David Messengill

Dietro la specchio c’è un regno segreto, dove ‘il leone giace con l’agnello’ e gli unicorni pascolano indisturbati. Tra ‘ShangriLa e Broceliande’, in vista del ‘paese che non c’è’. Qui abbiamo lasciato in deposito il nostro sogno di mutare il mondo, di renderlo meno ingiusto. Se conoscete la chiave d’accesso, il ben dissimulato passaggio, vi troverete anche le fiabe metropolitane di David Massengill,il più delicato dei poeti che girano in New York City.

Il suo magico dulcimer e la sua voce vellutata vi racconteranno storie favolose, come avrebbe potuto farlo Shahrazad. Non racconti di tappeti volanti o di tesori nascosti nelle montagne, ma storie prese dalla strada popolata di clochards, lavapiatti messicani, fuggitivi che lasciano un manicomio o un penitenziario, ciechi ed orfani, uomini di colore braccati dal K.K.K.. David Massengill è il cantore degli ultimi, dei diseredati di cui egli stesso ha talvolta condiviso ristrettezze e avversità. Ma le sue magiche ballate hanno la grazia, la dolcezza dei disegni che adornano le copertine dei suoi dischi. Appena amare, sono riscaldate da un pensoso ottimismo, dalla costante fiducia che l’uomo possa prevalere sul bruto.
La musica che proviene dal dulcimer, prevalentemente, o dalla chitarra, possiede all’interno della canzone d’autore americana, una suggestione particolare, un messaggio di toccante profondità, tradotto dai timbri caldi di una voce di indiscutibile fascinazione.

David proviene dal Tennessee, Bristol, per l’esattezza. Ma il Village e New York sono i suoi genitori adottivi. Qui egli ha ‘fatto gavetta’, industriandosi in lavori umili per guadagnarsi la vita e approdando al circolo di Jack Hardy e della rivista Fast Folk. Non gli è stato facile riuscire ad incidere dischi, un traguardo raggiunto soltanto nel 1992. Prima di quella data solo esibizioni nei ‘café’, contributi alle uscite di Fast Folk, le prime serate al Folk City.
Poi appare a Newport, alla Carnegie Hall, al Kennedy Center, frequenta la crema del cantautorato ‘east coast’, scrive decine di canzoni fra il 1980 e il 1987, partecipa al disco della Stash The Songwriter Exchange con il cenacolo del Cornelia Street Cafè, ovvero personaggi come Rod MacDonald, Lucy Kaplansky, Michael Fracasso, Cliff Eberhardt… Su questo eccelso LP ristampato in CD nel 1990, David appare con 4 songs: Contrary Mary, Mild Mannered Schizophrenic, Massengill’s Theory Of Devolution e il capolavoro Fairfax County al cui fascino non saprà resistere Joan Baez. La Windham Hill gli fa registrare sulla raccolta Legacy l’indimenticabile My Name Joe.

La critica lo esalta e le sue struggenti ballate volano sulle frequenze radiofoniche. E’ un coro di consensi da parte delle maggiori testate musicali americane, da Rolling Stone a Sing Out!. La sua arte squisita, quel suo sapersi proporre sorridente e ammaliante, mettono d’accordo tutti. Viene eletto Best Folk Act nei New York Music Awards nel 1987, 1988 e 1989, vince il Festival Folk di Kerville nel 1989. Ma ciò non basta, evidentemente, a incidere e David realizza, autoproducendosi, un paio di cassette, molto ben registrate e contenenti brani che saranno ripresi nei dischi futuri e altri mai più riascoltati.
The Kitchen Tape risale al 1987 ed è inciso nella cucina domestica con dulcimer, chitarra, armonica e occasionali rumori di strada.

In questo già catturante lavoro si manifesta una forte influenza proveniente dal maestro Jack Hardy e, molto più che in embrione, la caratteristica vibrante e appassionata dei ‘contes’ di David. I brani più avvincenti potrebbero essere la deliziosa Untitled, destinata a diventare Perfect Love, la splendida ballata sulla scia di Guthrie Sierra Bianca Massacre, la delicata These Friends Of Mine e primo pezzo con il dulcimer appalachiano, la pulsante Hatfield’s Revenge, proveniente dal passato e in pieno stile Massengill.

Anche Our Lady Of Shinbone Alley, un madrigale di evanescente bellezza e l’accorata Miguel contribuiscono a rendere questo demo casalingo una gemma da ricercare. La quasi coeva cassetta, datata 1986, The Great American Bootleg Tape, è un’ulteriore prova del prodigioso talento di Massengill. 0norata da lusinghiere recensioni anche in Italia, essa vede al fianco di David i nomi di Jack Hardy, Tom Intondi, Lucy Kaplansky, Shawn Colvin, Joan Baez …
Contiene le songs più conturbanti del poeta: Number one in America, On The Road To Fairfax County, Contrary Mary, Whats Wrong With The Man Upstairs?, The Great American Dream, Blindman-blackswan, brani che fortunatamente verranno riproposti sui CD prossimi a venire. Le sole Nothing e Down Derry Down, entrambe uscite per i tipi di Fast Folk, decisamente toccanti, non saranno, purtroppo, più recuperate.

Il 1992 è l’anno di consacrazione discografica per il più che trentenne David Massengill, un’artista che più di altri può lamentare l’assurda sproporzione fra il valore delle proprie creazioni e la loro diffusione commerciale. La stella luminosa di Coming Up For Air viene prontamente segnalata anche da noi e rinforza pur in ambiti ristrettissimi il culto di David Massengill, un folksinger a cuore aperto, personalissimo, la cui scrittura così originale e commovente catturerà i soliti quattro gatti per un breve tour in Italia. Il disco così a lungo sedimentato, non può essere che perfetto, intriso di una grazia, di un tono fiabesco che sa davvero incantare. La produzione di Steve Addabbo che presenzia anche in veste di musicista, conquista un risultato che supera le più rosee aspettative. Il dulcimer invade tutti gli spazi con la sua sonorità da leggenda antica.
My Name Joe è l’apologià degli immigrati in America, costretti alla semi-clandestinità, inseguiti dall’Ufficio Immigrazione. David canta con il piglio di un romantico tabulatore l’ode dei reietti, il destreggiarsi della loro vita precaria. On The Road To Fairfax County é il pezzo di bravura, l’emblema fulgido della nuova folk song. Una fairy-tale sulla vittima che si innamora del suo rapinatore e lo segue fino a quando non sarà impiccato sotto l’albero dove facevano l’amore. Talmente bella e in sintonia con la tradizione, da proseguirne, in tutta naturalezza, il millenario corso.

Number One In America, anch’essa vale la sua fama. Una narrazione soavissima attorno a una storia di ‘freedom riders’, ovvero di incapucciati irriducibili nemici della gente di colore. Il loro tentativo di marciare nel Tennessee e di far bruciare sinistre croci, racconta David, fallì miseramente ed essi furono ricacciati donde venivano. Fra le più coinvolgenti delle sue canzoni. In Corning Up For Air si narrano con il consueto piglio favolistico le sfortunate vicissitudini di un evaso, Don Quixote’s Lullaby, è una commossa dichiarazione d’amore all’indimenticato leader della controcultura Abbie Hoffman. “Chi continuerà, chi canterà la canzone della libertà?… me ne andai per cambiare il mondo e quando tornai il mondo era rimasto uguale…”.
Like A Big Wheel (You Make Me Feel) è un country folk veloce ed orecchiabile, Where Has My True Love Gone? un canto di maggio intonato davanti alla fonte della giovinezza. A Notable Social Event (The Debutante’s Ball), il racconto declamato e cantato del primo ballo di una diciottenne alla fine dell’800. Concludono il disco Contrary Mary, mai tanta grazia e candore nel songwriting americano e la leggiadra It’s Beautiful World, un ironico ‘Hellzapoppin’ dove girano tutti i cattivi della storia, da Jack lo Squartatore a Lady Macbeth, da Vlad Dracul a Caligola.

I testi di Massengill, specie in quest’ultimo pezzo, ricordano la scrittura dissennata ma allettante del Dylan dell’età di mezzo.
Da questo folgorante esordio all’attesa replica passano tre anni. Nell’autunno ’95, trasferitosi dall’etichetta Flying Fish alla Plump, David ritorna con un lavoro assolutamente maturo, nitido, invitante in ogni suo angolo. Ancora Addabbo, le voci gentili delle Roches e Suzanne Vega, fra gli altri, arricchiscono il materiale raccolto di rare fragranze. Riaffiora qualche pezzo dal passato come la pulsante Blindman/Black Swan, un recupero che andava fatto possedendo questa ballad una drammatica forza inferiore. 0 come il canto di ninfe di Perfect Love, composta molto tempo prima, la sarcastica Sightseer, la carezzevole Madou, tenuamente spirituale. Anche What’s Wrong With The Man Upstairs non é completamente inedita. Ci avvolge e trafigge con il pathos della sua melodia.

Da tempo David non assomiglia più a nessuno dei suoi modelli. Canta con un trasporto, con una fresca comunicatività che lascia basiti. Il dulcimer lo segue docile, effondendo note che certo provengono dall’altra parte dello specchio. Ancora, i capolavori di questo ultimo disco si fanno riascoltare. La lunga, stupenda The Return, i cui significati biblici passano in secondo piano, inondati come sono dalla soavità melodica.

La ballad più affascinante mai scritta da Massengill? Appena inferiore l’iniziale Rider On A Orphan Train struggente ed epica come una delle più commoventi ‘train song’ mai ascoltate. Di straordinaria intensità anche l’apologo Jesus, The Fugitive Prince, un elogio della follia nel quale dulcimer e voce sembrano scivolare nell’acqua.
Sempre molto interessanti pure la semplice e fluttuante Wake Up, la semielettrica Fireball’s  Last Ride. Dai fasti del passato scaturisce anche The Great American Dream, una canzone di affettuosa solidarietà per i ‘dropouts’. E’ l’emblema del mondo di David Massengill, con la sua dolorosa galleria di disperati che aprono una valigia di sogni.
Potremmo definire David Massengill come il più mistico fra gli autori laici. La sua ci sembra una religiosità senza confini, di entusiasmo quasi francescano. Il suo mondo poetico abbraccia tutte le creature, le risolleva dalla loro condizione, restituisce ad esse una dignità, come in un nuovo Cantico delle Creature.

Tutto sembra in armonia, compreso il Male con il suo carico di sofferenza e di esclusioni, come se fosse la condizione per un riscatto definitivo, il prezzo di emancipazione da una realtà superabile. Questo afflato, questa sorridente condivisione con i suoi simili, David ha saputo tradurre in una lingua musicale che sa sciogliere ogni ostacolo. Una voce da mago benefico, quel dulcimer prestato dagli angeli, sono promesse a cui si vuole credere. La sua grande arte e, modestamente, questo mio pezzo di ammirazione per lui, potrebbero essere dedicati a coloro che credono ancora che la bacinella del barbiere sia l’elmo di Mambrino e i mulini a vento i pericolosi mostri che ci attorniano e che non ci stancheremo d’abbattere. Come Abbie Hoffman. Avanti Sancho, avanti…

Francesco Caltagirone, fonte Out Of Time n. 15, 1996

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