(Gary Schwind è un giornalista la cui passione è sempre stata la musica che, sin da studente, aveva iniziato ad amare durante la sua trafila all’Ohio State University. Nella sua carriera ha intervistato personaggi celebri, quali Billy Shoe Shaver, Raul Maio ed altri, senza per questo rimanere prigioniera di una sola ventata eccessivamente personale.)
Come paragoneresti questo tuo nuovo album rispetto al precedente?
È un lavoro più sentimentale, con tanti aspetti che risalgono a molto, molto tempo fa: credo che si possa percepire. È quasi più come una confessione, questo lo rende diverso. Naturalmente ho alcuni ospiti come l’icona blues Joe Louis Walker oppure Derek St. Holmes, una sorta di leggenda del blues-rock di Detroit e di tutti i successi di Ted Nugent, che ha anche scritto una canzone per Koko Taylor. È una miscela di questi due tipi di sonorità, come dicevo è molto confessionale.
Che cosa ti ha spinto a rendere appunto questo lavoro più personale?
È proprio nato così: mi capita molte volte quando scrivo o quando sono sul palco. Mi sono sentita pronta a parlare di certe cose ed era probabilmente il momento giusto per tirarle fuori dal cuore. So che molti miei amici e fans stanno vivendo situazioni analoghe, immagino di essere forse un po’ più coraggiosa di quanto non sia mai stata in passato: quello che è successo a me è probabilmente successo ad altre persone.
Pensi che tutto ciò sia più arduo, più impegnativo?
Credo solo di essere più coraggiosa: l’aver trovato la forza di essere me stessa al 100% è per me un passo in avanti. Se sei abbastanza coraggiosa da farlo, questo è ciò che aiuta anche gli altri.
I tuoi fans probabilmente potranno percepire l’autenticità in tutto questo.
Sì, loro mi dicono quanto amano e quanto li conforta quando canto alcuni pezzi soltanto con il pianoforte. Sicuramente mi espongo, è quasi come camminare nuda: quando ho suonato queste canzoni dal vivo, alcuni mi hanno detto: “Wow! Questa è la cosa migliore che abbia mai sentito. Grazie mille.”
Che cosa si impara lavorando con artisti come Joe Louis Walker?
Sono diventata sua amica perché il suo bassista è lo stesso che suona con me quando faccio concerti sulla costa orientale, il grande Lenny Bradford. In realtà sono andata a uno dei suoi concerti a New York e ho incontrato Joe, che volevo davvero conoscere. Ho sempre desiderato lavorare con lui, e questo è diventato realtà in The Devil Don’t Love You e Black Crow Moan. Ha una voce blues così autentica, ha quel timbro roco perfetto per questo, e ho pensato che sarebbe stato un bel abbinamento con la mia voce: nella title track cantiamo quasi come un duetto. Ho proprio visto come mette insieme tutte le cose in studio: è una leggenda del blues, è infinito, e c’è così tanto che posso imparare da lui. Ogni volta che sono con lui penso: «Oh, sì, lo farò» e lui mi diceva «Eliza, non devi lavorare così tanto. Rilassati. Lascia che la band lavori di più». Aspetti del genere cambiano tutto l’insieme.
Questo l’ho sentito da altri musicisti.
Certo. Era del tipo «Adoro quello che fai, ma rilassati. Lascia fare alla tua band. Li stai pagando: lascia che facciano il loro lavoro». Barrett Strong è un mio mentore e mi ha detto la stessa cosa: ha scritto Heard It Through The Grapevine, Papa Was a Rolling Stone per citarne alcuni. Ci parliamo tre o quattro volte al giorno e me lo ha detto per anni: è stato un ottimo consiglio.
Tu hai studiato per cantare l’opera, vero?
Già: mio padre era un militare e mi disse: «tu devi ottenere una laurea». Pertanto ho iniziato a pensare a che cosa avrei voluto studiare. In quel periodo stavo già cantando e suonando professionalmente nell’area metropolitana di Detroit; io ho due sorelle, che cantavano con me in alcuni spettacoli. Sono allora andata alla Wayne State di Detroit e ho fatto il provino per la loro scuola di musica: non avevano una scuola di canto rock, che è quella che avrei fatto; avevano jazz oppure opera. Ho scelto quest’ultima, perché ho pensato che mi avrebbe potuto aiutare se avessi fatto tanti concerti; ero sicura che l’opera sarebbe stata davvero utile per me. Ho superato i test iniziali e la commissione che giudicava l’ammissione e quindi sono entrata. Mi hanno detto di rinunciare ai concerti rock per mantenere pura la mia voce e potevo davvero farlo come cantante d’opera. Adoro l’etica del lavoro che ho imparato, ma per me, a quell’epoca, lo stile di vita era un po’ troppo sobrio, immacolato, non so se rendo l’idea: il mio primo amore è il rock and roll e il blues. La formazione è comunque valsa un milione di dollari per quello che faccio. Per l’audizione ho dovuto imparare tre arie: sono uscita, le ho imparate e ho passato l’esame. Sono stata fortunata a girare l’Europa con il Chamber Choir e lì ho sperimentato che cosa significa per un musicista andare in tournée. È stato bello, è un tipo di training differente. Dopo la laurea, ho dovuto disimparare ciò che ho imparato. Ho imparato l’opera. Quindi ho dovuto disimparare l’opera per tornare al mio rasposo suono rock blues. L’allenamento che ho imparato mi permette di cantare correttamente in modo da non rovinare la mia voce. Sta respirando, come trasportare la tua voce, cose del genere. Molti cantanti rock perdono la voce perché non hanno quella parte dell’allenamento. Sono stato fortunato a girare l’Europa con il Chamber Choir lì e ho avuto un assaggio di ciò che passa un musicista in tournée. È stato bello. È un diverso tipo di allenamento. Dopo la laurea, ho dovuto ‘disimparare’ quello che conoscevo, poiché ho imparato l’opera; quindi ho dovuto disimparare l’opera per tornare al mio ruvido suono rock blues. L’allenamento che ho seguito mi permette però di cantare correttamente in modo da non rovinare la mia voce: riguarda come respirare, come trasportare la tua voce, cose del genere. Molti cantanti rock perdono la voce perché non hanno quella parte di educazione e di allenamento.
Cosa faresti se non facessi musica?
Sono amica di Barrett Strong, una leggenda della Motown (è stato il primo artista a registrare una hit per la storica etichetta, n.d.r.) e gli ho dato una mano a trovare una squadra per lavorare sul suo abbondante catalogo editoriale. Probabilmente sarei un avvocato del diritto d’autore, così da aiutare tutti gli artisti che vengono derubati e non conoscono i loro diritti: in questa maniera potrebbero guadagnare di più e non dovrebbero andare in tournée così tante sere all’anno fino a esaurirsi. Puoi avere questo flusso di reddito se conosci i tuoi diritti.
Davide Grandi, fonte Il Blues n. 151, 2020