Philadelphia Folk Festival

C’è una collina come tante altre, sperduta nella verde Pennsylvania, immersa tutto l’anno in un bucolico silenzio. E’ il teatro ideale per il più importante folk festival statunitense. Questa collinetta vive ogni anno un week-end assolutamente indimenticabile fatto di musica, di sole, di amici sconosciuti: migliaia di persone unite dall’amore per la musica tradizionale si ritrovano qui e danno vita ad una magica festa che si consuma insieme fraternamente.
Dalle undici del mattino fino a notte inoltrata il festival offre continuamente spunti di interesse; su quattro palcoscenici (uno principale per i grandi concerti serali e tre più piccoli sparsi nel bosco e nei prati adiacenti) si susseguono artisti che interpretano un’infinita varietà di generi: irish, old time, blues, cajun, zydeco, bluegrass, musica etnica… Tutto ciò in un ambiente che, nonostante le impressionanti dimensioni della manifestazione (più di 200.000 persone) è familiare.

I musicisti accolgono volentieri le richieste del pubblico durante i numerosissimi workshops di cui è costellato il programma, e sono ben disposti ad una amichevole chiacchierata con i loro fans. I workshops sono una delle più interessanti attrattive del festival: si può infatti assistere a lezioni di dulcimer, autoharp, vari tipi di danze popolari, barzellette e perfino di funambolismo!
Nella zona più distante dai palchi prospera invece una miriade di bancarelle che vendono ogni sorta di cianfrusaglie: dagli oggettini di legno ai fronzoli di cuoio e alle penne di tacchino. Non mancano naturalmente gli stands di strumenti musicali, dove è possibile trovare una grande varietà di chitarre, banjos, violini sia usati che nuovi. Unico neo di questa meravigliosa manifestazione è il prezzo del biglietto spaventosamente alto: 40 dollari.

Ad onore del vero va detto però che l’organizzazione è impeccabile: vi sono perfino due schermi giganti che proiettano ingrandite le immagini del palco centrale durante i concerti notturni in modo che anche gli spettatori più distanti possano vedere all’opera i loro artisti preferiti. Non bisogna poi dimenticare che il festival offre nello spazio di un week-end più di 50 stars riunite insieme, con il conseguente vantaggio di non dover girare tutta l’America per vederseli uno per volta. Il prezzo del biglietto comprende inoltre l’eventuale campeggio.
Quest’anno, dopo che Bruce Martin aveva aperto i concerti serali al suono della sua cornamusa secondo la tradizione del festival, si sono susseguiti sul palco Doc Watson, Swallowtail ed alcune nostre vecchie conoscenze: i Boys Of The Lough, la Juggernaut String Band, Mike Seeger (entusiasta della sua breve tournée estiva in Italia).
Alla sera di sabato hanno dato spettacolo i De Danann, la Son Seals Blues Band da Chicago (unica rappresentante del blues, peraltro molto deludente), la Hotmud Family ed il simpatico Mike Cross.

La domenica ha riservato numerosi piatti forti: Bryan Bowers, Leo Kottke, la Tracy’s Family Band, Tony Trischka & Skyline (estremamente simpatici e cordiali), la Klezmer Conservatory Band (musica yiddish) e John Hartford. Quest’ultimo a nostro avviso è stato il personaggio di maggiore spicco di tutto il festival. Col suo violino, un semplice ed efficace clog di accompagnamento e la sua profonda voce è riuscito infatti a prendere per mano il numerosissimo pubblico e ipnotizzarlo a suo piacere con un carisma degno delle maggiori rock-stars. Alla fine del suo show ha dovuto ritornare sul palco e concedere ben tre bis prima che i suoi fans si dichiarassero soddisfatti!
A chiusura di questo bellissimo festival, siamo stati salutati da una pioggerella rinfrescante e abbiamo lasciato la nostra collina, piombata improvvisamente in un silenzio campestre rotto solo dal suono di un violino lontano.

Bruno Guaitamacchi, fonte Hi, Folks! n. 4, 1984

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