Debbie Davis – Picture This cover album

Fa sempre un certo effetto scoprire l’esistenza d’una rappresentante del gentil sesso dotata di grande talento grinta e determinazione. E’ il caso di Debbie Davies. Una rarità dato che a tutt’oggi le donne bianche appassionate delle dodici battute è possibile contarle sulle dita d’una mano. Del resto, la più famosa, Bonnie Raitt, è da tempo avviata verso una forma di pop-blues annacquato, seppur di valore. La Davies, al contrario, con quest’album d’esordio, battezzato Picture This, scopre subito le carte in tavola senza bluffare, mettendo in mostra classe e carattere, dato che la blueswoman deve averne da vendere se è vero che per ben tre anni Albert Collins l’ha voluta come lead guitar nelle file dei suoi lcebreakers.
Chi ha assistito alle loro esibizioni narra di duelli al fulmicotone tra la leggendaria chitarra del leader e quella prontissima e tagliente come un rasoio di Debbie, il cui stile è debitore tanto del Texas-style, caro a Winter e Vaughn, che dell’immortale Chicago blues. La sua è una tecnica d’alta scuola con fraseggi brucianti intrisi di feeling superlativo.

Picture This è caratterizzato da una compattezza invidiabile in cui nulla viene concesso alla ruffianeria: sicuramente una grande dimostrazione di coerenza stilistica. Oltre alla leader, l’affiatatissima band annovera Kevin Zuffi al piano e Hammond, Kevin Hayes alla batteria, Karl Sevareid al basso, più i Miami Horns ai fiati. Tra gli originals e le covers spiccano Don’t Take Advantage On Me, un hard blues portato alla notorietà da Johnny Winter, Sidetracked e San-ho-zay, due blues di Freddie King, e, soprattutto, I Wonder Why, che vede la presenza del prode Albert Collins, il loro duetto è vitaminico, si ricrea quell’atmosfera dei concerti live.
L’unico appunto va alla voce, che non graffia come dovrebbe, e ad alcune cadute di tono compositive, non particolarmente originali. Ad ogni buon conto, ci troviamo in presenza di oltre cinquanta minuti di sano e benefico urban blues.

Demon CD 732 (Blues, 1993)

Enzo Pavoni, fonte Out Of Time n. 1, 1993

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