Intrigante, festosa e spettacolare sono gli aggettivi più appropriati per quest’ultima edizione della Country Night di Gstaad.
Sfidando il buon senso commerciale (per chissà quale implicazione di spesa o di contratto package), il programma offriva in prima battuta come sappiamo David Holt, appassionato diffusore di folk music e di tradizioni popolari raccolte negli eremi più sperduti di Appalachia o tra i braccianti neri e i contadini del Profondo Sud.
Il rischio era quello di una partenza moscia, di uno show di stampo didattico visto che Holt quello ha sempre fatto, divulgare e tramandare, anche via TV (TNN). Per essere sinceri, ci aspettavamo un menestrello solitario sul grande palco che ci tenesse in ostaggio con raccontini, forzature partecipative alla Pete Seeger (cantiamo tutti insieme!) e dimostrazioni di antichi stili di banjo e dulcimer. Abbiamo invece partecipato ad un gradevole viaggio nella folk music americana confezionato in forma di spettacolo.
Il palco è allestito con le fotografie delle persone che sono state le fonti dirette di comunicazione con l’interprete (anziani neri, contadini bianchi, facce molto americane, scolpite dal tempo e dalle durezze della vita) e che gli hanno insegnato certi runs di banjo, i virtuosismi dell’hambone rhythm o a suonare un sacchetto di carta ottenendone la ritmica per un lead di armonica.
La band è vestita in stile hillbilly anni ’40 e gli strumenti sono essenzialmente acustici a ricalcare le sonorità originali delle string band.
Il repertorio di classici della old time music spazia dai tempi della guerra civile (The Johnson Boys), agli anni ’20 (Little Old Log Cabin In the Lane); spolvera gli scaffali del ragtime (Ragtime Annie), delle feste rurali e delle folk songs nere (Black-eyed Susy, John Henry), e bianche (The Cuckoo, Trouble in Mind, This Little Light of Mine).
Non mancano un paio di strumentali proto-bluegrass, e alcune citazioni illustri: Jimmie Davis (Nobody’s Darling But Mine), Wade Mainer (The Train That Carried My Love To Town) e il grande amico Doc Watson (The Guitar Boogie) con cui Holt ha collaborato a lungo come testimonia addirittura un triplo album di picking-divertissement (Legacy) firmato insieme.
Su tutto questo, l’abilità di Holt nel coinvolgere un pubblico solitamente ritroso, diversi virtuosismi strumentali del chitarrista in flat-picking, le harmonies della paciosa Laura Busey.
Chi avrebbe predetto un doppio richiamo coram populo per il bis? Un buon antipasto, malgrado l’ incombente contrasto con l’act successivo, la Nitty Gritty Dirt Band.
In realtà, a loro modo, Jeff Hanna e compagni riprendono il filo quasi cronologico dello spettacolo a partire da anni poco più recenti, legandolo alla continuità simbolica tra il loro primo Will the Circle Be Unbroken ed il terzo di prossima uscita.
Strepitosi negli impasti vocali, quasi indistinguibili per timbro, tonalità e forse soprattutto per compenetrazione naturale dopo trent’anni di carriera insieme, Jeff Hanna e Jim Ibbotson (un po’ più nasale il secondo) si scambiano il ruolo solista con spontaneità e naturalezza strabilianti.
A consolidare l’insieme vocale e strumentale, un Jimmy Fadden tutt’altro che gregario, alla batteria e, caso raro, all’armonica, ed il più ‘normale’ di tutti, il tastierista Bob Carpenter.
Il ritorno in formazione, dopo 15 anni di separazione, di quel geniaccio strampalato che è John McEuen, virtuoso di ogni strumento acustico e instancabile folletto hillbilly sul palco, non fa altro che valorizzare il lavoro d’insieme ed esaltare il pubblico.
Ogni entrata di McEuen è infatti un colpo di scena ed allo stesso tempo un tocco di classe.
Tutti polistrumentisti, tutti vocalist d’eccezione, i Grits offrono un concerto di quasi due ore che è allegria, coinvolgimento totale e che da solo vale il biglietto.
E’ un viaggio alle radici del country e della musica americana d’autore, con classici di bluegrass (Take Me In Your Lifeboat, The Grand Ole Opry Song) o gustose trasposizioni in bluegrass style (Get Back), con l’omaggio al country-folk di nobile origine (You Ain’t Going Nowhere, Mr. Bojangles), alcuni ‘sempreverdi’ di moderno country (Cosmic Cowboy, Wheels, Voilà An American Dream), echi di California anni ’70 nella lunga jam strumentale intorno a Rippling Waters, country di proprio repertorio (High Horse, Dance Little Jean, Broken Road, Baby’s Got A Hold On Me).
Poi il finale pirotecnico in chiave cajun (Bayou Jubilee, Battle of New Orleans) saldato in una lunga medley dal fiddle rovente di McEuen che conduce le danze, ed infine il prevedibile ma pur sempre atteso gospel collettivo Will the Circle Be Unbroken.
Il compassato pubblico svizzero accoglie l’ultimo accordo in piedi sulle sedie. Noi tiriamo un respiro soddisfatto. Era tanto che aspettavamo la NGDB ma col timore che il tempo e l’abitudine ci portassero una band imbolsita o annoiata o, peggio, ripiegata sul poco consistente repertorio degli anni ‘80 . Ora, finalmente appagati, sfolliamo per il lungo intervallo di mid-term con il sorriso un po’ ebete di chi se l’è goduta.
Un paio di birre dopo, riguadagnamo i posti per Chely Wright, pronti a soddisfare la curiosità e a verificare dal vivo l’enorme popolarità americana per la bella Top New Female Artist 1995 (ACM).
Ci sorprende quindi l’impaccio con cui affronta il palco di Gstaad.
La tiepida reazione del pubblico alla canzone di esordio (Wouldn’t It Be Cool), effettivamente deboluccia, sembra innervosirla.
Mi viene in mente che già in sede di Conferenza Stampa la Wright aveva espresso apprensione per doversi esibire di fronte ad un pubblico diverso dal suo. Quell’ apprensione e l’evidente ansia di piacere sembrano ora aver preso il sopravvento, a dispetto dell’esperienza, tanto da condizionare la sua performance: parla troppo, ringrazia tutto il mondo, chiede se qualcuno capisce l’ inglese e malgrado la prevedibile risposta negativa continua imperterrita a parlare veloce.
Dopo altri tre brani (Shut Up And Drive, One Night In Las Vegas, Is It Love Yet) ringrazia ancora tre del Fan Club che la seguono ovunque e, in un eccesso di formalità, chiama il promoter Marcel Bach sul palco per dargli una targa ricordo (!).
Da’ il meglio di sé con It Was e la delicata Picket Fences ma poi degenera con Jezebel, che descrive come ‘canzone delle donne'(?) ispirata alla Loretta Lynn di Don’t Come Home a-Drinking. Prosegue con un’ inutile Amazing Grace e con una versione troppo veloce di Crazy Arms che ha l’ulteriore demerito di mettere in risalto l’opera del batterista, un giovanotto mediocre e un po’ fracassone presentato al pubblico come essenziale elemento del suo successo.
La chiusura è affidata al suo #1 hit Single White Female mentre il bis di prammatica offre una Six Days On The Road senza apporti personali di rilievo.
Avrete ormai capito che per il sottoscritto Chely Wright è stata una delusione ma la sensazione dell’inconsistenza è stata reale e diffusa tra gli astanti consultati a caldo. Per il resto, esito nel riconfermare le mie perplessità nei riguardi delle dive del nuovo country-pop: gran belle presenze, gran belle voci, repertori scadenti. E attendo sempre che qualcuno, al di là del gusto personale, mi spieghi il perché di questa ricorrente discrepanza qualitativa con le star maschili.
Clay Walker ne è l’ulteriore riprova. Pressoché coetaneo della Wright sia all’anagrafe che nel successo (è del 1993 il suo primo album, del 1994 quello di lei) esibisce però una confidenza straordinaria con il palco e mi viene in mente di aver sovente notato, con un po’ di stupore, il suo nome tra le nominations per Entertainer of the Year accanto ai George Strait, ai Brooks & Dunn etc.
Vedendolo in azione si capisce il perché: è un bel ragazzo dal grande sorriso che conquista il pubblico con il calore della voce e con l’energia dello showman consumato. Nessuna traccia apparente della sclerosi multipla, diagnosticatagli nel 1996, che sembra sia in fase di riassorbimento. Band bella compatta, di sette musicisti, con fiddle e steel ben presenti.
Inizia tra lancio di stelle filanti e atmosfere latine con Live, Laugh, Love e sorprende con la sua ecletticità: avete presente le sue canzoncine su disco? Be’, dal vivo acquistano spessore, ma il suo show è anche una rivisitazione di stili e generi musicali, con predilezione per il tex mex (La Bamba e una versione di Before The Next Teadrops Fall con fisarmonica di sottofondo che, come direbbe Tex Willer, farebbe piangere i vitelli).
In due ore abbondanti di concerto, Walker dedica ampio spazio ai suoi hits più popolari (Dreaming With My Eyes Wide Open, If I could Make A Living, Live Until I Die, Texas Swing, Who Needs You Baby, Rumor Has it, What’s It To You) poi torna indietro nel tempo con una bella versione delicatamente sincopata di Man Of Constant Sorrow (valorizzata dalle superbe harmonies di due degli strumentisti) e con una suggestiva medley tutta acustica che tocca il gospel d’autore (I Saw The Light, I’ll Fly Away), il bluegrass (Roll in My Sweet Baby’s Arms) e la barn dance marca Bob Wills (Big Ball In Cowtown).
Una parentesi ritmica con Cold Hearted ed è tempo di crooning (This Woman And This Man).
La band lo asseconda perfettamente, anzi quasi lo rincorre in quella che sembra una scaletta per buona parte improvvisata. Del resto, Clay Boy lo aveva annunciato ad inizio concerto: avrebbe preso anche richieste dal pubblico con cui crea un rapporto ideale, diretto, da country star.
Nel corso dello show la sera prima, aveva addirittura invitato sul palco chiunque volesse cantare una canzone. Così lo svizzerissimo Sig. Pete aveva avuto il suo momento di gloria scegliendo di cantare If Tomorrow Never Comes.
Per la cronaca, il concerto del venerdì aveva in scaletta anche un percorso di raffinati omaggi: a George Jones (He Stopped Loving Her Today), a Merle Haggard (The Way I Am) e a Hank Jr. (The Bluesman), tutti particolarmente adatti per atmosfera e timbriche alla voce del nostro, una di quelle voci che, come si suol dire, possono veramente fare quel che vogliono.
L’avrebbe dimostrato ampiamente di lì a poco.
Intanto il dialogo col pubblico si fa intenso ed un collega, pescato nelle prime file con T-shirt di Garth Brooks, si vede regalare ‘in diretta’ una T-shirt Clay Walker.
Neanche il tempo di rianimare il collega e lo show continua con una deliziosa versione a tre voci di Take It To The Limit (Eagles), la story song Chain Of Love, il classico di Van Morrison Brown-eyed Girl, una delicata I’ll Take You Back cantata senza accompagnamento strumentale e, a conclusione del primo round, persino un cult salta-sulle-sedie come Sweet Home Alabama.
Pubblico in delirio e immediato ritorno sul palco per un bis in stile open party: di nuovo atmosfere latino-caraibiche con Then What, l’immancabile Stand By Me, addirittura una sbracatura sul funky, unico evitabile eccesso. Ma ormai il pubblico è appeso ai lampadari ed il colpo di grazia viene con la più tipica party song Louie Louie che neanche in Animal House fu meglio assecondata.
Apoteosi e coda di almeno dieci minuti per firmare autografi. I security svizzeri non sanno più come farlo andar via.
Voti dell’edizione 2002: due 9 per NGDB e Walker (i 10 li riserviamo per gli eventuali futuri Alan Jackson), un 7 (Holt) per gradevolezza, un 6- (Wright). Possiamo ritenerci soddisfatti. Appuntamento all’anno prossimo in data anticipata: 12 e 13 Settembre. Cominciate a prenotare i biglietti, quest’anno lo show del sabato era sold-out già da fine Luglio.
E per chi volesse documentarsi…
Discografia Clay Walker:
Clay Walker (Giant)
If I Could Make A Living (Giant)
Hypnotize the Moon (Giant)
Self Portrait (compil. Giant)
Rumor Has It (Giant)
1998 Greatest Hits (compil. Giant)
1999 Live, Laugh, Love (Giant)
2001 Say No More (Warner)
Discografia Nitty Gritty Dirt Band:
Nitty Gritty Dirt Band (MCA)
The Nitty Gritty Dirt Band (Liberty)
Ricochet (BGO)
Rare Junk (Liberty)
Pure Dirt (BGO)
Alive (Liberty)
Dead & Alive (Liberty)
Uncle Charlie & His Dog Teddy (Liberty)
All the Good Times (BGO)
Will the Circle Be Unbroken (EMI)
Stars & Stripes Forever (Capitol)
Dream (UA)
Dirt, Silver & Gold (compil. One Way)
Dirt Band (UA)
American Dream (UA)
Make A Little Magic (UA)
Gold From Dirt (UA)
Jealousy (Liberty)
Let’s Go (Liberty)
Plain Dirt Fashion (Warner)
Partners, Brothers & Friends (Warner)
20 Years of Dirt (compil. Warner)
Hold On (Warner)
Workin’ Band (Warner)
The Best Of The NGDB (EMI)
Will the Circle Be Unbroken- Vol. 2 (Universal)
More Great Dirt (compil. Warner)
Greatest Hits (compil. Curb)
The Rest Of The Dream (MCA)
Live Two Five (Liberty)
Not Fade Away (Liberty)
The Nitty Gritty Dirt Band (compil. CEMA)
The Best of the NGDB (compil. Curb)
Acoustic (Liberty)
The NGDB (compil. CEMA)
The NGDB & Roger McGuinn Live (Javelin)
NGDB (Excelsior)
Alive / Rare Junk (BGO)
The Christmas Album (Rising Tide)
Bang Bang Bang (Dreamworks)
Dirt Band/An American Dream (BGO)
Super Hits (compil. Warner)
Certified Hits (compil. Capitol)
Will the Circle Be Unbroken – Vol. 3 in uscita a Novembre
Discografia Chely Wright:
Woman In The Moon (Mercury)
Right In The Middle Of It (Polydor)
Let Me In (MCA)
Single White Female (MCA)
Never Love You Enough (MCA)
Discografia David Holt:
Reel & Rock (High Windy)
Grandfather’s Greatest Hits (High Windy)
I Got A Bullfrog: Folksongs For The Fun Of It (High Windy)
Why the Dog Chases the Cat (High Windy)
Hairyman – Southern Folk Tales (High Windy)
Mostly Ghost Stories (High Windy)
Stellaluna (High Windy)
David Holt & Doc Watson: Legacy (High Windy)
Spiders In The Hairdo (High Windy)
Tailybone & Other Strange Stories (High Windy)
Doodle Daddle Day: Old Time Sing-alongs (High Windy)
Fabrizio Salmoni, fonte Country Store n. 64, 2002