Con questo secondo album Roy fa seguito a quel Ain’t Going Down That Road By Myself del 2005 e dal titolo profetico, ma compie, secondo noi, un peccato di eccessiva valutazione di se stesso. Intendiamoci, se chitarristicamente ci fa capire quanto Albert King e Big Jack Johnson lo abbiano influenzato, e questo di per sé non è affatto un male, e vocalmente lo si apprezza per le sfumature oscillanti con convinzione tra blues e gospel, il fatto di aver composto tutti i brani e suonato tutti gli strumenti lo ha penalizzato. D’accordo, come ci ha detto nell’intervista sopra riportata, voleva misurarsi con se stesso ma, avendolo ascoltato in concerto al Lucerna Blues Festival lo scorso anno, siamo sicuri che la presenza di Louden e di Carla conferirà al futuro disco una sua personalità più completa. Eppure qualche traccia in grado di essere ricordata c’è, come la chitarra ‘cattiva’ usata in Going Down To Clarksdale con le cui note fa da contraltare al canto mentre ricorda Big Jack Johnson e Wesley Jefferson, la ballata soul A Letter To My Sweetheart ed il reinterpretare i due brani che aveva inciso per Jim O’Neal nel 1988, ovvero la minimale I Wanna Know What My Little Girl’s Been Doin e la più carica Too Many Women. Fiduciosi, lo attendiamo alla riprova.
Hard-Headed Woman / Going Down To Clarksdale / Evaline / A Letter To My Sweetheart / How Long / I Wanna Know What My Little Girl’s Been Doin’ / Somebody’s Gotta Give / Too Many Women.
JP 102 (USA) (Blues, Soul, Country Blues, Delta Blues, 2011)
Marino Grandi, fonte Il Blues n. 123, 2013