Gene Parsons - Melodies cover album

“Tu lo sai, niente ha fine tutto cambia solamente non c’è proprio ragione per essere tristi”.
In questi tre versi, che costituiscono il ritornello di Little Jewels, uno dei più bei pezzi dell’album, è raccolta la concezione della vita secondo Gene Parsons, un personaggio sulla breccia da moltissimi anni che per la sua coerenza e serietà professionale rimane tra i più rispettati e stimati del giro californiano. E queste parole, dedicate alla figlia Lilybet in particolare ma rivolte a tutti noi, ci possono dare un’indicazione veramente utile per affrontare le prove della nostra esistenza, specie quelle più difficili e dolorose che purtroppo non risparmiano nessuno. L’impegno, la costanza, il coraggio, la scelta di valori fondata sui sentimenti, sull’amore, sui rapporti d’amicizia dovrebbero permetterci di superarle e di guardare al futuro con maggiore ottimismo. E la vita ispirata a tali ideali saprà essere migliore.

Così Melodies è un album vivo, fresco, intenso, sorridente. È la voce della California campagnola che non si è fatta travolgere dalla cieca corsa al consumo o dalla alienazione urbana, né musicalmente contaminare dai ritmi ripetitivi e meccanici della disco, ma ha saputo trovare una dimensione prima umana che musicale, capace di conservare per sé nel campo della musica contemporanea un ruolo ancora importante, che se non è più di guida resta sempre di sicuro riferimento. È la California verde che ha rinunciato all’automobile (simbolo di benessere ritenuto persino veicolo per la corsa verso la libertà) già molto tempo prima di esserci costretta dalla drammatica crisi energetica dello scorso anno (My Kingdom For A Car del compianto Phil Ochs è del ’71 e significativa a questo proposito è la foto del retro della copertina con Gene ritratto dietro un finestrino in pezzi).
Questa voce si esprime su toni caldi e dolci, indifferentemente dall’accompagnamento prescelto. E il disco, atteso per tanto tempo che non pare vero sia finalmente realtà, è una saggia miscela di elettrico e acustico, di rock e folk, di bluegrass e country. Ha lo stesso spirito di Kindling ma è diverso nell’impostazione strumentale decisamente più ritmata e ciò lo renderà un momentino più commerciale. Per fare questo Gene si è servito del contributo di riconosciuti assi della chitarra come Albert Lee e Bob Warford ma si è fidato soprattutto di se stesso, approfondendo, tra l’altro, lo studio del modello con lo string bender, brevettato insieme con Clarence White diversi anni fa (ascoltatelo nel piacevolissimo monologo di Pastime pezzo ondulato ed ampio, interamente strumentale) e scegliendosi come partner di primo piano Greg Harris, conosciuto via Burritos, il cui apporto si rivela molto prezioso in ogni circostanza e che potrebbe essere destinato a prendere il posto di Clarence al suo fianco.

E la presenza del vecchio compagno e amico, poeta della chitarra, si fa sentire molto a livello di ispirazione al punto che Gene gli ha dedicato un notevolissimo pezzo, scritto con la moglie Camille, titolo parziale dell’album: Melodies From A Bird In Flight, semplice ma eterno pegno d’amicizia. Il materiale interpretato è in prevalenza di Gene (aiutato in alcune occasioni dalla moglie) o preso a prestito da gente come Phil Ochs, di cui si è detto, Gram Parsons/Chris Ethridge, Bill Nolan del Sons of Pioneers, Micky Newbury.
Tra le cose non ancora citate da segnalare assolutamente la significativa versione di Hot Burrito #1 con un dolcissimo vocalizzo centrale (una delle caratteristiche nuove di questo disco), l’incalzante e di facile presa No Fire Tonight con deliziosi spruzzi al sintetizzatore, la grintosa ed originale Why You Been Gone So Long trasformata in pungente rock, la divertente Mama Papa l’altro strumentale acustico dal sapore di ragtime con Gene a pizzicare il suo banjo come una volta. Una risposta sicura e convincente alle nostre ben riposte aspettative.

Sierra/Briar 8703 (Country Rock, 1979)

Raffaele Galli, fonte Mucchio Selvaggio n. 27, 1980

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