Woodstock, NY 1968: nella tenuta agricola di Max Yasgur quasi mezzo milione di giovani assisteva al più importante raduno musicale di questo secolo.
“3 giorni di pace, musica e amore” diceva lo slogan del Festival, illustrato graficamente da una colomba bianca dolcemente posata sulla paletta di una chitarra.
E così fu.
Un’oculata gestione del ‘merchandising’ fece sì che questo irripetibile avvenimento potesse avere una eco mondiale. Il film, i due album ‘live’, magliette, posters, adesivi, diedero enorme popolarità alla ‘Woodstock Nation’ come a nessun altro evento musicale prima di allora.
Ad eccezione di 4 o 5 superstars a cui il Festival non aggiunse nulla, vedi Hendrix, la Baez, gli Who, ecc, tutti i partecipanti, chi più chi meno, furono di colpo proiettati nell’Olimpo delle ‘rock stars’ internazionali. Tra questi, un trio (volutamente escludiamo Neil Young che fu sempre a nostro avviso un corpo estraneo al nucleo originale) colpì particolarmente l’opinione pubblica. Nell’epopea della musica rock, elettrica, violenta, Crosby, Stills & Nash si imposero presentandosi (per la loro seconda ‘gig’ ufficiale) su un palcoscenico grande come un campo di calcio, con alle spalle montagne di amplificatori ‘Marshall’, armati soltanto di una chitarra ‘Martin pre-war’ e di tre incredibili voci.
Crosby, Stills & Nash: un nome che per parecchi di noi ha avuto, ed in molti casi ha tuttora, un preciso significato. Un gruppo che, pur non ottenendo per lo meno in Europa un gigantesco successo di pubblico, è stato amato da chi lo ha amato, in un modo così intenso che forse solo i Beatles hanno potuto vantare. Un gruppo che in America ha avuto un impatto enorme sui giovani dei primi anni ’70 perché, al di là della magia della propria musica, offriva testi attuali e ‘politicamente’ impegnati a riflettere le inquietitudini e le contraddizioni della generazione della guerra del Vietnam. Solo Bob Dylan ebbe probabilmente una attrazione ed una forza d’urto superiori in tal senso.
In Europa, e soprattutto in Italia per ovvie difficoltà linguistiche, essi furono apprezzati per la loro ‘diversità’ ed originalità musicale. La dolcezza delle loro composizioni e la perfezione dei loro vocals li hanno resi praticamente inimitabili. Con Stills che alla forte componente ritmica univa indiscutibili capacità chitarristiche, con Graham Nash che dava l’inconfondibile tono alle armonie vocali e con la incredibile creatività musicale di David Crosby, formarono un sodalizio dai risultati assolutamente unici.
Ma al di là delle loro ‘superiori’ qualità musicali, essi hanno saputo dare un qualcosa in più a molti di noi. Hanno saputo mostrarci l’esistenza di un’altra musica, aprendo in non pochi casi, una nuova strada destinata alla scoperta di una dimensione acustica. Chi meglio di loro ha infatti saputo sintetizzare in un unico irripetibile ‘prodotto’ la dolcezza di una ballata di stampo folk con i ritmi e le sonorità raffinate di certa musica rock?
Sono pochi i personaggi che possono vantare di essere stati la porta d’accesso verso nuovi orizzonti musicali. Per questo non ci dobbiamo scandalizzare quando CS&N vengono definiti ‘country’ o ‘country-rock’ o peggio ancora ‘bluegrass’, anche se nulla essi hanno a che vedere con i citati generi musicali.
Ma, quanti di noi hanno comperato un disco della Country Gazette perché vi suonava Byron Berline che era il violinista dei Manassas di Stills, o perché facevano Teach Your Children di Nash? Oppure un disco dei Kentucky Colonels perché l’indimenticabile Clarence White suonava la chitarra con i Byrds di Crosby e McGuinn?
E quanti altri gruppi, artisti, filoni musicali abbiamo conosciuto alla ricerca di quelle limpide atmosfere che CS&N non erano ad un certo punto più in grado di darci?
Alla musica folk e acustica ci si arriva spesso partendo dal rock e seguendo i percorsi più disparati. E’ innegabile, però, che nella maggior parte dei casi, esistono passaggi obbligati rappresentati da ‘personaggi filtro’ quali appunto CS&N, Dylan, Byrds, Joan Baez, James Taylor, Nitty Gritty Dirt Band, Fairport Convention, Steeleye Span, Stivell, Musicanova ecc.
Personaggi, chi più chi meno, con una matrice folk ma con un impatto sonoro, una facilità d’ascolto ed una immediatezza tipiche del rock. Personaggi che non hanno mai mistificato la loro musica spacciandola per musica tradizionale, ma che in fondo hanno avuto un ruolo importante, anche se spesso inconscio, nella diffusione del folk. Non è certo questa la loro peculiarità primaria. Sarebbe sicuramente sminuente per loro stessi e per la loro musica. Ma è senz’altro un aspetto interessante che merita di essere sottolineato.
Così anche per CS&N, all’indomani della loro prima apparizione in Italia, nel Giugno scorso.
Ultraquarantenni, molti capelli in meno, troppi chili in più: di loro i maggiori quotidiani hanno scritto tutto o quasi.
Accompagnati da una band tutt’altro che eccezionale e da tecnici del suono che non sono riusciti a debellare l’‘anti-acustica’ del Palasport di Milano, una enorme ‘patatina fritta’ più adatta alle prodezze di McEnroe che non a quelle dei nostri ‘eroi’, essi hanno saputo trasportare più di 30.000 milanesi sulle ali della nostalgia. E anche se per 3/4 lo spettacolo è stato elettrico, con arrangiamenti dei loro hits che hanno suscitato qualche perplessità, sono stati sufficienti i 20 minuti di musica acustica per farci ricordare perché li abbiamo tanto amati.
La forma non è più forse quella di una volta, ma “la classe non è acqua” come diceva, parafrasando il gergo sportivo, un nostro amico visibilmente ‘gasato’ a fine concerto.
E noi, anche a costo di peccare per troppo romanticismo, non abbiamo saputo dargli torto.
Ezio Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 3, 1983