Freddie King – “Selected Sides 1960-1962” cover album

Ok, il Vostro recensore ha una certa età e la prende alla lontana: cominceremo quindi col citare Eric Hobsbawm, lo storico inglese del ‘secolo breve’, che nella sua prefazione all’edizione Italiana della sua ponderosa, (e poderosa) Storia sociale del Jazz (Ed. Res Gestae) ha scritto: «Fintantoché uomini come Archie Shepp dedicano la loro musica all’armonica blues di Sonny Boy Williamson, tutto non è perduto». Questo per significare che le relazioni fra i generi musicali (e la cosa vale soprattutto se uno dei due generi in gioco è il Blues) sono a volte sotterranee, e percorrono trasversalmente le carriere oltre che le menti soprattutto dei musicisti neri, anche di quelli che in passato hanno fatto dell’avanguardia musicale la loro bandiera. Jazz e Blues, Blues e Rock, Soul e Blues, Blues e Gospel, e l’elenco potrebbe continuare. Non di rado è capitato che jazzisti impegnati a pieno titolo nell’avanguardia abbiano anche fatto parte di blues band, o per esempio basti pensare al doppio ruolo svolto a Chicago dalla Delmark di Bob Koester, che mentre incideva i dischi storici del blues di Chicago con i vari Junior Wells, Buddy Guy o Robert Nighthawk, faceva da vetrina, con il tramite di Chuck Nessa, per l’Art Ensemble Of Chicago e per l’intera l’AACM, forse la più riuscita e longeva oltre che rigorosa e innovativa associazione di musicisti creativi della storia del Jazz, e forse della musica tout court.

Nella figura di Freddie King abbiamo invece un bell’esempio, quasi archetipico, di come certe istanze, certi modi di essere del Blues hanno influenzato potentemente il Rock, e tutti i sottogeneri che il Rock ha figliato nel corso di circa sessant’anni di storia della musica. Tutte cose che tutti hanno sempre saputo, ma che ogni tanto giova ricordare, per evitare che la memoria storica si perda, e per vedere, oltre ché vivere  la musica nella giusta prospettiva.

Nato a Gilmer, Texas nel 1934, e morto troppo presto a Dallas nel 1976 a soli 42 anni per i postumi di un peggioramento dell’ulcera che lo affliggeva già da anni, sommata a una grave pancreatite e probabilmente a cure inefficaci, Freddie King emigrò a Chicago ancora da ragazzo nei primi anni ‘50, respirando il blues di Elmore James, Muddy Waters, Howlin’ Wolf, e presto sviluppando uno stile chitarristico proprio, che cominciò a mettere in pratica a partire dal 1953 come sideman di band minori come quelle di Little Sonny Cooper o Earl Payton. A queste esperienze seguirono alcune false partenze, dischi non pubblicati, contratti non firmati. Forse pochi sanno che poco dopo aver cominciato a incidere i suoi primi pezzi da leader per la El-Bee Records col supporto nientemeno che di Robert Jr Lockwood, Freddie fu ripetutamente rifiutato dalla Chess, apparentemente a causa della troppa somiglianza della sua voce con quella di B.B.King.

I due CD di cui parliamo rappresentano invece il vero decollo discografico di Freddie King, avvenuto dopo la firma del contratto con la King Records, che gli fece incidere parecchie sessioni con la sussidiaria Federal nei suoi studi di Cincinnati, fra l’agosto del 1960 e il febbraio del 1962. Questa raccolta, rieditata con le note di Neil Slaven in un doppio cofanetto col titolo di Selected Sides, comprende circa una cinquantina di tracce incise fra l’agosto del 1960 e il febbraio del 1962, ed è assolutamente rappresentativa dello stile di Freddie, che qui compare praticamente in tutte le sue sfaccettature, comprese in nuce quelle che verranno fuori negli anni del grande successo. Va detto che quasi tutti questi pezzi sono già stati pubblicati in varie raccolte, ma forse non con la completezza di questa edizione, che presenta spesso le varie take di uno stesso pezzo, cosa a volte interessante a volte un po’ stucchevole. La storia che viene dopo è nota agli appassionati di blues, e anche a molti del rock, perché Freddie King divenne un modello per decine di chitarristi elettrici, su tutti Eric Clapton, che ebbe sempre il buon gusto di riconoscere il suo debito nei confronti del texano, e lo invitò anche a suonare con lui in Europa con esiti trionfali già dal 1968. Per sincerarsi dell’entità di questo debito basta ascoltare la versione di Hideaway, esemplificata in questa stessa raccolta in un paio di take, e datata 26 agosto 1960, e magari confrontarla con quella in cui Clapton faceva da solista nei Bluesbreakers di John Mayall (anno 1966): i fraseggi di chitarra, e praticamente tutto il brano sono praticamente uguali. Fu grazie a questo successo in qualche modo indiretto che Freddie entrò a far parte della cosiddetta triade dei Blues King, insieme agli altri due mostri sacri della chitarra B.B. e Albert.

La ragione per cui proprio Freddie esercitò più di tanti altri, e in modo così sfacciato questo potere sui chitarristi rock degli anni ‘60, e per proprietà transitiva in migliaia di loro imitatori, è un argomento interessante, sul quale possiamo forse dare qualche indizio. Forse il suo fraseggio era schematico ma molto immediato ed efficace, forse il suo modo di fare shuffle era estremamente diretto, forse i suoi assolo erano facilmente imitabili. Ma il vero motivo a nostro avviso sta nel suono, che Freddie King aveva cominciato a sviluppare dalla fine degli anni ‘50 e che porterà come vessillo nel corso di tutta la sua pur breve carriera. La chitarra leggermente distorta era il vero marchio di fabbrica di Freddie, e ci sarebbe probabilmente da indagare sul piano psicoanalitico sui motivi per i quali proprio questo tipo di suono distorto sia stato quello ad attirare l’attenzione dei suoi primi imitatori. Distorsione per la cronaca non ottenuta con pedali o altre apparecchiature esoteriche, ma semplicemente con l’accoppiamento dei pickup delle sue Gibson con il  ‘gain’ dell’amplificazione.

Breve excursus (funzionale al discorso) sulla strumentazione usata da Freddie King: le sue chitarre principali furono prima un modello Gibson Les Paul (lo stesso che poi divenne l’arma di Clapton o di Jimmy Page), poi una Gibson 345, un modello mutuato dalla 335 di B.B.King con in più l’uscita stereofonica, cosa anche questa che faceva capire come Freddie volesse in qualche modo essere avanti tecnologicamente rispetto ai colleghi. Gli amplificatori furono prima dei Gibson GA40 poi dei Fender di vari modelli. Sembrerebbe dunque che proprio ‘quel’ sound fosse quello di cui il rock degli anni ‘60 aveva bisogno per esprimersi, e generare tutta quella galleria di suoni che passarono prima nel blues dei bianchi e poi ai primi gruppi hard rock, appunto con i vari Jimmy Page, Jeff Beck, Ritchie Blackmore etc, . Ed è proprio in questo senso che Freddie King è stato un vero precursore, il padre inconsapevole di una sterminata serie di figli rock. La voglia di spingere con la distorsione, più o meno negli stessi anni era anche in altri bluesmen, su tutti Magic Sam che personalmente riteniamo uno dei padri del suono e del groove di Jimi Hendrix, più o meno come Freddie lo è stato per moltissimi altri, prima inglesi poi anche americani.

L’altro motivo determinante dell’ascendente di Freddie sui suoi emulatori bianchi fu a nostro avviso il fatto che la preponderanza dei brani strumentali ritmati e ‘moderni’ per l’epoca metteva in secondo piano la componente testo, facilitando l’approccio e quindi l’imitazione. Tanto per chiarire, è un po’ più dura mettersi a rifare John Lee Hooker o Lightnin’ Hopkins rispetto a citare uno strumentale di Freddie King. E per chiudere il cerchio, è proprio l’ascolto di alcune di queste cinquanta tracce che ci fa capire da dove tutto sia partito. Tantissimi sono gli esempi che si possono fare, pescando fra i brani strumentali, oltre alla già citata Hideaway, Wash Out e soprattutto le due take di Just Pickin’ oltre a tanti altri pezzi, specialmente nel secondo dei CD, quello che contiene le session del 1961-62, come a voler significare un’evoluzione (o involuzione a seconda dei punti di vista) del nostro dalle pur fascinose ballad con testo cantato con la sua tipica voce tenorile alta, non potentissima ma penetrante e riconoscibile, ai brani solo strumentali forniti di titoli convenzionali, tipo appunto Just Pickin, o Sen-Sa-Shun, o San-Ho-Zay o Swooshy.

Alle orecchie più attente non sfuggirà che quest’ultimo pezzo è caratterizzato (e questo ci riporta all’inizio) da una ‘pericolosa’ assonanza addirittura con la celebre Blue Monk di Thelonious. Notevole nel secondo dei due CD è la ballad in duetto con Lula Reed di Let Your Love Watch Over Me. Sempre nel secondo CD abbiamo alcuni brani in tempo di twist, un paio di altri interessanti duetti con Lula Reed nel mood di Ray Charles You Can’t Hide e Your Love Keeps-A-Working On Me e anche uno spassoso Do The President Twist, presumibilmente dedicato a JFK che era in carica all’epoca. Chiudiamo col citare lo strumentale Side Tracked, track 22 del primo CD, molto bello, anche questo con la chitarra un po’ distorta e una risoluzione del giro di blues molto originale, quasi nello stile di Brownie McGhee. Il quadro, come dovrebbe essere ormai chiaro, è quello di un artista completo, e di un bluesman sensibile e raffinato, e anche molto innovatore, abilissimo nella combinazione degli stili texano e chicagoano, fino a superare entrambi per diventare una stella permanente nel firmamento della musica. Come riporta il sito a lui dedicato dalla famiglia: «He was the complete package, the triple threat, the musician, the composer, the singer…». Buon ascolto.

CD1: You Know You Love Me – 1 / You Know You Love Me – 2 / You Know You Love Me – 3 / See See Baby – 1 / See See Baby – 2 / You’ve Got To Love Her With A Feeling – 1 / You’ve Got To Love Her With A Feeling – 2 / Have You Ever Loved A Woman – 1 / Have You Ever Loved A Woman – 2 / Have You Ever Loved A Woman – 3 / Hideaway – 1 / Hideaway – 2 / I Love The Woman – 1 / I Love The Woman – 2 / Lonesome Whistle Blues / If You Believe (In What You Do) – 1 / If You Believe (In What You Do) – 2 / It’s Too Bad (Things Are Going So Tough) / I’m Tore Down / Onion Rings / Sen-Sa-Shun / Side Tracked / The Stumble / San-Ho-Zay.

CD2: Wash Out / Just Pickin – 1 / Just Pickin – 2 / Heads Up / Christmas Tears / Let Me Be (Stay Away From Me) / Takin’ Care Of Business / You Mean Mean Woman / I Hear Jingle Bells / In The Open / Out Front / Swooshy / Texas Oil / I’m On My Way To Atlanta – 1 / I’m On My Way To Atlanta – 2 / Over Drive / Driving Sideways / Sitting On The Boat Dock / Come On / Do The President Twist / (Let Your Love) Watch Over Me / You Can’t Hide / It’s Easy Child / Your Love Keeps A-Working On Me / What About Love.

JSP 4240 (GB) (2 CD) (Texas Blues, Chicago Blues, 2014)

Carlo Gerelli, fonte Il Blues n. 127, 2014

Link amici

Comfort Festival 2024