Norman Blake

Su un altipiano alle porte del Rocky Mountains National Park, circondata da abeti e torrenti sorge Nederland, un ex villaggio minerario dall’aspetto ottocentesco tipicamente western.

Il Parco e gli sport invernali hanno fatto si che non diventasse una ‘ghost town’. E’ abitata soprattutto da ‘redneck hippies’, gente cordiale e amante della natura che ha ristrutturato le sue casette di legno rispettando lo stile tradizionale. Ma lo sci anche da queste parti è un arma a doppio taglio. Se solo diventasse un pò più di moda farebbe la fine di Aspen e Tellurìde, riempiendosi di condomini e skilifts.

In una delle sue stradine polverose c’è l’Acoustic Coffehouse, un minuscolo edifìcio di mattoni (forse l’unico) dove si mangiano torte caserecce e si ascolta string music di qualità stipati come sardine in due stanzette che conterranno 50 persone. Dalle pareti ti sorridono le foto di noti personaggi della scena acustica che si sono avvicendati sul microscopico palco: Grier, Crary, Sawtelle, Gambetta, O’Brien…. Fuori, sotto il portico, aspetto insieme ad altri che termini lo show delle sette e che inizi quello delle nove (son già le nove e mezzo). Comunque la porta è aperta per via del caldo record anche qui a 2.000 metri ed è quindi facile ascoltare senza vedere la fine del concerto in religioso silenzio.

Dopo un paio di bis il Nostro si ritira non si sa dove, esce il pubblico delle sette ed entra quello delle nove. Approfitto della pausa per assaggiare la torta di mele e presentarmi ai padroni (Steve e Katrine) che mi fanno festa e mi invitano alla jam di domenica. Alle dieci torna in pista Mr. Blake, magrissimo e volutamente demodè: camicia bianca, bretelle, pantaloni grigi ascellari, orologio a cipolla e sandali coi calzini.

Posso vantarmi di essere stato uno dei primi, in Italia, ad ascoltare i suoi dischi (dal ’77) e suonare i suoi pezzi, e trovarmi li a due metri mi emoziona non poco. Tra l’altro in America me lo sono perso per un soffio varie volte e di qua dall’Atlantico lui non viene mai perché ha paura di volare. A quanto mi risultala sua unica esibizione europea resta quella dell’isola di White nel ’69 con la band di Kristofferson.

Lo stile è sempre quello, pulito e dinamico nella sua prevedibilità, la sua mano destra fluida e decontratta, il cross-picking impeccabile. L’intenzione è lanciare il nuovo CD Chattanooga Sugar Baby evitando il più possibile di eseguire i classici che il pubblico continua a chiedere.Norman si fa perdonare prodigandosi in battute, scherzi su Doc Watson e imitazioni di Bill Monroe. Usa principalmente una chitarra (nuova! che strano!) costruita da John Arnold del Tennessee, poi una vecchia Gibson A2 con tastiera bianca in ‘mother-of-toilet-seat’, un banjo Gibson a sei corde dalla circonferenza mostruosa (suonato frailing e flatpicking) ed un mandolino Gibson A2. Durante l’intervallo riesco a farci due chiacchiere. Mi racconta che Nancy non suona più con lui da due anni, mi parla dei suoi strumenti.

La seconda parte è improntata sul ragtime fingerpicked, a dimostrare la voglia di dare una nuova immagine di sé, mentre continuano gli scherzi. Prima dei bis qualcuno gli chiede quale sarà la prossima data in zona e lui risponde che suonerà a Colorado Springs. Per far capire che lì non si sentirà a suo agio dice che sarà come ‘kickin’ ass for a one-legged man’ (vi lascio l’impegno della traduzione). Lo spettacolo si conclude con Going Back To The Blue Ridge Mountain dei Delmore Bros..

Norman Blake se ne va su una vecchia Cadillac ed io ritornerò la domenica pomeriggio per una scatenata jam session sotto il portico.

Fabio Ragghianti, fonte Country Store n. 44, 1998

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