Deep in the heart of Texas

Siamo alle solite: la nostra insana, insaziabile e libidinosa passione ci ha nuovamente portati a scoprire un nome nuovo – per noi, almeno – nel panorama apparentemente inesauribile del cantautorato del Texas. Grazie agli amici Christian e Luca siamo venuti a conoscenza di un certo – e totalmente sconosciuto – Pat Green, che opera in quel del Lone Star State.
Alcune pazienti ricerche hanno finalmente dato i frutti sperati ed ecco che siamo in possesso di un paio di CD che faranno sicuramente la gioia di chi condivide il nostro amore per certi prodotti artistici prettamente texani.
Poiché di Pat Green non siamo in possesso di alcun dato anagrafico o biografico, l’analisi si limiterà necessariamente agli aspetti artistici dei due prodotti di cui sopra, rispettivamente Dancehall Dreamer del 1995 e George’s Bar del 1997.
Già il fatto che l’esordiente Pat Green si conceda il lusso di farsi compilare le note di copertina del suo primo album addirittura da Chris Wall – che ne tesse le lodi – rappresenta un biglietto da visita che equivale ad una notevole dose di credibilità e comunque di credito nei confronti di chiunque.
Un’occhiata ai titoli del retro del CD – dove fa bella mostra di sé una foto senza dubbio accattivante – che rispondono ai nomi di I Like Texas (non male…), West Texas Holiday (oh, però…), Dancehall Dreamer (di bene in meglio…) o One For The Road ed il gioco era fatto: Pat Green ci aveva già dalla sua parte.

Ora si trattava solo di ascoltare il contenuto del CD e la sorpresa non avrebbe potuto essere migliore. E’ lapalissiano fino dal primo ascolto che Pat si rifá decisamente a Guy Clark ed a Jerry Jeff Walker, sia in termini compositivi che interpretativi; l’iniziale, indiavolata ed ammiccante Here We Go (sorta di biglietto da visita autobiografico del nostro) ci riporta a sonorità care alle nostre orecchie fino dalla metà degli anni ’70, con citazioni per Willie Nelson e Merle Haggard e con una steel-guitar che si anima sotto le esperte dita di Lloyd Maines – trova anche il tempo di produrre l’album – mentre il violino brilla di luce propria in mano a Gene Elders: grande partenza!
Down To The River ha una cadenza dettata dalla nuda batteria, che vedrei bene riproposta dal vecchio Waylon, magari un poco rallentata. Interessante anche la performance alla chitarra acustica.
Un altro punto di forza dell’intero album risulta la song-manifesto dal titolo I Like Texas, che ci ricorda la gradevolissima Rita Ballou, partorita dalla penna di Guy Clark. Dettata dall’amore per il proprio stato – particolarmente sentito in ambito texano – il brano si sviluppa sui canoni di uno swingato honky-tonk davvero irresistibile.
Più autobiografica e contemplativa Dancehall Dreamer, la ballata che da il titolo al disco, scandita dalla chitarra ritmica e dalla batteria che da il tempo, mentre il fiddle ricama dolcemente in sottofondo e Natalie Maines (componente del numerosissimo clan dei Maines) e Jane Begley si fanno sentire nel ritornello.
E’ poi la volta di una tipica ‘drinkin’ song’, opportunamente intitolata The Bottle. Aiutano il nostro con sapienti interventi vocali i più noti colleghi Jack Ingram e Chris Wall (che appare anche all’armonica nel brano Southbound 35).

Non staremo ad analizzare tutti e dodici i brani, tanto avete già capito di cosa si tratta (eppoi dove mettiamo il gusto della sorpresa?); diremo ancora soltanto che compare una versione interessante di Rain In Lafayette, scritta da Walt Wilkins e compresa nel suo lontano album intitolato Bull Creek Souvenir del 1993. Se poi doveste insistere, potremmo aggiungere una remake di Goin’ Down In Style a firma Robert Earl Keen Jr. e contenuta nel live del 1988. Nell’improbabile caso mancasse ancora qualcosa, diremo soltanto che il resto dei brani è a firma di Pat stesso, con un paio di contributi esterni. Il resto tocca a Voi, ma non rischiate davvero molto…
Trattandosi di un personaggio che si autoproduce e si autodistribuisce (più indie di così si muore…) è comprensibile come debbano passare un paio d’anni prima che Pat Green ritorni a noi con un nuovo CD.
George’s Bar si apre con una nuova composizione – inedita – di Walt Wilkins, che, da sola, dá una certa idea sul contenuto dell’album, certamente non dissìmile dal precedente. Il testo è riportato per intero – come per tutte le canzoni di entrambi i CD – ma il nome di Jerry Jeff Walker ha misteriosamente preso il posto di quello di Guy Clark, riportato nel booklet.
Fra gli altri episodi degni di nota, brillano una spigliata versione folkie di Snowin’ On Raton a firma Townes Van Zandt , arricchita dalla performance vocale della solita Natalie Maines e Trailer Park Tune, con l’armonica di Chris Wall e l’ennesima citazione del grande Willie (attenzione all’accenno di acustica solista nel suo inconfondibile tocco).
Ancora una volta tutto il resto dell’attività compositiva ricade sulle spalle di Pat.

Da segnalare, oltre alla partecipazione di Chris Wall, quelle del solito Lloyd Maines (chitarre, pedal e lap-steel, dobro e mandolino), Richard Bowden (fiddle, mandolino) e Cory Morrow, titolare di un interessante esordio solista dal tìtolo Man That I Have Been e dal suono fortemente ‘outlaw’.
Vale la pena di darsi da fare per trovare questi due CD. Ne esiste anche un terzo (live) intitolato Here We Go Again, ma lo stiamo ancora aspettando…

Dino Della Casa, fonte Country Store n. 46, 1999

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