Deep in the heart of Texas

Da un po’ di tempo si respira una certa aria di revival in quel del Lone Star State. Tanto per fare un nome, il grande Hank Thompson ha recentemente realizzato un album piuttosto interessante di duetti ed è ora la volta di Johnny Bush, il nostro ‘country Caruso’, com’era stato soprannominato all’inizio della sua carriera, grazie all’impostazione particolarmente curata della voce.
Con oltre una quindicina di albums all’attivo nell’arco di trent’anni ed alcuni brani che hanno segnato l’evoluzione del Texas country, quali il classico Whiskey River – reso immortale dalla interpretazione di Willie Nelson, suo compagno di palco agli albori dei tempi – Johnny Bush non aveva più inciso a suo nome dal 1994, quando uscì quel gioiellino intitolato Time Changes Everythtng.
Negli ultimi due anni il suo nome ha ricominciato a fare capolino in alcuni CD del filone country gestito (fortunatamente) dalle gloriose indies. E’ così che Johnny collabora con la Cornell Hurd Band (Cool And Unusual Punishment e Texas Fruit Shack), con il Tedesco-trapiantato-in-Texas Hermann Lammers-Meyer (Last Country Song) e con il mio beniamino Dale Watson nel duetto di That’s What I Like About Texas sull’ottimo CD Blessed Or Damned.
Il 1997 porta poi la riunione dei redivivi Offenders (sono presenti in questo come-back CD, manca solo Willie) ed il relativo reunion album su Bear Family Records.
Logico prosieguo è dunque il dischetto che stringo affettuosamente fra le mani. Niente di nuovo sotto il sole: gli ingredienti che hanno mietuto consensi intorno al nome di Johnny Bush in passato, sono gli stessi che renderanno appetibile anche questo disco. Coloro che invece pensano di trovare elementi innovatori in questo album (magari fuorviati dall’assurdo codino che Johnny sfoggia sull’interno del booklet) resteranno amaramente delusi, quindi rivolgiamoci a coloro che, a questo punto della recensione, sono propensi all’acquisto, che peraltro io consiglio caldamente.

Oltre quarantuno minuti di puro ed autentico Texas country, eseguito con abbondanza di fiddle (Ernie Reed, John Schattenberg e Ron Knuth) e steel (Jimmy Day e Herb Steiner) ripartiti fra ben tredici brani, fra i quali ricordiamo Neon Nightmare, la traccia senz’altro più immediata ed accattivante fin dal primo ascolto, la cover della sempreverde A Moment Isn’t Very Long, a firma Willie Nelson (Johnny Bush è stato uno dei primi esecutori a credere fermamente nel talento compositivo di Willie e ad incidere i suoi brani, tanto da comprendere questo pezzo nel suo esordio del 1968 intitolato The Sound Of A Heartache) e l’iniziale Please Talk To My Heart, compresa da Ray Price nel suo lontano Love Life del 1964. Entrambi i pezzi sono grandi esempi di Texas shuffle, genere nel quale Johnny Bush ha sempre eccelso, musica ottima per ballare sulle piste di legno grezzo, coperte da segatura, secondo la migliore tradizione delle dance-halls del Sudovest americano.
Tutto il resto del materiale è rappresentato da inediti, con apporti compositivi di personaggi noti (Clay Blaker, Sanger D. Shafer, Joey Gracey e lo stesso Johnny Bush) e meno noti, ma il filone non cambia: grandi ballate cadenzate su languidi oppure vivaci up-tempo in stile honky-tonk e shuffle, appunto.
Da segnalare ancora la presenza nel disco di alcuni nomi importanti nell’economia del country texano: Michael Ballew (voce corista e chitarra acustica), Floyd Domino (pianoforte), Pete Wade (basso elettrico) e Kimmie Rhodes alla voce corista.
Serve altro?

Johnny Bush – Discografìa (antologie escluse):
The Sound Of A Heartache, Stop 10002 – LP – 1968
Undo The Right, Stop STLP 10005 – LP – 1968
You Gave Me A Mountain, Stop STLP 10008 – LP – 1969
Bush Country, Stop STLP 10014 – LP – 1970
Here’s Johnny Bush, Starday SLP475 – LP – 1972
Whiskey River/There Stands The Glass, RCA LSP 4817 – LP – 1973
Here Comes The World Again, RCA APL 10216 – LP – 1973
Texas Dance Hall Girl, RCA APL 10369 – LP – 1973
-Live At Dancetown USA, Whiskey River 8024 – 2LP (accreditato a Johnny Bush & Bandoleros)
Whiskey River, Delta DLP1004 – LP – 1980
Live From Texas, Delta DLP 1 135 – LP – 1981
Together Again -With Willie Nelson, Delta DLP 1 139 – LP – 1982
I Can Feel Him Touching You, Delta DLP 1 147 – LP – 1983
Time Changes Everything, Texas Legend TCE194 – CD – 1994 (accre­ditato a Johnny Bush & Bandoleros)
Talk To My Heart, Watermelon WMCD1069 – CD – 1998

Abbiamo accennato più sopra in questo stesso articolo ad una compagine che solo ora, dopo alcuni decenni di militanza sulle scene dell’alternative-country texano, sta facendo parlare – a buona ragione – di sé: la Cornell Hurd Band. Eredi ideali di quel sound prettamente texano che sa di honky-tonks fumosi, di birra, di fiddles e di steel guitars (perdonatemi la dovizia di luoghi comuni), questi ragazzi hanno cominciato a farsi conoscere anche su questo lato dell’oceano da quando hanno realizzato il loro primo album in CD, Honky-Tonk Mayhem del 1994 (molti altri lo avevano preceduto prima su cassetta, poi su LP – il tutto è comunque introvabile, quindi mettetevi il cuore in pace…).
Questo Texas Fruit Shack è un album davvero superlativo. E’ vero ciò che scrive il nostro Maurizio Faulisi a proposito del fatto che “se tutto è mitico, eccezionale e fantastico, allora niente è più mitico, eccezionale e fantastico”, ma questo CD merita veramente le famose cinque stelle di valutazione.
Si parte con (Set ‘Em Up) I’m Afraid To Go Home, che lo stesso Cornell Hurd definisce come “straight-up honky tonk, Texas style”: uno shuffle da sogno, con abbondanza di fìddles, steel guitars (Lucky Oceans ex-Asleep At The Wheel), lacrime e beveraggi vari ad alto tasso alcoolico.
Don’t Ever Take My Picture Down è terreno per le esibizioni tastieristlche dell’altro ex-Asleep At The Wheel Floyd Domino, membro onorario a vita della CHB. Un western-swing boogie particolarmente coinvolgente, che viaggia a mille sul cantato ammiccante di Cornell Hurd.: altro grande centro.

Heaven, Hell Or Houston reca la firma di Hugh X. Lewis e la conoscevamo ed apprezzavamo già in altre versioni: quella di Bob Wills & His Texas Playboys su tutte. Grande western-swing dominato dalla solista elettrica, con un testo che non potrebbe essere più celebrativo delle bellezze texane.
Il title-track Texas Fruit Shack altro non è se non un piacevole divertimento ritmato, che si snoda sullo scherzo ordito dallo stesso Cornell Hurd ai danni degli altri membri della band circa il luogo della loro esibizione serale: un malandato, diroccato e cadente chiosco per la vendita di frutta ai bordi di una polverosa strada “in the middle of nowhere”.
My Missing Years ha una partenza di chitarra acustica decisamente messicaneggiante e basta questo a conquistare il sottoscritto. Il prosieguo è comunque molto ‘caliente’ e coinvolgente.
Si riaprono le danze con lo shuffle veloce di I Don’t Want To Love Anyone This Much Again, con una chitarra molto ‘twangy’ ed un feeling davvero irresistibile.
Those Mind-Breakin’ Blues è firmata da Johnny Bush e ne vede (finalmente) la prima performance vocale su questo CD, in duetto con Cornell. Un altro pezzo di alta scuola texana.
I’m Not Crazy Yet è ripresa dal repertorio di Ray Price, ha il profumo del passato e vede ancora i due cantanti succitati dividere il microfono con risultati notevoli, senza menzionare il chitarrone elettrico che riempie gli intervalli del cantato.
Jethro è una out-take dall’album di Johnny Bush Whiskey River (RCA – 1973). A suo tempo, il produttore Jerry Kennedy aveva sconsigliato Johnny circa l’opportunità di inserirla nel disco, ma il brano era stato poi inciso con successo da Tom T. Hall; è così che oggi rivede la luce con lo stesso Johnny Bush nel ruolo di lead vocalist.

Tearin’ Up A Yardbird era stata originariamente composta per Don Walser, noto western yodeler attualmente sotto contratto con la Watermelon, ma la versione che ci regala la Cornell Hurd Band è davvero pregevolissima e trascinante, con quell’instancabile lavoro di steel guitar ed il drumming preciso a tenere il tempo.
Uno zampettante e pimpante tempo country & western ci introduce a It’s Time To Fade Away, Wanda Jane, una delle tante canzoni ispirate a Cornell Hurd dal suo primo matrimonio. Pregevole il lavoro di Paul Skelton all’elettrica solista.
Talk About Me è l’ennesimo Mexican shuffle. Tratta dal repertorio di Johnny Paycheck (ex-membro dei Cherokee Cowboys, la band di Ray Price che aveva annoverato fra le sue fila lo stesso Johnny Bush), si snoda lenta e sinuosa come una ballerina dalla pelle ambrata, mentre sorseggiate la vostra tequila ed addentate vogliosi… l’immancabile fettina di limone.
I’m A Linda-Holic riporta Johnny Bush sugli scudi come voce solista, a duettare con Cornell Hurd. Tipica honky-tonk song, narra dei vezzi della Linda di turno e di come ella tenga soggiogati i suoi cavalieri. Una song particolarmente gradita a Johnny Bush, che ha sposato la sua Linda.
It Wouldn’t Be Hell Without You è un prodotto della collaborazione fra Kim Butler, Cornell Hurd e – indovinate un po’ – Wayne ‘the train’ Hancock, talento emergente dell’alternative country music, mentre Along The Navajo Trail, classico della tradizione western, è eseguita da Cody Nicolas, il cowboy della band.

Ancora escursioni in territorio classico per Detour e Good Rockin’ Tonight, per concludere alla grandissima con la Mexican-oriented I Got Your Stinkin’ Beguine Right Here, con partenza strettamente strumentale, ma senza alcuna pretesa di serietà nel ritornello cantato: l’ennesima occasione per ridere di se stessi, secondo il vecchio adagio in base al quale “l’auto-ironia è molto più salutare, in quanto ci salva da quella degli altri, che sarebbe certo più pungente”.

Se riuscite ad immaginare un dolce arpeggio di chitarra acustica che supporta un’armonica solista che intona il finale del ritornello di Blowin’ In The Wind nota per nota, avete un’idea molto precisa dell’inizio del CD di Russ Bartlett intitolato One Hand On The Plow (Republic of Texas Records RTR 9601). Di lui il grande e compianto Townes Van Zandt aveva detto: “Canzoni eccezionalmente valide: vorrei averle scritte io”. Questa stessa citazione appare sul retro del suddetto CD, esordio del nostro illustre sconosciuto texano. Voce dimessa, ma dolce, accompagnamento discreto a base di chitarra acustica ed armonica, di volta in volta affiancate da piano, steel guitar, fìddle, basso e batteria, il tutto fuso in una sapiente miscela che predispone l’ascoltatore a calarsi nel panorama fatto di spazi aperti e profumo di Sud (Dixie) rurale.
Pescando a caso nel mucchio, l’iniziale title-track già ci fornisce un’idea precisa dello spessore artistico di Russ, con quel suo incedere ingenuamente country-folk, pur pregno di dignità campagnola. Che dire poi dello scanzonato country blues di Torn, con un’armonica irriverente che rincorre la voce?
Di impostazione più classica risulta invece la seguente You’re Not Alone, per certi versi avvicinabile allo stile di Jackson Browne, con il pianoforte ad affiancare la voce, con la steel guitar a contrappuntare un parco, ma sapiente lavoro di basso ed il fiddle che cuce il tessuto globale della melodia.

Per Castilia Wind l’intro è quanto di più agreste si riesca ad immaginare, con grilli e cicale a frinire in sottofondo. Lo sviluppo si orienta poi ad un arrangiamento leggermente più composito, con uso di basso e di un timido banjo.
Omaggio alla country music più lineare per Pain In The Behind dove lasciamo a voi l’arduo compito di decidere se il termine ‘behind’ deve essere inteso nell’accezione temporale o corporale. Nei suoi scarsi 40′, questo CD si fa amare per la sua sincerità ed onestà, per il rifiuto di qualsiasi compromesso commerciale atto a migliorarne la vendibilità: inciso da chi ha creato la musica più per se stesso e per un pugno di amici sinceri, che per farci i soldi.
Contattate Russ ed incoraggiatelo a non mollare. Non diventerà mai ricco con questa musica, ma arricchirà chiunque voglia aprirgli cuore ed orecchie. Noi lo abbiamo già fatto.

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 42, 1998

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