“Avevo sempre in mente di costituire un gruppo mio, ma avevo anche visto gente che si buttava in una cosa del genere troppo presto. Io, però, sono ‘andato a scuola’ per lungo tempo, capisci, e ho immagazzinato tutta la conoscenza che quella gente mi trasmetteva: ho tratto insegnamento e avuto vantaggio da ogni gruppo con cui ho suonato; (…). Volevo un gruppo tradizionale, perché sono di base un tradizionalista, ma volevo anche un gruppo che potesse fare un genere di musica contemporaneo, purché fatto con stile e gusto. Volevo un ritmo fortemente accentuato, un sacco di grinta che rendesse tutto intenso. E naturalmente volevo un quartetto unito per i gospel”.
Così, nel 1979, Doyle Lawson lascia definitivamente una band famosa e decisamente impegnata e richiesta, i Country Gentlemen, per tentare l’avventura con una propria band, non essendo del tutto sicuro di poter trovare spazio sufficiente in un mercato non vastissimo, ma deciso a dare vita alla propria musica.
Per chi ancora non conoscesse Doyle Lawson vediamo di dare qualche notizia sulla sua carriera musicale, una delle più luminose nella storia del bluegrass. Nel 1963, a 19 anni, con i Sunny Mountain Boys di Jimmy Martin, per pochi mesi. Per i successivi due anni suona in diversi gruppi dell’area di Louisville, Kentucky, finché J.D. Crowe non lo chiama con sé nei Kentucky Mountain Boys, con cui resterà per cinque anni (con una pausa nel ’69 per suonare il mandolino con Jimmy Martin), per poi unirsi ai Country Gentlemen, con cui suonerà per sette anni e mezzo, dall’agosto 1971 al gennaio 1979. E’ notevole il fatto che, pur essendo il mandolino lo strumento di Lawson, furono chitarra e banjo gli strumenti che Doyle dovette suonare, con rare eccezioni, con Martin e Crowe: diverse incisioni restano a testimoniare la sua notevole abilità anche su questi strumenti.
Con i Country Gentlemen il ruolo di Lawson si fa più definito, e se si eccettua un breve periodo in cui l’assenza di un banjoista forza Lawson a tornare al banjo e al baritone, lasciando a Ricky Skaggs il ruolo di mandolino e tenor, è proprio grazie ai Gentlemen che le doti quasi ineguagliabili di mandolinista e tenor-singer di Doyle possono finalmente essere messe in luce. “Non è che a Charlie (Waller) non piacesse il mio modo di suonare il banjo, ma pensava che fossi sprecato, così ha fatto in modo di chiamare Bill Holden e di farmi tornare al mandolino”. Ennesima dimostrazione del talento di Waller come bandleader, se mai ce ne fosse stato bisogno.
Ma i Country Gentlemen non soddisfano del tutto la musicalità di Doyle Lawson, come abbiamo visto: “Mi piaceva suonare con loro, ed in un certo senso potevo avere un mio spazio; sono stato io ad introdurre nel repertorio della band i gospel ‘a cappella’, pezzi come Lord, Don’t Leave Me Here o It’s Just Like Heaven; ma era pur sempre un posto che mi ero creato in un contesto che non era sempre come lo avrei desiderato, una band ed una musica dominati dalla personalità di Charlie. Molte delle mie idee non coincidevano con quelle di Charlie e con i programmi del gruppo”. Certamente in pochi casi un membro dei Gentlemen ha potuto avere tanta voce in capitolo come nel caso di Doyle: oltre ai gospel a cappella, infatti, l’apporto di Doyle al repertorio della band è sempre stato cospicuo, e spesso volto a pezzi contemporanei come Casey’s Last Ride di Kris Kristofferson o Bloody Mary Morning di Willie Nelson, oltre che a qualcosa di più tradizionalmente bluegrass.
” Penso di avere portato con me molta della musica dell’East Tennessee (musica che sentivo da bambino) e di averla presentata al pubblico attraverso i Country Gentlemen. Erano considerati una bluegrass band del Nord allora, e penso così di avere dato loro e alla loro musica un po’ di ‘radici’. (…) Il genere di musica che suonavano quando li ho lasciati, in confronto a quella che facevano quando sono entrato nel gruppo, era diverso”.
In effetti per molti, me compreso, il periodo in cui Lawson era nei Country Gentlemen è stato il periodo d’oro del gruppo, e certamente nessuna formazione successiva ha mai saputo ricreare il suono trascinante e inconfondibile che i Gentlemen avevano, ad esempio, negli anni 1971-73. Con buona pace dei signori Gaudreau, Allred o, tornando un po’ indietro, Duffey. “Ci sarà sempre un grande posto nel mio cuore per quei ragazzi (i Gentlemen, N.d.A.), mi sentirò sempre di dovere loro molto. E’ stato un grosso vantaggio per la mia carriera poter suonare con i Gentlemen. Ma eravamo giunti ad un punto in cui sentivo di essere fermo, non ero creativo come pensavo di potere essere. Volevo tentare con qualcosa di un po’ diverso, magari un po’ più commerciale. Come diceva Charlie, i Gentlemen avevano il loro suono, il loro stile, e lui non aveva un grande interesse a fare esperimenti. E io posso rispettare questa idea, ma volevo totale libertà per un cambiamento”.
Nell’aprile del 1979 Doyle trova finalmente il gruppo che gli può dare la possibilità di esprimere le proprie idee musicali senza vincoli. “Quicksilver è il mercurio, l’argento vivo, e come il mercurio i Quicksilver sono in continuo movimento, cambiano continuamente forma, e non è possibile fermarli!”. I membri originali dei Quicksilver sono Terry Baucom (banjo e fiddle), Lou Reid (basso) e Jimmy Haley (chitarra), amici da tempo, e grandi ammiratori di Doyle e dei musicisti a lui legati, in particolare J.D. Crowe e i Country Gentlemen.
Dei tre è certamente Terry ad avere la maggiore fama: fiddler con Charlie Moore, è noto anche ai bluegrassari italiani per la sua partecipazione all’album That’s It! di Ricky Skaggs, e ancor più per essere stato elemento fondamentale dei Boone Creek, ancora con Skaggs e con musicisti del calibro di Jerry Douglas, Steve Bryant e Wes Golding.
Lou Reid e Jimmy Haley, amici e appassionati di bluegrass dai tempi della high school, hanno avuto una fama minore ma pur sempre degna con il gruppo Southbound, un album inciso per la Rebel, una partecipazione al festival di Courville che forse alcuni ricorderanno. Strumentalmente i tre sono quanto di meglio si possa desiderare per un gruppo come quello che Doyle Lawson aveva in mente: il banjo di Terry è solidissimo, potente, trascinante, la sua scelta di note è sobria ma sempre giusta, sia nel suo vigoroso Scruggs-style sia nei rari ma ben dosati passaggi in melodic-style. “In un gruppo di quattro elementi ciascuno deve essere preciso se il suono d’insieme deve uscire bene. Penso di avere un ruolo più importante ora al banjo di quello che avevo con Boone Creek: dato che lì c’era Flux (Jerry Douglas) io potevo rilassarmi un po’, introdurre i pezzi, fare il mio break, eccetera. Ora c’è una grossa differenza”.
Il ruolo di Terry nella band non è forse evidentissimo ascoltando gli album, sia per la presenza costante di strumentisti ospiti come Bobby Hicks, Jerry Douglas, Sam Bush o Mike Auldridge, sia per l’assenza di brani esclusivamente strumentali: in concerto, al contrario, la potenza e la pienezza del back-up di Terry sono elementi essenziali per il ritmo della band, e la sua parte in strumentali come Nashville Skyline Rag, Shuckin’ The Corn, Bugle Call Rag o Train 45 è preponderante. Come fa notare Jack Tottle su Bluegrass Unlimited, “..la sua precisione, grinta e scelta di note impeccabile sono così stupefacenti che la quasi totale assenza di passaggi insoliti o d’effetto passa inosservata”.
Lou Reid, notevole polistrumentista (suonava il banjo con Southbound, ora suona la chitarra con Ricky Skaggs), è (o meglio era) il bassista ideale per i Quicksilver: semplice ma non banale, grintoso e impeccabile nel ritmo, in possesso di un timbro sempre adeguato ai colori mutevoli dei pezzi anche molto diversi fra di loro, in grado di non fare mai rimpiangere un contrabbasso nei pezzi tradizionali, ma progressivo al punto giusto nei pezzi contemporanei.
Jimmy Haley, come Terry Baucom, non si vede rendere il giusto merito negli album incisi sino ad ora: le sue doti di solista, infatti, emergono solo nel break infuocato di Yellow River, esempio decisamente parziale di ciò che Jimmy può esprimere nei suoi break. Il suo back-up, al contrario, è in piena luce in ogni pezzo, di volta in volta semplice oppure ornato, mai sovrabbondante e mai routinario, intonato ad ogni atmosfera.
Di Doyle Lawson è stato detto molto da chiunque abbia mai scritto di country music e bluegrass incluso il sottoscritto: ‘Mr. Clean’, il mandolinista più preciso e pulito nella storia del bluegrass tradizionale, innovatore ed al tempo stesso radicato nella tradizione, dotato di un fraseggio fluido, sincopato e senza sbavature, di un timbro squillante e pieno su ogni nota, di tempo e grinta formidabili. “Sono in grado di suonare più cose di quelle che suono; non suono mai al mio massimo; non tento mai di infilare in un pezzo tutte le note che conosco: non è questo il modo in cui si deve suonare. La semplicità è la forma più pura di musica. E’ il punto in cui la gente riesce ad ascoltare e sentire veramente e apprezzare ciò che suoni senza essere costretta a sforzarsi di capire cosa stai facendo”.
Ma sarebbe un grosso errore confondere ‘semplicità’ con ‘facilità’ o ‘banalità’: chi abbia mai provato a cimentarsi con un assolo di Lawson sa benissimo quale tecnica sia necessaria per suonare semplicemente le note, e con un timbro ed una precisione che non possono essere certo quelle di Lawson; all’ascolto, però, la naturalezza e l’affascinante disinvoltura con cui i pezzi vengono ‘consegnati’ possono in molti casi trarre in inganno sulle difficoltà e sulle esigenze tecniche della maggior parte delle frasi.
Non sono tanto i virtuosismi strumentali, però, a catturare l’orecchio di chi ascolta Doyle Lawson & Quicksilver, quanto l’incredibile vocalità della band. Lawson è sempre stato uno dei più apprezzati ‘tenor’ degli ultimi 20 anni, e i giovani di cui si è circondato non sono certo da meno: il basso di Terry è sicuramente il maggior elemento di attrazione nei gospel che il gruppo esegue, essendo pieno, vibrante e sicuro, ma nella economia del suono vocale della band sono altrettanto fondamentali i raffinati baritone e lead di Jimmy Haley e il tenor altissimo e naturale, senza forzature, di Lou Reid.
Non è senza significato il fatto che dei 4 album incisi ben 2 siano interamente costituiti da gospel, e che nei concerti siano proprio i gospel a riscuotere il maggior successo ed il maggior numero di richieste di bis, quale che possa essere il tipo di pubblico. “Non potevo prevedere che il gospel diventasse una parte così grossa dei nostri show, ma… be’, io mi baso molto sulle reazioni del pubblico, vedi, e mi piace fare ciò che piace alla gente e ciò che è più richiesto, così ci siamo ritrovati a lavorare sempre più sui gospel. Non sono certo il tipo che tenta di cacciare il gospel o la cristianità giù per la gola della gente, non è questo il punto e non avrebbe senso. Ma finché avremo queste richieste continueremo a cantare questi pezzi”.
E non c’è da stupirsi se il gospel ha una così grossa importanza nella musica di Doyle Lawson: “Mio padre cantava il gospel, e il bluegrass ha sempre compreso un po’ di gospel (…); sono nato e cresciuto nell’East Tennessee, e mio padre cantava in un quartetto e cantava nelle chiese. Conosco molti pezzi che lui ha cantato lungo gli anni. Sono andato una volta a casa di mio padre, e ho preso e scorso tutti i suoi libri di gospel, così ho ritrovato tutto questo vasto repertorio che nessuno ha mai sentito. (Doyle non è in grado di leggere o scrivere intavolature o spartiti in notazione musicale classica, ma è un esperto lettore di partiture a ‘shape notes’, il metodo più antico usato per scrivere i gospel. N.d.A.). Quando ero un ragazzo ascoltavo radio WLAK a Nashville. Trasmettevano molti gospel negri. Mi piacevano per il ritmo che davano alle voci, e così ho pensato che se loro potevano cantare in quel modo a quei tempi, perché mai non avrei potuto fare lo stesso con una bluegrass band? Sarebbe stato qualcosa di fresco, e in più avrebbe creato un’identità per il suono Quicksilver. Dal primo giorno ho desiderato che fossimo un buon gruppo vocale più che solo un gruppo di buoni strumentisti”. E questo desiderio ha sempre sostenuto ogni azione, ogni scelta e ogni cambiamento operato dalla band.
Quando, all’inizio del 1982, Lou Reid decise di abbandonare i Quicksilver, Doyle non ebbe molte esitazioni nella scelta del nuovo bassista: chiamò subito Ranch Graham, un tempo mandolinista e tenor singer dei Bluegrass Cardinals, una delle voci più alte, potenti ed espressive nel campo delle bluegrass band che curano in modo particolare il gospel.
Graham aveva abbandonato il bluegrass e la musica nel 1978, per problemi familiari, aveva venduto il mandolino, non aveva la minima idea di poter tornare a cantare professionalmente. E ciò che più appare significativo, non aveva mai preso in mano un basso fino al suo ingresso nei Quicksilver! In un paio di mesi di durissimo lavoro (“Come si fa a suonare su un manico così lungo?!?”) Randy era pronto per apparire in concerto, e ora, a distanza di un anno e mezzo, non è quasi possibile immaginare i Quicksilver senza di lui.
Il primo album della band, Doyle Lawson & Quicksilver (Sugar Hill SH-3708), è stato il classico lampo di luce nel buio, la migliore presentazione, l’immagine più fedele che il gruppo potesse dare di sé stesso su vinile. Ai classici di Flatt & Scruggs si alternano i gospel, ai tradizionali fanno seguito composizioni contemporanee. Il suono Quicksilver è esaltato dalla presenza degli ospiti Bobby Hicks e Jerry Douglas. Ancora Hicks nel secondo album, Rock My Soul (Sugar Hill SH-37I7), interamente di gospel, una vera rivelazione per un pubblico sino a quel momento più pronto ad entusiasmarsi per un break particolarmente progressivo che a lasciarsi trasportare dal suono pieno e unito di quattro voci. Come Doyle nota, è al tempo stesso strano e bello per i Quicksilver sentirsi applaudire da un pubblico quanto mai vario, che spazia dai teenagers ai sessantenni, caldo ed entusiasta alle note di On The Sea Of Life o Jesus Gave Me Water.
Al termine del concerto tenuto dal gruppo a Genova il 29 ottobre 1983 Doyle mi diceva: “Non pensavo che il gospel piacesse tanto qui in Italia”. Doyle, non credo che la Lewis Family o la Marshall Family, gruppi che cantano esclusivamente gospel secondo la vecchia tradizione del ‘family gospel’, avrebbero lo stesso successo: è il suono vocale dei Quicksilver ad affascinare, la pienezza dei quartetti, la sicura e rilassata ritmica del fraseggio a lasciare senza fiato il pubblico, e sono gli attacchi e i finali precisi al millesimo di secondo, le inflessioni vocali esattamente uguali nelle quattro voci, i timbri perfettamente adattati l’uno all’altro a fare amare il gospel dei Quicksilver, non tanto la scelta del genere.
Col terzo album, Quicksiher Rides Again! (Sugar Hill SH-3727), lo stile del gruppo cambia sensibilmente, seguendo diverse scelte di repertorio: ridotti quantitativamente i classici pezzi bluegrass, rappresentati qui dal solo Lonesome River di Carter Stanley, troviamo in prevalenza pezzi contemporanei a far compagnia agli immancabili gospel, da Kentucky Song di Mike Cross a Till The Rivers All Run Dry di Don Williams a Yellow River dei Christies. Il suono è però inalterato, e così il fascino delle voci, che continua ad accrescere il favore di questo gruppo già quasi leggendario a soli tre anni di vita.
Heavenly Treasures (Sugar Hill SH-3735) è l’ultima opera della band. Registrato nel gennaio 1983, con Randy Graham già pienamente inserito nel gruppo, l’album ha oggi quasi eguagliato il successo di Rock My Soul. Se è vero che in Heavenly Treasures mancano le canzoni di spicco che hanno contribuito a fare di Rock My Soul un capolavoro, è anche vero che la sempre più perfetta unità delle voci, la maggiore cura (se possibile) degli arrangiamenti e soprattutto l’accostamento di diversi stili di gospel rendono questo album estremamente interessante. Accanto a pezzi di sapore usuale, già noto dal precedente album, come Lay Your Burdens At His Feet, Gone Away, My Rock o Jesus Walked On The Water, sono presenti country-gospel di gusto più contemporaneo, come God Sent An Angel e Too Much To Gain To Lose, e il gospel negro è al suo massimo splendore nell’incredibile Jezebel. Mike Auldridge è gradito ospite alla pedal-steel in due brani, e sia Doyle sia Terry hanno la possibilità di far conoscere le loro doti di fiddlers in diverse occasioni.
Un gioiello terreno che ben si accosta ai ‘tesori celesti’ così luminosamente cantati nell’album.
Discografia essenziale di Doyle Lawson:
Con J.D. Crowe (Kentucky Mt. Boys)
-Rebel 1598, Bluegrass Holiday
-Rebel 1583, Blackjack
-Rebel 1585, The Model Church
Con i Country Gentlemen
-Rebel 1506, The Award Winning C. G.
-Rebel 1521, Yesterday & Today, Vol. 1
-Rebel 1527, Yesterday & Today, Vol. 2
-Rebel 1535, Yesterday & Today, Vol. 3
-Rebel 1559, Joe’s Last Train
-Vanguard 79331, The Country Gentlemen
-Vanguard 79349, Remembrances & Forecasts
-Rebel 1574, Calling My Children Home
-Sugar Hill 3712, Sit Down Young Stranger
-Rebel 2201, Twenty-fifth Anniversary
Da solista
-County 766, Tennessee Dream
Con i Quicksilver
-Sugar Hill 3708, D. Lawson & Quicksilver
-Sugar Hill 3717, Rock My Soul
-Sugar Hill 3727, Quicksilver Rides Again!
-Sugar Hill 3735, Heavenly Treasures
Con la Bluegrass Album Band
-Rounder 0140, The Bluegrass Album
-Rounder 0164, The Bluegrass Album, Vol. 2
-Rounder 0180, The Bluegrass Album, Vol. 3
Silvio Ferretti, fonte Hi, Folks! n. 5, 1984