Membro della Revue di Chicago Blues andata in scena al Festival di Lucerna lo scorso novembre, Elmore James Jr. è forse il decano dei bluesmen figli d’arte, emersi negli ultimi anni a rivendicare una filiazione musicale diretta con gli augusti genitori. Lo abbiamo incontrato all’indomani del suo concerto al Festival.
Cominciamo dal nome, Ernest Johnson o Elmore James Jr.?
Elmore James Jr., la parte Johnson se ne è andata, anche se in realtà ho tre nomi; Earnest Johnson in primo luogo, ma poi Elmore mi chiamò come suo zio, Eddie James e a Jackson, Mississippi, mi chiamavano Eddie Lee. Mia madre mi cambiò di nuovo nome prendendo quello di mio padre, perciò in un certo senso sono il vero Elmore James, il primo, perché in realtà mio padre si chiamava Joe Willie. Sono io l’originale! Sono nato a Four Miles, Mississippi, su nel Delta in campagna, nel 1939, la cittadina più vicina era Isola. Ci siamo trasferiti a Louise, Mississippi, quando avevo solo sei mesi, eravamo io mia madre e mia sorella maggiore Sadie Mae che ora vive a Long Beach, California. Mia madre era cresciuta in una piantagione, poi si trasferì a Jackson per lavorare; conobbe Elmore dato che lui veniva a suonare in zona il sabato sera, così mi hanno raccontato, io non ero ancora nato ovviamente. So che mia madre era gelosa, perché Elmore aveva diverse altre donne…poi si lasciarono, anche se ogni tanto ricompariva perché non si era dimenticato di noi. Io e mia sorella siamo cresciuti con mia nonna. Elmore era squattrinato, ma poi ottenne un contratto discografico a Jackson con la Trumpet e cominciò a guadagnare qualcosa. Un giorno mia madre ci disse che Sadie Mae ed io eravamo suoi figli.
Così veniva a trovarvi di tanto in tanto?
Oh si, ero spesso con lui, anche quando se andò in treno lo accompagnai alla stazione di Jackson, la settimana seguente sarebbe dovuto partire per suonare qui in Europa. Facevamo molte cose insieme, andavamo a pescare ad esempio. Abbiamo avuto circa otto o nove anni insieme, e durante quel periodo mi ha insegnato a suonare e a cantare. A volte andavamo nel suo paese natale, Richland, Mississippi, lungo la Highway 17, anche se qualcuno pensa che fosse di Canton, non era così. Avevo una band a Jackson, i Brigadiers. Sono venuto a trovarlo a Chicago nell’estate del 1958, lui abitava sulla 42a Street con una ragazza; sono rimasto per qualche tempo fino alla ripresa della scuola, ma non l’ho visto suonare in quel periodo. Era gentile con me, un buon padre, quando morì io e mia nonna salimmo a Chicago e lo riportammo in Mississippi.
Hai mai suonato con tuo padre?
Ho suonato la batteria con mio padre a Jackson, quando il suo batterista non era in città o non poteva suonare con lui. A dire il vero a lui non piaceva come suonavo ma si adattava, il suo batterista mi aveva dato qualche consiglio e pensavo di cavarmela dato che avevo suonato con Johnny Temple e Willie Nix.
Hai menzionato poco prima la tua band.
Sì i Brigadiers, il leader era Booker T. Wolf che suonava il sax tenore, poi c’era un chitarrista e io venni ingaggiato come batterista; dopo qualche tempo Wolf venne rimpiazzato da un altro musicista, James, ed io restai nella band. Suonavamo più che altro nei club di Jackson per pochi dollari, ma non incidemmo mai nulla.
Incidesti qualche disco?
No, non ho inciso nulla fino al 1972 quando lo feci per Johnny Vincent, sebbene tra il 1957 e il ’58 avessi lavorato saltuariamente per Vincent, facendo consegne di dischi, andavamo avanti e indietro tra Jackson e New Orleans. Cominciai a suonare anche con Johnny Temple, che era più noto e aveva buoni ingaggi anche fuori città nei club per bianchi e nelle università.
Quando ti trasferisti a Chicago?
Nel 1965. Prima di partire, Johnny Temple mi diede il numero di telefono e l’indirizzo di Willie Dixon, 5232 South Calumet Avenue, non lo dimenticherò finché vivo. Ma non incontrai il signor Dixon se non dopo ben tre settimane che ero a Chicago, perché passai il tempo con alcuni amici con cui ero cresciuto giù a Jackson. Quando mi fui finalmente sistemato contattai Dixon. Lui mi fece conoscere Louis Myers, Dave Myers e Fred Below.
The Aces…
Esatto, loro lavoravano molto fuori città. All’inizio suonavo in un locale sulla 63esima, ogni domenica dalle tre di pomeriggio con Big Voice Odom. Suonavo spesso anche con Smilin’ Bobby, siamo ancora buoni amici, anche lui tra l’altro ha inciso per la Wolf. Poi qualcuno, credo fosse stato Bob Myers, un fratello di Louis e Dave che suonava l’armonica, mi portò al Theresa’s e cominciai a suonare anche lì occasionalmente. A Chicago lavoravo sette giorni su sette, guidavo un camion e facevo consegne, a volte dormivo direttamente nel parcheggio dopo aver suonato! Del resto all’epoca in un quartiere nero c’era musica dal vivo quasi tutte le sere.
Non registrasti nulla in questo periodo?
In realtà incisi alcuni brani per un tipo della C.J. Records, ma non venne fuori nulla, non so che fine abbiano fatto quelle tracce.
Come finisti a registrare per la Ace di Johnny Vincent?
Un cugino di mio padre, Junior, che era in pensione dall’esercito e aveva cominciato ad organizzare concerti mi aveva trovato un ingaggio nei pressi di Jackson. Qualcuno mi chiese se avessi inciso qualcosa, e disse che conosceva chi poteva essere interessato a me. Gli chiesi di chi si trattasse e la sua risposta fu: Mr. Johnny Vincent! «Lo conosco», esclamai. Così andammo da Vincent. Lui mi guardò e mi riconobbe quasi subito, gli dissi che lavoravo per lui con James Robinson e trasportavamo i suoi dischi anni prima. Abbiamo parlato e ci siamo accordati; poi lui chiamò al telefono Mrs. McMurry dicendole che aveva lì il figlio di Elmore, al che lei mi chiese se mia madre si chiamava Nora Mae, perché l’aveva conosciuta. Registrammo alcune canzoni, almeno trentacinque o quaranta, ma non so perché ne hanno pubblicate solo tre, c’erano Sam Myers, Johnny Littlejohn, Big Bad Smitty, King Edwards che credo sia ancora attivo. Una volta registrammo anche un duetto con un altro chitarrista texano che suonava nello stile di Freddie King, non ricordo il suo nome, facemmo una cosa nello stile di Bobby e B.B.
Poi non hai registrato nulla per molti anni?
No, infatti, avevo avuto qualche problema con il lavoro, ed avevo comprato casa per cui non potevo dedicarmi troppo alla musica. Hanno ricominciato a cercarmi anche per i concerti quando è stata ripubblicata Crazy About Ida Mae, il primo promoter a cercarmi credo sia stato Jeff Wiener. Nel 1994 mi ero comprato di nuovo una chitarra, ce l’ho ancora, e un piccolo impianto, per suonare anche in locali che ne fossero sprovvisti. Ho inciso due bei CD per la Wolf, oltre a quello su JSP registrato con Cadillac Zack. Nell’ultimo ci sono i Broomdusters oltre a Eddie Taylor Jr; devo dire che mi hanno proprio lasciato suonare la musica che piace a me; ho voluto continuare la tradizione del blues di mio padre, con i suoni degli anni Cinquanta e Sessanta. Credo che lui volesse questo, che la sua musica venisse mantenuta viva. Con me suonano regolarmente Illinois Slim, Ed Williams al sax tenore che suona con me da molto tempo, così come Jimmy D. il mio batterista da quattordici anni. Il suo vero nome è Jim Di Spirito, è di Boston e mi ha messo in contatto con un promoter locale ed ora suoniamo regolarmente, ci sono moltissimi club a Boston e ci accolgono sempre molto bene.
Conoscevi già John Primer e gli altri con cui sei in tour ora?
Conosco Primer dai tempi del Theresa’s, prima che lui suonasse con Muddy e anche dopo quando Muddy ormai non suonava troppo e i ragazzi della sua band suonavano regolarmente lì. Eddie C. Campbell lo conosco da meno tempo, da quando abbiamo fatto un tour in California insieme con Cadillac Zack, aprimmo dei suoi concerti.
Che tipo di musica ti piaceva da ragazzo?
Andavo matto per Lightnin’ Hopkins, e ricordo ancora che c’era una sua canzone nel juke box del ristorante che gestiva mia madre che mi piaceva moltissimo. Ascoltavo anche il primo rock’n’roll di Little Richard, Fats Domino…
E la musica di tuo padre?
La ascoltavo e rimasi colpito soprattutto quando fece Shake Your Moneymaker e poi Anna Lee e Don’t Like My Peaches Don’t Shake My Tree! Molte di queste canzoni le ho poi rifatte nei miei dischi.
Hai suonato anche con ex-musicisti di Elmore?
Si con Jesse Roy (??), Jimmy non ricordo il suo cognome ma suonava il basso con mio padre e poi anche con Muddy Waters, comunque è morto da parecchi anni. Poi mi è capitato di suonare con Johnny ‘Big Moose’ Walker ed anche con Homesick James, e ricordo che mi lasciava suonare con lui al Walter’s Corner i primi tempi che ero a Chicago.
Vuoi aggiungere qualcosa per concludere?
Non dimenticherò mai mio padre e sono felice di poter suonare questa musica e che nessuno voglia modificare il mio stile. Sono anche particolarmente contento di aver suonato in Europa perché lui non ha fatto in tempo a farlo. Devo dire che da bambino non mi piaceva troppo ma ora amo il blues, ricordo che una volta mio padre mi disse puntando un dito verso di me: «voglio che tieni vivo il mio nome», ve lo può confermare un amico di Jackson.
(Intervista realizzata a Lucerna, Svizzera, il 16 novembre 2012)
Matteo Bossi, Marino Grandi, fonte Il Blues n. 123, 2013