Dom Flemons – Prospect Hill The American Songster Omnibus cover album

Con Prospect Hill: The American Songster Omnibus andiamo ad ascolti che portano indietro e conducono altrove… Dom Flemons non è certo nuovo a esplorazioni musicali annodate fra le radici della cultura americana. Durante le sue ‘ricognizioni’ tra i solchi della musica vernacolare ha attraversato molti paesaggi, si è soffermato in diversi luoghi, ha aperto vie dalle quali poter imboccare infinite direzioni.

In Prospect Hill: The American Songster Omnibus Dom Flemons riprende in mano argomenti come old time, piedmont blues, jazz, traditional country e tutti quegli stili pionieristici che hanno costruito l’impalcatura della musica americana. La sua esperienza come studioso, musicista e ricercatore propone una riflessione a più voci sul senso e sui possibili significati di quell’arte dei suoni che ha messo le radici in un’America dal terreno frastagliato e dal futuro a mille sfumature. Membro del programma Next Generation Artists della Music Maker Relief Foundation e del Consiglio di amministrazione, cantautore, polistrumentista, produttore e collezionista di dischi, Flemons è forse più conosciuto come fondatore dei Carolina Chocolate Drops nelle cui fila è rimasto dall’inizio del 2005 fino al 2013.

Prospect Hill The American Songster Omnibus rappresenta il settimo album da solista, in realtà una riedizione del suo terzo album, Prospect Hill, appunto, del 2014, più un secondo disco ulteriormente suddiviso in due parti, la prima delle quali dedicata alla Special Release uscita in occasione del Record Store Day del 2015, What Got Over (entrambi pubblicati da Music Maker).

Dietro all’ottima resa del mixaggio ci stanno le competenze di Jason Richmond (Avett Brothers, Joe Henry, Kate Mc Gerry…), che oltretutto presta la sua voce nel pezzo d’apertura. Abituato a lavorare con il jazz e la world music, Richmond sviluppa un suono “grande e pulito, come quello di una bebop band”. La produzione ha potuto contare su un ensemble di musicisti di talento, perfetti nel ravvivare gli stili delle string band afro-americane prebelliche ampliandone la gamma sonora.

Due gruppi: uno proveniente dalla scuola jazz ed un combo più piccolo al quale sono stati riservati pezzi con arrangiamenti minimali ma non per questo meno gustosi. I brani che si ripetono nel primo e nel secondo disco, difatti, vengono presentati da formazioni differenti: “lavorando con entrambi i gruppi di musicisti sulle registrazioni, ho scoperto che molte canzoni hanno assunto una forma completamente nuova”, afferma Flemons.

La strumentazione fa da specchio agli argomenti e arricchisce di quel brio vintage un sound old style mai morente: violino, banjo, chitarre ritmiche sempre spinte e sincopate, arpeggi in fingerstyle e voci che si intrecciano quasi a tessere i dialoghi di una commedia, fino ad attingere, in più occasioni, alla tradizione ‘Fife and Drums’, sia mantenendo l’idea originale del tempo di marcia, palesato ad esempio in Big Head Joe’s March, ma anche introdotta in versioni insolite come nel rap Grotto Beat, uno schiaffo sonoro a risvegliare suoni antichi.

Legami di cui si fanno testimoni diversi brani in tutto il disco: It’s A Good Thing è presentata dallo stesso Flemon come un hip hop ‘old time’, figlio di quel genere di casa a Memphis negli anni 20 e catalogato ai tempi come old breakdown style (nel caso specifico portato in viaggio da Frank Stokes e Dan Sane).

Ma è la terza parte a fare da regina in questo ambito, The Drum Major Instinct, un gioco sonoro di battiti e richiami che sinuosamente attraversano membra, spirito e corpo muovendosi su moduli ancestrali, riconducibili quasi a richiami tribali, a stati d’animo che legano il cuore alle pulsazioni delle grancasse e alle sperimentazioni ritmiche della terza sezione. La finestra che Dom Flemons ha spalancato, fornisce un panorama a 360 gradi sulle eredità storiche della musica americana.

Ripropone tematiche vicine alle Jug Band e ai musicisti erranti, intraprende un viaggio tra sapori vaudeville e aromi di un Paese antico, va ad attingere a un repertorio che abbraccia oltre 100 anni di racconti musicali, nel tentativo di cogliere i frutti migliori che la sua terra ha donato.

Così ci troviamo implicati nelle intriganti improvvisazioni di Marching Up To Prospect Hill, con l’armonica di Guy Davis che pare quella di Sonny Terry e Dom Flemons che scandisce il tempo sulle sue ‘ossa di mucca’, veniamo travolti dalla bellissima Til The Seas Run Day, riproposta in due versioni e omaggio alla splendida epoca dell’early jazz di New Orleans, e finiamo conquistati da una Too Long I’ve Been Gone che diventa nostalgico racconto di un trovatore stanco in cammino tra i luoghi più affascinanti del mondo.

Una lezione di musica, che va a scavare in un secolo di storia. In particolare, mentre la prima parte della raccolta rivolge lo sguardo al presente anche voltandosi continuamente indietro sul sentiero, le principali dinamiche che caratterizzano la seconda tranche, offrono materiale che si avvicina maggiormente alle prime registrazioni archiviate nella biblioteca del Congresso. L’idea di base è che la struttura musicale del passato sia andata a costituire un grande palinsesto, continuamente rimodulato e riscritto dai musicisti nel corso degli anni.

In questo modo si può anche leggere un traditional come Polly Pot The Kettle On, nata come canzone per bambini e resa conosciuta da Sonny Boy Williamson nel ‘47, in una versione tra armonica e violini, o vedere il country classico di Have I stayed Away Too Long datato 1943 e scritto da Frank Loesser, vestito dallo splendido sax di Brian Horton e dall’eleganza di Ketih Ganz alla chitarra elettrica (disc one).

Se vogliamo parlare di folklore americano, ballate e melodie tradizionali, old time music e quanto di più popolare riusciamo a immaginare, Dom Flemons è il nostro uomo. Uno di quei personaggi che aggancia tradizione e modernità affidandosi a professionalità e passione: “purtroppo il termine songster è più un anacronismo. Ho tentato di ridefinirlo in chiave moderna riconoscendogli la forza dell’essere portatore di tradizione senza però perdere di vista la continua evoluzione della musica popolare”.

Come la maggior parte dei progetti Omnivore, questo disco contiene un ricco booklet con note di copertina del musicista e sua moglie Vania Kinard, meravigliose fotografie di Timothy Duffy (ndr), numerose informazioni sui brani e l’elenco dei musicisti che vi suonano. E fare un po’ di scuola in un periodo imbrattato da musica di ogni genere, non può essere che buona cosa.

Magari non sarà come assistere a un festival folk in North Carolina o nella contea di Brown, ma sul divano di casa, sotto al portico in una giornata di primavera, spadellando ai fornelli o come colonna sonora di una piacevole serata, Prospect Hill: The American Songster Omnibus si presta a tenere un’ottima compagnia.

Omnivore OVCD-364 (Blues, Country Blues, Old Time Music, Piedmont Blues, 2020)

Helga Franzetti, fonte Buscadero, 2020

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