Derailers

Da fuori non si direbbe che il club è già pieno. Forse l’occhio è ingannato dal fatto che, rara eccezione, il Continental non ha il parking lot. Spiccano comunque, all’angolo del piccolo isolato irregolare, le auto d’epoca dei Derailers e del loro seguito: tra le più notevoli, una Fleetwood mai vista prima, una Oldsmobile classica, una Cadillac cromatissima, ma sopratutto un pick up Chevy strepitoso, piatto, largo e aerodinamico con rifiniture quasi déco. Non sono tenuti benissimo, anzi, a prima vista hanno un aspetto un po’ sgangherato che ne denuncia un coerente uso quotidiano, ma certamente fanno la loro figura.
Il programma, stasera, oltre ai titolari, offre i Tearjoint Troubadors di Ted Roddy, una attualissima rivelazione (quante ce n’è qui, ogni anno!) della scena alternative country, una delle tante novità a cui è sempre consigliabile in quel di Austin accostarsi con curiosità. Sono già molto conosciuti al pubblico dei clubs del Central Texas, ma non hanno ancora pubblicato alcun disco, pur comparendo in posizione preminente con tre brani su una nuovissima interessante compilation intitolata The Edge Of Country, prodotta dalla Stockade Records, una delle tante etichette locali dell’area di Austin, in compagnia di altri nomi di ottimi emergenti di cui ci occuperemo prossimamente: Jeff Hughes And Chaparral, Roy Heinrich, Chris Miller, Susanna Van Tassel. Superconsigliato l’ascolto.

Pagato il cover di 8 dollari e subìta la timbratura di rito, mi immergo nella folla e subito la musica mi cattura. Buona la band di apertura con le coriste che non si limitano alle semplici harmonies, ma che si inseriscono nella ritmica con sprazzi di doowop, e l’armonica di Ted che, quando compare, introduce, in contrasto, qualche sonorità di blues. Nel repertorio le composizioni di Roddy, delle quali mi colpisce Tears On The Table, tipica ‘torch song’ con le lacrime che, cadendo sul tavolo, formano il nome di lei che se n’è andata (che volete, a me questi spezzacuore piacciono sempre tanto…), e anche sempreverdi come Pass Me By (If You’re Only Passing Through) e Crazy Arms.
Particolarmente azzeccata la cover di Hello Trouble della Desert Rose Band, leggermente riarrangiata con spazio in rilievo per i cori. Il pubblico risponde con calore e le coppie che ballano aumentano col passare del tempo. Riesco ad individuare facce già viste tra i ballerini: c’è un tale in jeans attillati e stivali, con i capelli rossi tagliati fin troppo uniformi (che sia un parrucchino?) che balla benissimo, composto ed elegante, con partners sempre diverse e mi diverto ad ipotizzare che sia un locale playboy o forse un ‘cubista’ del club; c’è anche una biondina dai movimenti molto sensuali ed una ragazzona alta, grande e grossa con occhiali, ampia gonna e stivali: entrambe volteggiano strenuamente e non perdono un passo.

Annunciati come la Top Austin’s Band, i Derailers salgono sul palco poco dopo mezzanotte tra ululati e fischi di benvenuto. Sono curioso di sentirli per la seconda volta perché un anno fa, al Broken Spoke, il loro concerto mi era sembrato piuttosto fiacco. Mi sforzo di pensare che là fosse richiesta una prestazione per un pubblico tradizionale augurandomi allo stesso tempo che al Continental i nostri facciano uno spettacolo adeguato ad una platea più alternativa. Per fortuna vengo immediatamente rassicurato. L’attacco è solido con le telecaster di Tony Villanueva e di Brian Hofeldt in grande evidenza in Come Back e She Left Me Cold i due brani più rockabilly oriented del loro repertorio. Penso che il compianto Carl Perkins si troverebbe a suo agio. Hofeldt è particolarmente grintoso nelle harmonies e nei fills di chitarra; nei solo si alterna con Marty Muse dei Troubadors rimasto sul palco a completare con la pedal steel la formazione titolare. Noto che al basso c’è sempre Vic Gerard, ex Two Hoots And A Hollers, alto, magro, discreto nel portamento ma certo non nel suo vestito di scena in rhine-stone, e cappello basso sugli occhi, e non Ethan Shaw, annunciato ufficialmente nelle note del nuovo disco, chissà forse una sostituzione provvisoria; alla batteria Terry Kirkendall, ultimo arrivo ma in evidente sintonia con gli altri sia nel suonare che nel look.

Ora il pubblico è aumentato ed il locale è pieno come si conviene per degli headliners e malgrado che i Derailers non centellinino certo le loro presenze settimanali sui palchi cittadini.
Il concerto si fa ancora più caldo mentre i nostri sfoderano i brani più conosciuti: 100% Pure Fool, Where Ya Been, I’m Your Man dal secondo CD Jackpot ed incalzano con i nuovi da Reverb Deluxe. Mi rimangono impresse la nuova California Angels e lo strumentale Ellen che mi ricorda la Nashville West dei Byrds di Gram Parsons. Seguono a ruota Soldier’s Joy, anch’essa in trascinante versione strumentale e Noone To Talk To But The Blues ancora da Reverb Deluxe. E “…speaking of blues…” ecco a questo punto una sorpresina: tra urla e schiamazzi d’approvazione (e da ore piccole) viene chiamato sul palco Doug Sahm, immancabile presenza nei locali cittadini ed instancabile protagonista della scena musicale di Austin nonché promotore di apprezzabili esperimenti di crossover tra i generi musicali. I suoi estimatori lo ricordano in particolare per i Texas Tornados e per quell’ottimo disco di blues registrato dal vivo all’Antone’s nel 1994 con una quindicina di grandi strumentisti della Stella Solitaria, disco dal titolo esplicativo, The Last Real Texas Blues Band (Antone’s, ANT-0036) che tutti dovrebbero conoscere e che (scusate la digressione) mi sembra giusto ricordare.

Insomma, il nostro si impadronisce di una chitarra e regala prima un omaggio al grande Lefty Frizzell (I Love You A Thousand Ways) ed uno a Charlie Pride (Is Anybody Going To San Antone), già da lui riproposto con i Texas Tornados. E’ incredibile il vecchio Doug: spalleggiato dai Derailers al completo e, nel secondo brano anche da Ted Roddy, riesce ad entusiasmare il pubblico con il solo calore della sua presenza, della sua esperienza e con la forza di canzoni che qui in Texas sono dei piccoli classici indimenticabili, semplici e diretti come solo la genuina country music sa essere per tutti.
E’ il momento più coinvolgente della serata, quello in cui la simbiosi tra pubblico e musicisti si completa e vorresti che il concerto durasse ancora chissà quanto. Quasi come se lo avvertissero, i Derailers riprendono con una sfilza di shuffles tra cui spicca la nuova Painful Days And Sleepless Nights. Un appello a ritrovarsi tutti domenica mattina nello stesso club per girare in presa diretta il video del nuovo brano Change Your Mind che viene proposto in anteprima ed è il gran finale, veloce, con versioni accelerate di This Big City e Jackpot.

Ora tutti sono sul dancefloor, compresa la camerierina che, lasciato momentaneamente il vassoio, viene fatta roteare senza pietà (ma lei sembra apprezzare) da un energumeno in versione semi-rockabilly che sembra padroneggiare qualsiasi tipo di ‘turn’ mentre il tipo col parrucchino (?), incurante del cambio di ritmo, conduce imperterrito l’ennesima partner con i passi del two-step, come ogni cowboy che si rispetti.
Alle due del mattino la serata è finita. Esco dal Continental normalmente stremato ed accaldato a guardare la lunga linea illuminata degli addobbi natalizi che segue il percorso dello stradone già oltre il fiume fino al Capitol.

Fabrizio Salmoni, fonte Country Store n. 41, 1998

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