendo sempre buoni responsi anche se il paragone con la più famosa sorella in più di un caso la penalizza non facendo emergere le proprie peculiari capacità.
I due nuovi dischi ce la propongono con uno stile marcatamente tradizionale ma sempre aperto a sperimentazioni e contaminazioni di diversa derivazione. Appalachian Blues è un CD quasi filosofico, sicuramente autobiografico e riflessivo, nel racconto dei rapporti con i genitori, con il figlio e con la terra dove è nata e cresciuta.
Musicalmente siamo di fronte ad un progetto di matrice acustica con la presenza di musicisti importanti come la famiglia Scruggs (Earl, Randy, Steve). Un bel lavoro pensato e costruito attorno ad un filo conduttore importante e allo stesso tempo molto interessante.
Blue Heart è più leggero, forse meno impegnato ma sicuramente non meno piacevole. Le sonorità sono equamente bilanciate tra elettrico e acustico, tutti i pezzi portano la firma di Stella.
Ci sono ancora canzoni più tradizionali (Smooth Talker), brani dal sapore honky tonk (Sleeping With The Enemy), anche pezzi di influenza jazz (When One Door Closes e My Latest Love Song).
Il tutto a dimostrazione di una capacità di interpretazione e scrittura che abbraccia le più diverse sonorità.
Una artista completa ed apprezzabile per quello che ha da dare a livello di emozioni, al di là delle parentele più o meno importanti.
Per conoscerla meglio l’ho incontrata per un’intervista nella hall di un albergo di Nashville e questo è quello che ci siamo detti.

Come è nato e quanto ti ci è voluto per mettere assieme il disco ‘Appalachian Blues’?
Alcuni pezzi come Songbird’s Heart e Lover’s Dream li ho scritti vent’anni fa, altre come Up In The Holler, Child Of My Body e I Draw From The Well sono canzoni nuove ed è proprio su questo materiale che stavo lavorando quando mi sono tornate in mente quelle vecchie composizioni.
Ho pensato che avrebbero potuto far parte dello stesso progetto e così le abbiamo riprese, poi abbiamo inserito alcuni brani come Wayfaring Stranger e Satisfied Mind perchè il loro messaggio era in linea con la filosofia dell’intero album.
Così piano piano il lavoro ha preso la forma che volevamo, evolvendo a poco a poco quasi crescesse da solo.
Il disco si apre con ‘Up In The Holler’, un pezzo che ci immette subito nell’atmosfera dell’album, come è nato questa canzone e che storia c’è dietro?
La canzone è ispirata in qualche modo al mio rapporto con i miei genitori.
Un giorno andai a trovarli e mi accorsi che stavano invecchiando, che non erano più giovani, non erano più quelli che avevo sempre conosciuto, erano più anziani.
La cosa mi rese triste e mi ispirò la canzone, suonando la chitarra e canticchiando, mi venne di getto la melodia del ritornello e poi le parole ed infine ho costruito attorno le strofe ed è nato il pezzo. Insieme a Child Of My Body è la canzone di cui sono più felice proprio perchè legata a emozioni molto personali.
Il disco ha una impronta molto tradizionale, quali sono state le tue prime influenze musicali?
Ho cominciato molto giovane a cantare con un gruppo di gospel music e certamente questo genere ha rappresentato per me una grossa influenza. A parte questo se devo citarti degli artisti del passato, ti direi Louvin Brothers e Everly Brothers, la musica di questi gruppi ed in particolare la loro cura per le armonizzazioni vocali sono sempre state un punto di riferimento.

Un altro pezzo di cui vorrei scoprire qualche segreto è ‘Child Of My Body’, come è nata questa bella canzone?
Sono felice che ti sia piaciuta. Ho scritto il testo prima, è nata come una poesia ispirata a mio figlio che vive da solo in un appartamento in città.
La prima volta che andai a trovarlo, mi resi conto che qualcosa nel nostro rapporto era cambiato, lui non viveva con me, ero a casa sua e lo andavo a trovare, non ero più la donna di casa. Una strana sensazione.
Lui non era più un ragazzino, era un adulto in grado di badare a sè stesso. Nel mio cuore però lui rimane e rimarrà il figlio del mio corpo e da qui è venuta l’idea di Child Of My Body. La melodia mi venne in mente mentre guidavo una sera proprio pensando al fatto che non ero più la madre di un bambino di cui prendersi cura, è una melodia molto appalachiana, quasi una ninnananna.
Questo è un disco diverso da tutto ciò che hai fatto fino ad oggi, cosa c’è dietro questo cambiamento?
Quasi tutta la mia musica negli anni si è incentrata su storie d’amore e sulle relazioni tra uomo e donna. Questo CD non è affatto ispirato alle vicende amorose, è più un disco autobiografico, su di me e come vedo la vita, le mie reazioni a vicende e avvenimenti di questi anni, come sto vivendo l’esperienza del viaggio della vita.
Direi che si può dire che in questo album parlo di dove sono adesso e soprattutto di come vedo la mia vita guardando al futuro.
Guardando invece al presente ed in particolare alla situazione attuale della musica country, cosa vedi?
Mi piace. Credo ci sia molta confusione tra quello che è tradizionale, quello che è moderno o pop e così via. Ma in un certo senso mi piace la confusione perchè spesso da essa nascono cose di grande qualità.
Io non ho mai avuto case discografiche molto potenti a sostegno della mia musica ma questo mi ha sempre dato libertà di scegliere quello che più volevo fare. Oggi in mezzo alla confusione che ha coinvolto le grosse etichette e artisti, io mi muovo come ho sempre fatto, facendo cioè la musica che voglio.
Guardando alla musica di oggi, credo che ci siano ottime cose tradizionali e altrettanto buoni lavori più contemporanei o pop che dir si voglia, l’importante è che si produca buona musica e credo che questo sia accaduto e accada anche in questi anni. Non me la sento di muovere grosse critiche a nessuno.

Nel disco c’è una canzone scritta da Paul Overstreet, cosa ti piace del suo modo di scrivere?
Amo il suo modo di scrivere canzoni, prende ispirazione dal profondo del suo cuore, un posto tranquillo e segreto del suo cuore. Poi amo molto il modo in cui crea la melodia dei suoi pezzi, hanno sempre una bella costruzione armonica. Lo conosco da molto tempo, da prima che avesse successo, quando era molto giovane, era sposato a una delle mie sorelle e fui io a procurargli il suo primo contratto con una casa di pubblicazioni.
Quanta importanza dai ai concerti?
E’ la cosa più importante di tutte, amo suonare ed esibirmi dal vivo, credo che sia la cosa che mi riesce meglio. Perchè amo il contatto con la gente, sentire le loro reazioni, comunicare con loro. E’ sicuramente la cosa che faccio meglio.
Un altro aspetto importante del concerto è che non sai mai cosa succederà, come si svilupperà la serata, se sarà un buon spettacolo o meno, vivi sempre in bilico e cercare di essere sempre all’altezza sono cose molto eccitanti.
Sei una artista che si è sempre cimentata in diversi campi, teatro e televisione per fare esempi, cosa ami di questi diversi ambienti?
Trovarmi di fronte ad un pubblico, sentire la reazione della gente, è davvero la cosa che desidero di più. Non si può mai sapere quanto sia buono il tuo lavoro finchè non hai la risposta di chi ti ascolta. Ci sono cose che ho scritto o cantato, che mi piacciono ma non posso esserne sicura se non rapportandomi a chi mi ascolta.

C’è un momento della tua carriera di cui vai particolarmente orgogliosa?
Sono felice di poter fare quello che amo di più fare come artista e cantautrice, oggi come oggi sono più sicura di me e delle mie capacità, mi conosco meglio e sono felice della risposta del pubblico a quello che faccio.
In passato ho avuto delle hits con canzoni che avevo scritto, quel successo mi è servito per aprirmi le porte del music businness ma non fu così grande da consolidare la mia carriera come mi sarebbe servito. Oggi ho consapevolezza di quello che so fare.
Credo che l’esperienza teatrale abbia significato molto per la mia crescita professionale, non è facile il passaggio dalla musica come cantautrice al teatro come interprete. Il buon successo avuto in quel campo mi ha reso molto felice e ancora oggi ne vado fiera.
So che scrivi anche libri di cucina, come hai iniziato e cosa rappresenta per te?
E’ una cosa che mi appassiona. Credo che cucinare per la gente sia un modo di amare le persone, un modo di esprimere la propria creatività. Rappresenta una parte integrante della mia vita, ho iniziato a collezionare ricette quando avevo circa nove anni, ne ho veramente molte.
Stavamo pensando ad un modo per raccoglier fondi per i senzatetto e così pubblicammo il primo libro di raccolta di ricette, andò molto bene e così ho continuato a scrivere libri di questo genere.
Cosa suggeriresti ad un giovane che volesse intraprendere una carriera artistica?
La prima cosa che suggerirei è che dovrebbe cercare di essere sè stesso, senza cercare di somigliare a qualcun’altro. Scrivere una canzone o cantarla al meglio delle proprie capacità, conoscersi il più possibile e restare fedeli alla propria espressione artistica, non preoccupandosi di quello che qualcun’altro fa. Correre a proprio modo.

Cosa si prova ad esibirsi sul mitico palco della Grand Ole Opry?
Ti fa sentire sempre un po’ nervoso e reverente allo stesso tempo, in un certo senso ci si sente come quando si entra in chiesa. Da un’altro lato ti stimola a dare sempre il tuo meglio, pensando a tutte le meravigliose persone che si sono esibite su quel palco, è come trovarsi di fronte alla grandezza, cose e persone che rappresentano così tanto per un artista country, una sorta di Carnegye Hall della musica country. Sono sempre molto grata quando posso far parte di uno spettacolo in quel teatro.
Dai uno sguardo alla tua carriera fino ad oggi e come ti senti?
Sono orgogliosa di quello che ho fatto, non è stato facile, è stata una dura battaglia ma oggi sono felice. Considero la country music una forma d’arte, è quello che ho fatto per circa 45 anni, lavorando continuamente per migliorare le mie capacità vocali, la mia interpretazione, le mie canzoni.
Non è facile essere un buon cantante country, devi riuscire a far sentire al pubblico le sensazioni ed il significato delle parole della canzone. Oggi sono contenta di dove sono,non ho le potenzialità di una grande casa discografica ma posso permettermi di seguire liberamente il mio lavoro, di esibirmi dal vivo, di sperimentare i diversi generi musicali che mi piacciono.
Che progetti hai per il futuro?
Continuo a lavorare, a scrivere e preparare album per il futuro, nelle mie idee c’è una serie di altri dischi di musica ispirata agli Appalachi, uno di gospel music, uno di canzoni natalizie e uno di ninnananne, questi tre lavori, assieme ad Appalachian Blues dovrebbero formare un cofanetto.
Poi continuerò a viaggiare per i concerti con la mia band e vediamo cosa succederà, che seguito avrò dal mio pubblico.

Roberto Galbiati, fonte Country Store n. 64, 2002

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